L'uomo crea quando non si limita a ripetere, ad imitare, quando offre qualcosa di sè. Non solo in quello che fa e pensa del mondo, ma anche nel modo in cui vede il mondo. L'uomo non può sottrarsi: deve completare gli impulsi del mondo. Dal mondo le impressioni sono la materia prima e queste richiedono quelle integrazioni che da impressione fluida trasformano il mondo in immagine unitaria. Da Platone a Kant, a Goethe... l'uomo come essere che dà forma a ciò con cui ha contatto. "Abbiamo creato Dio", dichiara un personaggio di Montherlant. Naturalmente "creiamo Dio" in un senso diverso da quello in cui Dio creò noi.
Mi piace pensare che il primo tentativo in questo riorientare cosmico è a partire da una domanda che è nell'uomo quando nel suo cuore si hanno metà giochi di bimbi e metà Dio e cioè quale origine propriamente abbia il nostro bene e il nostro male. Sotto che condizioni l'uomo si inventò questi giudizi di valore, di buono e di cattivo? Quanto hanno finora soffocato o promosso la prosperità umana?
E qui mi piace Friedrich Nietzsche. "Che gli agnelli non vogliano bene ai grandi uccelli di rapina, non fa stupore: solo non è questa una ragione, per dar colpa ai grandi uccelli di rapina, se rapiscono i piccoli agnelli."
Pretendere dalla forza che essa non si determini come forza, che non sia un voler dominare, una sete di avidità, un voler annientare, è proprio privo di senso, come pretendere dalla debolezza che si appalesi come forza. Una quantità di forza è una miscela combinata di impulsi, è uno spingere, un volere, un agire. Se gli oppressi, i deboli, i violentati, si convincono con l'astuzia vendicativa dell'impotenza: dobbiamo essere diversi dai malvagi, e cioè buoni! E buono è chiunque non fa violenza, non offende nessuno, non assale, non fa scontare, lascia la vendetta a Dio, e si tiene nell'ombra, come noi, evita tutto il male, come noi, i pazienti, gli umili, i giusti, questo non significa propriamente altro che: noi deboli siamo deboli; è bene che non facciamo nulla per cui non siamo forti abbastanza; ma questo aspro dato di fatto, questa prudenza di bassa specie, che hanno anche gli insetti (che in un grande pericolo fanno il morto, per non fare "troppo"), si è, grazie alla falsità e ipocrisia dell'impotenza, travestita nel fasto della virtù rinunciante, silenziosa, capace di attendere, come se la debolezza del debole stesso fosse un'azione volontaria, qualche cosa di voluto, di scelto, una azione, un merito. Questa sorta di persone ha bisogno, della fede nel soggetto indifferente e libero di scelta, per un istinto di auto-conservazione, di auto-affermazione, in cui ogni menzogna suole santificarsi. Il soggetto è forse per questo fino ad ora stato sulla terra la migliore proposizione di fede, perchè ha reso possibile alla maggioranza dei mortali, ai deboli e agli oppressi di ogni sorta, quel sublime auto-inganno di interpretare la debolezza stessa come libertà, il suo essere così e così come merito."
E ancora Friedrich. "La coscienza di avere dei debiti verso la divinità non è, come in
segna la storia, affatto finita, neanche dopo la caduta della forma di organizzazione della "comunità" fondata sulla affinità di sangue; l'umanità, come ha ereditato in concetti "buono e cattivo" dalla nobiltà di razza, ha ricevuto insieme con l'eredità delle divinità della razza e della stirpe, anche quella del peso dei debiti non ancora pagati e della esigenza di assolverli."
Mi piace qui, ancora una volta, spingervi fra le braccia del ricordo, quando ancora in noi era per metà un gioco di bimbi e per l'altra Dio. Forse è venuto il tempo del comando, forse è giunto il tempo dell'imprudenza. Nonostante l'avidità e la forza dei nostri locali e stanziali uccelli da rapina, le nostre divinità sytanziali, è venuto il tempo di riorientare il nostro mondo interno, da fluida materia prima ad immagine unitaria: siamo noi che abbiamo creato Dio? E' tempo che i nostri debiti vengano saldati. E' tempo che la nostra imprudenza agisca sull'auto-inganno di interpretare la debolezza stessa come libertà. Il senso di un debito verso le nostre divinità (annidate fra palazzi e coorti, concistori e tralicci... di potere) non ha cessato ancora di crescere e proprio continuamente nello stesso rapporto come sulla terra sono cresciuti ed elevati in alto il concetto di Dio e il sentimento di Dio.
Dell'Uomo e la sua seconda innocenza è il tempo che viene. Per ricordare ancora una volta il senso del nostro evento... perchè in noi è Dio!
E' tempo d'essere imprudenti.
Foto di Luca Lucchesi e Vitobenicio Zingales
Mi piace pensare che il primo tentativo in questo riorientare cosmico è a partire da una domanda che è nell'uomo quando nel suo cuore si hanno metà giochi di bimbi e metà Dio e cioè quale origine propriamente abbia il nostro bene e il nostro male. Sotto che condizioni l'uomo si inventò questi giudizi di valore, di buono e di cattivo? Quanto hanno finora soffocato o promosso la prosperità umana?
