08 ottobre, 2009

PROTOCOLLO NARCRON, di vitobenicio zingales. VI puntata.

24 dicembre 2011, milano.

Prima di caricare il letale beretta di precisione, andrea invocò l'onnipotente Dio e gli Angeli dei tre cori. si percosse il petto con la sinistra tre volte e per altrettante volte, con più partecipata emozione, si segnò con la destra. l'attesa parve provarlo, ma la fede nell'unico redentore Gesù Cristo diede al suo animo quegli impulsi di forza che, poco prima, aveva creduto persi. "questa è somma cristiana giustizia. io ne sono lo strumento liberante", sussurrò in quegli istanti alla sua mente, "la risoluzione va aldilà di ogni fine umano. semmai la storia ne parlerà", cominciò a respirare piano, "eleverà e tradurrà l'azione come l'agire di un essere superiore, qui voluto per la salvezza del mondo intero. Dio... Dio... guida la mia mano per esercitare la tua giustizia santa... "
silenzio. buio. solo il pulsare del suo cuore. trattenne il respiro e nel suo mirino apparve satana...
di quella minuscola nicchia, tra le tante del reparto cosmetici al secondo piano dell'emporio, in quelle lunghissime ore, il gesuita ne aveva fatto il proprio "cristico avamposto". sul palco più alto dello scaffale pose i quattro vangeli e sullo sgabello, alla sua destra, proprio sotto il lato più basso della fessura, lasciò che la Bibbia lo sorvegliasse nel buio e che i grani del suo prezioso rosario penzolassero dal sedile girevole.
quella notte dormì terribilmente poco. due ore, forse meno.
ma pregò ininterrottamente: da mezzanotte alle prime luci dell'alba.
quarantotto ore prima giunse l'anelato ordine. dopo i lunghi preparativi, i sopralluoghi, il rigido addestramento, le penitenze e i pedinamenti... finalmente l'attesa "chiamata". ebbe solo il tempo d'indossare il talare, d'afferrare il suo modesto viatico e di pentirsi per quell'onda d'orgoglio che subito dopo il superiore comando, sembrò maleficamente pervaderlo.
prelevata l'arma da una cassetta di sicurezza tra quelle mille anonime della deposito e cassa pontina della stazione termini, prese il primo tav da roma. l'innocua custodia, il talare del potente ordine e la Bibbia tra le mani, gli facilitarono il compito. speditamente, tra i flutti della consueta indifferenza, eluse perfino la sua lunga ombra. giunto a milano, ritirò dalla casella postale 440 dell'ufficio pt della stazione centrale il plico riservato. dopo aver letto le ulteriori e dettagliatissime informazioni, procedette con il più minuzioso dei sopralluoghi. nonostante il metro e novanta d'altezza, le sue potenti leve agirono con efficienza fra i tumulti e le folli resse, tra le urla metalliche dei treni e i vapori bluastri dalle banchise. nessuna sbavatura. nessuna emozione. nonostante la sua visibile umanità e la possanza che dal suo corpo erompeva... lui era il prescelto! e da quella appassionata e cinica moltitudine non alitò alcun sospetto. il "sito" era quello. bene. la galleria della "centrale" avrebbe dovuto trasformarsi, da lì a poco, nel più sacro dei templi della cristianità d'occidente. ottimo. in lui era la salvezza della romana chiesa e nella sua mano la potente legge del Dio onnisciente. da "giulio" ordinò un espresso. lo trangugiò in un sorso. pagò e da lì, affogando tra le spire della massa disciplinata, arrampicò tra le rampe dell'emporio. all'ora stabilita, dal suo contatto milanese, ebbe la chiave della nicchia numero 4 del secondo piano. lentamente, passo dopo passo, con la chiave in pugno, ascoltò i suoi respiri rifrangersi dentro l'anima. la chiave agì perfettamente la serratura e la porta spalancò ai suoi occhi. penetrò il buio e il ridondare della eco fra gli specchi avvolgenti la celletta. le mani al posto degli occhi, gli consentirono d'indovinare ogni nettezza e ognuna delle dimensioni là gelata dall'oscurità. pochi istanti e abituò il suo spirito al nero e allo spazio. chiuse gli occhi ingollando dalle narici quel tanto di memoria necessaria: dal cardinale al maledetto "documento", dal bene della santa chiesa agli oppositori del Gesù Risorto. schiuse la vista, congiunse le mani e, spalancando la Bibbia sull'Apocalisse di Giovanni, orò l'Angelo vendicatore. liberatosi alla fine da ogni interferenza umana, agì come se l'entità superiore, prima invocata, si fosse potentemente incorporata fra le sue oscurità. s'inginocchiò lentamente ai piedi del Libro spalancato e dall'astuccio, posto alla sua destra, trasse uno alla volta i pezzi del fucile. prima il calcio, la lunga canna e il silenziatore, poi il potente cannocchiale e le micidiali munizioni. ad occhi chiusi, ancora una volta genuflesso come a voler sacramentare quell'atto, e piano prese a comporre il beretta. avvitò, bloccò e caricò. le sue dita perfettamente addestrate agirono sulla fredda lega come le mani esperte della più abile tra le levatrici. appiccicato al suo respiro fece come acchiappare con le mani le sue lunghissime e muscolose membra: si levò da terra, prese il suo enorme corpo e lo tenne fermo per alcuni istanti nello scorrere del buio al centro del minuscolo spazio. dal respiro ai suoi svettanti muscoli, dai tendini al battito sordo del suo cuore, le mani penetrarono nelle carni fin dentro l'essenza di quello che, per comoda convenzione, egli amava definire come l'inviolabile stato del cosmo incosciente. qui sentì agire il connettersi di remote nebulose con l'intimità del suo sconosciuto sangue. si chiese se fosse Dio, ma alla divinità preferì se stesso... e si compiacque dell'agire delle dita fra alchimie così segrete. tutto là dentro era come immoto. senza alcuna naturale forma, ma anche oscillante come un mondo primordiale, lontano da ogni razionale riferimento a luci e a colori. fece fare ancora al respiro e ricordò che come quella levatrice, lui avrebbe dato alle folle in attesa il prodigio di una nuova vita. "non uccidere", avrebbe detto il Signore Dio Tuo, ma la questione era stata posta per impedire agli aneliti di satana di venire alla vita, dando così corso ad una sentenza solennemente emessa dai più umili fra i servi di Dio. lasciò che le mani allentassero la presa e che i suoi pensieri divincolassero dall'agire di quel sangue. le dita a rilento ricordarono di stringere la canna di una potente carabina e alla sua vista di possedere due occhi.
si sedette per terra e incrociando le gambe pose l'arma adagiandola ai suoi piedi. e aspettò. immobile. ritto come uno yoghi... sul labile proiettarsi dell'ombra.
tutto era pronto. ancora dodici ore. dal destino. dalla salvezza eterna.
dalla piccola fessura, quel "sacro" sipario gettante fra le volte della galleria, la prospettiva sprofondava aldilà dei cristalli della "centrale" fino ad incurvarsi tra le muscolose pareti del silente atrio attesa: la sala passeggeri ad oriente del grande portale della stazione. là, a circa duecento metri dalla sua postazione, erano cinque panchine. su una di esse, il mattino seguente, avrebbero preso posto i maligni avversari del Cristo Re.

Nessun commento:

Posta un commento

Archivio blog

Cerca nel blog