Avrei scommesso su tutto, ma da quando i miei sogni cominciarono a sbattere su quello scarto di alghe persi contatto col mio ultimo treno.
E accettai il regalo.Avrebbe dovuto essere diverso. E invece. Oggi è solo vetro dentro alle mie stronze pupille. E l'orizzonte che mastico è in fondo agli incisivi del fegato. Vetro e cemento. E questa "signora" calibro 38. E' il colpo numero 11. Il mio "numero 11". Mi faccio le banche. Ho cominciato che ero ragazzo. Minchiate, piccole stronzate. Con la coca addosso e un viaggio di "meta
" in circolo. In tiro, per credere d'essere cattivo. E stronzo. Non fu difficile. I rischi ci stavano dentro. Tutti. Ne accettavo la regola. Piccole stronzate, le prime. Cominciò da un cazzotto in faccia. Tra le tipe in piazzetta. Fu il "Quasimodo" a stamparmi il "cinque" in bocca. Uno di quelli seri. In pieno. Un autotreno in corsa. Per una delle solite cazzo di storie. Era estate. Di quelle calde. Che ti fumavano le palle. E non c'avevi un cazzo da fare se non rimediare quel qualcosa che sentivi mancare dentro. Non capivo cosa. Ma bruciava. E faceva male. Che segnava in fondo alle vene. Sentivo come una specie di enorme vuoto. Uno di quelli che ti prende l'angoscia soprattutto al mattino, quando hai tutto quel tempo davanti e non sai cosa cazzo fartene. Ecco, forse in piazzetta s'intendeva rimediare tempo. Avevo le mie buone ragioni e il "Quasimodo" la sua stronza di una reputazione puttana. Io da una parte e lui dall'altra. In mezzo solo parole. Nacque una di quelle questioni. Un film. E a girarlo erano le nostre vite a perdere. Giunse all'improvviso. Da destra. Spense i miei pruriti con un colpo soltanto. Mi ritrovai a terra. Col sangue in bocca e la mia voglia di reagire praticamente a zero. Gli
venne facile e chiuse la partita con un dannato calcio in pancia. Segnò punto. Alla grande. Lui toco, io meno di un frocio. Provai tutto il dolore del mondo. E la rabbia finì per essere una di quelle cose che è bene mettere da parte quando il dolore bussa forte alla tua stronza porta. E mi dimenticai d'essere incazzato. Cercai soltanto di ripararmi dalla furia. E feci bene. Dal giorno della questione passarono solo poche settimane. Io ancora riuscivo a contarle. E me la giocai di nuovo. A cazzotti. Fui più lesto. E di mazzate gliene regolai una cifra. Tutti dentro. "E Cristo di un Dio: tutti dentro!". Fra zigomi e bocca. Rapidi e precisi. Due o tre settimane dopo averle prese. Nella stessa piazzetta. Alla medesima ora. Con le stesse tipe, tra frontiere e parole. "Bam, bam, bam, così, senza fare troppo danno, ma col signor mestiere!"
Diventammo amici col "Quasimodo". Oggi, a quarant'anni stoccati, quelli sono solo ricordi. Il regalo è suo. Da un paio d'anni io sono Alfa e lui Omega. Dentro è cambiato molto. Quasi tutto. Dallo stomaco al cranio. Ci facciamo le banche. E non sono minchiate. La città si è come allargata. Nuove periferie. Tanto cemento. Più fogne e meno illusioni. Nel frattempo arabi e cinesi. Dalla stazione al mare, lungo Via Lincoln e dal Duomo al Teatro Politeama, scorrendo quelli che erano i mercati della gente palermitana. Arabi e cinesi. Finocchi del cazzo. Nuove periferie e tanta nuova merda sul pianerottolo di casa. Puttane africane e ruffiani croati. Palermo finisce qui. Neppure la vecchia mafia... e i "bravi ragazzi" ad ogni angolo di strada al quartiere. Anche la mala è cambiata. Tutto è al passo coi tempi. E se prima erano le "38" a regolare i conti, adesso sono gli "hosting", le password e i parametri on line a fotterti culo, vita e carriera. Avevo sedici anni. E un mio territorio. Si andava a chiacchere e di serio c'era ben poco: da tuo padre a tua madre, dal Cristo Gesù a tutto quel tempo che riuscivi a metterti alle spalle. Cruciale era saper incassare e al momento giusto tirare di destro e affondare di gomito. E magari in mezzo ci mettevamo una di quelle storie che ci faceva bene a prenderle sul serio. Che erano sogni. O forse smarcavamo più vite.
Il mare da un pò di anni è solo una stronza, fottuta sequenza di onde. Una dopo l'altra. Onde. Che sbattono su quella linea di scarti. Di alghe e di fango. Fendenti lenti. privi di quell'immensità che in quel lontano passato finiva con l'essere l'unica roba su cui poter appiccicare un'idea. Nostra soltanto. Nostra per sempre. Ma anche il mare pare essere mutato. E la rabbia è una di quelle cose che è bene armare quando il dolore ti sfiora soltanto. E diventa tritolo. Tutto dentro. La mia città ancora oggi è bagnata da quel mare. Ma è solo acqua! Null'altro che liquida ripetizione di un atto. Solo fine a sè stesso. Molto meno di quella serie di cazzotti. Sinceri. Allo stomaco e in faccia. Moralmente corretti. Quel mare riusciranno a fotterselo. In silenzio. Lasciandoti intendere che anche tu hai la tua parte. Il tuo cazzo di muro da dover abbattere. Magari per dare una mano a quel "nuovo che avanza".
