12 dicembre, 2009

Cosa di Noi atto II, di vitobenicio zingales.

Cosa di Noi. Atto II. Palla di Grasso.

dal pesciaiolo al chincagliere sono solo due passi, quelli giusti per sbottonare il tre quarti e tirare la cintola. e tirare avanti. alle 9 di quel giorno dispari di gente, ma manco a parlarne.
filippo bonanno possedeva da sempre quella sorta d'emporio. un buco di bottega. al seminterrato di una fogna a tre piani. sei metri per sei. di tufo, malta e saliva. un fuggire rosso di mattonelle ai piedi e una svenevole passata di giallo alle quattro pareti. agli angoli, in alto, il solito grigio di sporco e rigonfio di muffa. a pallettoni, una rosa di nero. dall'alto, a piombo da un filo, la lampada a basso consumo. fame e avidità. la giungla in quel buco. di tutto nell'aria. fra torbido, unto, umido e le mafie nel tempo. da tre generazioni, chincaglie e coltelli, bambole ciecate, giradischi fillips, flaconi di condom e pallottole sparate, ma anche santini, porno book, acquasantiere, piantane e pezzi motore. di tutto. d'ogni cosa. da ogni angolo.

"ispettore marino... il solito giro?"
"il mio solito spaccarmi le palle... "
"niente lavoro oggi... "
"sono sempre al lavoro."
"ed è sempre un privilegio per la strada."
"e a noi ci piace crederlo!"
"gli affari?"
"non mi lamento. la crisi si fa sentire, ma c'è chi sta peggio..."
"e avete ragione... e chiù scuro di mezzanotte non può fari!"
"... e si ispettore: negli affari e nelle cose del cuore, l'imprevisto è più forte di una qualunque parola. tutto il resto è una gran minchiata. o hai le palle oppure ti rovini come ti rovini con la prima femmina che pensa di metterti in riga. prendete il quartiere: se ci pensate, qui tutto fimmina è!"
"e non c'è peggio di quando stai lì a farti mettere le mani sulla roba tua, non è vero bonanno?"
"ispettore... io sono un cristiano timorato di Dio. mio padre fu un uomo a verso e onorato. che io viva con onore solo Iddio può saperlo, ma è il quartiere a pesare ognuno di noi. e se la parola è un detto, ci sono silenzi che valgono più quanto possa pesare una vita. e io gli affari miei mi faccio, per non sprecare parole e non buttare la vita nella bocca del primo cornuto che incontri al rione."

fin da bambini alcune parole ci firriano dentro. queste pare che siano le uniche a spingersi fra i fondali più segreti del nostro animo, come per obbligare la coscienza al vincolo più remoto del ricordo. alcune altre ordiscono una così fitta trama, dentro il senso della propria natura, che pare accorcino le distanze che poniamo talvolta tra un antico passato che vorremmo dimenticare ed un palpabile futuro che vorremmo subito afferrare.
ci sono parole di cui le parole parlano: queste zampillano da una fonte che per paradosso pare affami l'acqua. all'infinito. quasi a voler essere una ridondanza per quello che recano. parlano e poi basta.
ci sono parole che non riescono a contenere quello che dicono. e disperdono in un torrido parlato. che se non sono le solite stronzate sono le peggio minchiate. parlano e alla fine crepano.
ci sono parole che ce le portiamo appresso. dentro ai nostri giorni. a tutte le sante ore. da quando abbiamo imparato a soffiarci il naso. da quando abbiamo capito da quale unico verso gira il mondo. con il culo per terra o con tutti i santi del paradiso a fianco.
ci sono parole che c'hanno il mestiere dentro. magari non parlano oppure fanno fare ai migliori silenzi. perchè possano essere i nostri occhi quando per le pupille... ma neanche a parlarne! parlano fino a che finiamo. ed è quello che siamo. per queste parole viviamo. e crepiamo. e sempre per queste magari c'ammazzano.
ci sono parole che prima ti devi sciacquare la bocca e ci sono quelle che manco le devi pensare. per alcune molti uomini si mettono in vendita, per altre rarità di cristiani ci perdono la vita.
ci sono parole che di suo hanno un tanfo che è meglio non girarci le spalle e altre che ti puoi fidare come il pane che mangi.

"e in questi giorni, tu hai incontrato un qualche cornuto?"
"io, più di fare caso alle corna, sto attento alle parole che dico e a quello che potrebbero fare senza offendere nessuno. se un qualche cornuto ha incontrato le mie parole se n'è andato di qua contento e garbato, con le proprie corna e solo con la merce che ha comprato."
"magari qualche estraneo... "
"la gente va e viene. con sentimento e rabbia. nulla di personale ispettore, ma quello che cercate non è roba che sta dentro ai miei scaffali. e come lo so io, lo sapete voi: se non guardo coi vostri occhi non significa che non sento col vostro cuore. ma le questioni di rispetto non sposano le questioni di cuore e se un infame vale tanto quanto pesa, un cristiano a verso val bene il silenzio a cui si deve. per l'uno e per l'altro sarà la memoria a dirla tutta. e in vita, la partita che si gioca è di tutt'altra natura. ispettò: sebbene a voi tocchino certi privilegi, la strada vanterebbe quel diritto che pare gli venga si dalla storia, ma sopprattutto dal peso."
"capisco... capisco. a quant'è il giradischi?"
"il prezzo lo sapete: è quello di ieri e di ieri l'altro."
"e tu fammi lo sconto che prima o poi me lo compro. salutiamo filippo."
"che Dio lo benedica ispettore marino!"

e cominciava il caldo. buttava alla grande. il grande souk prendeva le forme di sempre. con i tanfi soliti, i cristiani di sempre e un qualche estraneo di passaggio o per sbaglio. di sbieco. di spalle. come gli scoli e la merda che buttava a piombo. dritta e filante. ad emiliano marino la strada gli veniva facile. la sapeva a memoria. d'ogni stronzo passo ne sapeva il verso, ne conosceva l'infamia e ne apprezzava il pregio. indossava il gessato. le sue scarpe migliori. la beretta inchiodava in fondina. era caldo. il caricatore era pieno. e il primo colpo in canna.
le zaffate erano quelle. come la macchina.
la solita, a meno ci cento metri dai suoi soliti stronzi cento passi.

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