E qui mi piace Friedrich Nietzsche. "Che gli agnelli non vogliano bene ai grandi uccelli di rapina, non fa stupore: solo non è questa una ragione, per dar colpa ai grandi uccelli di rapina, se rapiscono i piccoli agnelli."
Pretendere dalla forza che essa non si determini come forza, che non sia un voler dominare, una sete di avidità, un voler annientare, è proprio privo di senso, come pretendere dalla debolezza che si appalesi come forza. Una quantità di forza è una miscela combinata di impulsi, è uno spingere, un volere, un agire. Se gli oppressi, i deboli, i violentati, si convincono con l'astuzia vendicativa dell'impotenza: dobbiamo essere diversi dai malvagi, e cioè buoni! E buono è chiunque non fa violenza, non offende nessuno, non assale, non fa scontare, lascia la vendetta a Dio, e si tiene nell'ombra, come noi, evita tutto il male, come noi, i pazienti, gli umili, i giusti, questo non significa propriamente altro che: noi deboli siamo deboli; è bene che non facciamo nulla per cui non siamo forti abbastanza; ma questo aspro dato di fatto, questa prudenza di bassa specie, che hanno anche gli insetti (che in un grande pericolo fanno il morto, per non fare "troppo"), si è, grazie alla falsità e ipocrisia dell'impotenza, travestita nel fasto della virtù rinunciante, silenziosa, capace di attendere, come se la debolezza del debole stesso fosse un'azione volontaria, qualche cosa di voluto, di scelto, una azione, un merito. Questa sorta di persone ha bisogno, della fede nel soggetto indifferente e libero di scelta, per un istinto di auto-conservazione, di auto-affermazione, in cui ogni menzogna suole santificarsi. Il soggetto è forse per questo fino ad ora stato sulla terra la migliore proposizione di fede, perchè ha reso possibile alla maggioranza dei mortali, ai deboli e agli oppressi di ogni sorta, quel sublime auto-inganno di interpretare la debolezza stessa come libertà, il suo essere così e così come merito."
E ancora Friedrich. "La coscienza di avere dei debiti verso la divinità non è, come in

Mi piace qui, ancora una volta, spingervi fra le braccia del ricordo, quando ancora in noi era per metà un gioco di bimbi e per l'altra Dio. Forse è venuto il tempo del comando, forse è giunto il tempo dell'imprudenza. Nonostante l'avidità e la forza dei nostri locali e stanziali uccelli da rapina, le nostre divinità sytanziali, è venuto il tempo di riorientare il nostro mondo interno, da fluida materia prima ad immagine unitaria: siamo noi che abbiamo creato Dio? E' tempo che i nostri debiti vengano saldati. E' tempo che la nostra imprudenza agisca sull'auto-inganno di interpretare la debolezza stessa come libertà. Il senso di un debito verso le nostre divinità (annidate fra palazzi e coorti, concistori e tralicci... di potere) non ha cessato ancora di crescere e proprio continuamente nello stesso rapporto come sulla terra sono cresciuti ed elevati in alto il concetto di Dio e il sentimento di Dio.
Dell'Uomo e la sua seconda innocenza è il tempo che viene. Per ricordare ancora una volta il senso del nostro evento... perchè in noi è Dio!
E' tempo d'essere imprudenti.
Foto di Luca Lucchesi e Vitobenicio Zingales
E' giunto il tempo di esser imprudenti.
RispondiEliminaMa mi chiedo cosa può motivare oggi l'uomo a tale imprudenza. L'uomo di oggi, narciso, indifferente, spesso incapace di trovare il filo conduttore delle proprie molteplici esperienze, tra dimensione privata e pubblica...
Perchè se è vero che la strategia dell'insetto, consapevole del proprio limite è quella di fare il morto, è pur vero anche che un'invasione d'insetti possono mettere in ginocchio un paese (le mitiche setti piaghe d'Egitto).
Manca un passaggio: quello dall'IO al NOI!
Paradossalmente occorre discriminarsi e dunque definirsi per potersi riconoscere in un obiettivo condiviso e pervenire ad un NOI .
Allora cosa può motivare una simile mutazione?
Cosa occorre?
Toc toc!
RispondiEliminaC'è qualcuno?
caro Ale,
RispondiEliminaperdona il silenzio. al tuo quesito non è facile rispondere. immagino però un grande atto di coraggio per spiccare il "primo salto" e vibrare oltre la soglia delle nostre piccole isole perfette. oggi si ha quasi il dovere d'essere imprudenti... e perchè giunga alle desolazioni della "prudenza" occorre si quel discriminarsi, ma condividendo con il proprio altro quella "via verso". a partire dal basso. una mosca, due, tre... cento mosche. v'è anche la necessità di "grandi nascite spirituali" per il mondo...
Parole.
RispondiEliminaCi sono parole che spaccano il mondo con la precisione di un bisturi.
Ci sono parole che restano sospese nell'aria e che non producono nulla.
Ci sono parole che aprono ed altre che chiudono.
Magari sono le stesse: hanno un diverso destino che solo il tempo rivelerà.
Di alcune di queste ne ho già conosciuto l'essenza.