Questo è il mio regalo. L'unico. Una calibro 38. Ho una banca da alzarmi. Una cosa seria. Roba che se ti fanno la pelle, crepi per quell'unica ragione al mondo che t'eri appiccicata addosso per evitare la solita secchiata di fango negli occhi. La mia città è finita. In fondo a quella linea di scarti. Nel culo di un vicolo cieco.
In piazzetta da un pò di tempo è solo caldo. Le tipe, se fili giusto e trendy, la danno via, "di subito", e la coca la trovi al costo di una coppa gelato, le lame stanno al posto dei cazzotti come la noia sta a quelli che erano solo fiumi di chiacchere.
A casa. Da solo. Con tutto quell'inutile mare davanti. Che oscilla dal nuovo fango al vecchio scolo. Su quella linea di scarti.
Solo un goccio. L'ultimo. Prima che l'ombra diventi obliqua nel vetro freddo dei miei occhi.
Ho soltanto una vita e, se becchiamo lo stronzo di turno, 6 colpi da sbattere in sagoma.


Diventammo amici col "Quasimodo". Oggi, a quarant'anni stoccati, quelli sono solo ricordi. Il regalo è suo. Da un paio d'anni io sono Alfa e lui Omega. Dentro è cambiato molto. Quasi tutto. Dallo stomaco al cranio. Ci facciamo le banche. E non sono minchiate. La città si è come allargata. Nuove periferie. Tanto cemento. Più fogne e meno illusioni. Nel frattempo arabi e cinesi. Dalla stazione al mare, lungo Via Lincoln e dal Duomo al Teatro Politeama, scorrendo quelli che erano i mercati della gente palermitana. Arabi e cinesi. Finocchi del cazzo. Nuove periferie e tanta nuova merda sul pianerottolo di casa. Puttane africane e ruffiani croati. Palermo finisce qui. Neppure la vecchia mafia... e i "bravi ragazzi" ad ogni angolo di strada al quartiere. Anche la mala è cambiata. Tutto è al passo coi tempi. E se prima erano le "38" a regolare i conti, adesso sono gli "hosting", le password e i parametri on line a fotterti culo, vita e carriera. Avevo sedici anni. E un mio territorio. Si andava a chiacchere e di serio c'era ben poco: da tuo padre a tua madre, dal Cristo Gesù a tutto quel tempo che riuscivi a metterti alle spalle. Cruciale era saper incassare e al momento giusto tirare di destro e affondare di gomito. E magari in mezzo ci mettevamo una di quelle storie che ci faceva bene a prenderle sul serio. Che erano sogni. O forse smarcavamo più vite.
Il mare da un pò di anni è solo una stronza, fottuta sequenza di onde. Una dopo l'altra. Onde. Che sbattono su quella linea di scarti. Di alghe e di fango. Fendenti lenti. privi di quell'immensità che in quel lontano passato finiva con l'essere l'unica roba su cui poter appiccicare un'idea. Nostra soltanto. Nostra per sempre. Ma anche il mare pare essere mutato. E la rabbia è una di quelle cose che è bene armare quando il dolore ti sfiora soltanto. E diventa tritolo. Tutto dentro. La mia città ancora oggi è bagnata da quel mare. Ma è solo acqua! Null'altro che liquida ripetizione di un atto. Solo fine a sè stesso. Molto meno di quella serie di cazzotti. Sinceri. Allo stomaco e in faccia. Moralmente corretti. Quel mare riusciranno a fotterselo. In silenzio. Lasciandoti intendere che anche tu hai la tua parte. Il tuo cazzo di muro da dover abbattere. Magari per dare una mano a quel "nuovo che avanza".
Questo è il mio regalo. L'unico. Una calibro 38. Ho una banca da alzarmi. Una cosa seria. Roba che se ti fanno la pelle, crepi per quell'unica ragione al mondo che t'eri appiccicata addosso per evitare la solita secchiata di fango negli occhi. La mia città è finita. In fondo a quella linea di scarti. Nel culo di un vicolo cieco.
In piazzetta da un pò di tempo è solo caldo. Le tipe, se fili giusto e trendy, la danno via, "di subito", e la coca la trovi al costo di una coppa gelato, le lame stanno al posto dei cazzotti come la noia sta a quelli che erano solo fiumi di chiacchere.
A casa. Da solo. Con tutto quell'inutile mare davanti. Che oscilla dal nuovo fango al vecchio scolo. Su quella linea di scarti.
Solo un goccio. L'ultimo. Prima che l'ombra diventi obliqua nel vetro freddo dei miei occhi.
Ho soltanto una vita e, se becchiamo lo stronzo di turno, 6 colpi da sbattere in sagoma.
foto di irma vecchio
il nostro mare...acqua che il più delle volte ci ha imputridito. Acqua che ha infangato. Acqua che ha annegato. Essere isolani è delizia e croce. Mille giorni senza l'isola impensabili, mille anni con lei impossibili.
RispondiEliminae hai perfettamente ragione october cara: la nostra è un'isola d'acqua....
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