10 dicembre, 2009

PROTOCOLLO NARCRON, I CODICI PROIBITI, IX e X puntata, di vitobenicio zingales

MEMENTO


mi alzo. stiro braccia e tendini. sento uno di quei brulichii. la luce filtra dagli scuri. con le dita schermo gli occhi... perchè le mie tenebre possano ancora di quella non comprenderne i riflessi. lascio alle mani il compito di regolare la mente: tasto il comodino, afferro la sveglia con la destra e sfioro Sophia, la mia dolce compagna, con la sinistra. il mondo, quasi intatto, è là a due passi. ancora bello. ancora tiepido. soprattutto mio. mi assicuro che sia tutto vero. si, è tutto vero.

lego la chioma con un fermaglio e fra i capelli, fluenti, sulla nuca, occulto il mio antico tatuaggio. riti.

esco da dove mi riproduco.

sfioro il battente della prima porta accanto. un primo sguardo accennato. poi un altro più attento. dorme. Lily, mia figlia. la gioia perenne dei miei occhi.

due passi oltre la stanza della piccola è il mondo del vecchio: dalla cornice della seconda porta ne sbircio le ombre e mi assicuro che respiri... Raphael, mio padre.

ritorno da Sophia. è ancora presto.

c'è ancora tempo per schizzare al Distretto.


beato, sospiro. sistemo gli idoli.


londra, 2027, 17 marzo, alle prime luci dell'alba.

da oriente avvertii il primo squillo di tromba.


31 maggio, 2011, roma.

"hallò... je suis firenne..."

"parlate."

"c'est tout vrai. il documento è originale. le document est la veritè. "là" è la verità dell'uomo".

"ne siete sicuro? assolutamente?

"là c'est l'homme!"

"bene."

"lasciate che giunga al mondo... non penserete d'opporvi, spero. date all'uomo ciò che venne concesso per l'origine dell'uomo."

"fiat voluntas dei! adieu mon amì."

clic.

le distanze fra i due annientarono su quel cinico suono dissolvendo tra le rapidità dell'etere. la comunicazione fu chiusa proprio quando il sole perticò allo zenith. quella luce così intensa ed operante colmò tra le più minuscole longitudini dello spazio là a frammentarsi fra il tempo della piazza e la natura del ricordo, in essa sapientemente contenuta. l'assenza di ombre e il totalizzante spalancarsi del solito indicibile azzurro di maggio, parvero attenuare perfino quei vocalizzi sguaiati e quelle promiscuità sonore che tra i tavoli fino a quel momento andarono paludando la piazza, dai bordi cerchianti, all'isolatezza del centro. all'unisono il senso del tempo e le ordinatrici leggi dello spazio seppero contendere all'invisibile la supremazia sugli aliti del cosmo. il mondo e le "gerarchie occulte" disseminate in quel pulviscolo di tempo sospesero su quell'affardellarsi di parole e di vividi pensieri.

sua eminenza, in silenzio, sprofondando nel suo alvo segreto tentò di ripercorrere con la mente i ricordi legati alla storia di quegli ultimi cinque anni trascorsi. la sua attesa elevazione, la morte improvvisa di benedetto, il velocissimo conclave di primavera, l'elezione del santo padre, il rifiorire della Confraternita della Rosa, il consolidarsi del proprio potere, il documento segreto, dai due gesù all'iniziato lazzaro.


respirò nei suoi pensieri. li elevò. li trasformò in viventi essenze, ma il "sangue" lo riempì di paura. ascoltò il suo terrore e ne parcellizzò gli elementi più frustranti. le proprie necessità lo avvilupparono a tal punto da convincersi che le urgenze sentite non avrebbero potuto essere altro che le necessità avvertite dal mondo. ciò che sfuggiva "però" al suo intendimento era che la reale natura delle brame originava dalle più inferiori delle residenze, vincolando la propria individualità si al mondo delle urgenze, ma a quello prepotentemente avido delle necessità pulsionali.

quando l'ultimo respiro profondo divincolò dalla fitta trama dei suoi pensieri, realizzò che tutto avrebbe dovuto decidersi all'istante. e all'istante pensò a due atti da determinare che, se si fossero valutati dal tono perentorio della voce, dalla postura e dalla potente mimica, chiunque, osservatene il vigore, li avrebbe potuto numerare per i due atti, simultaneamente agiti, più importanti di quel tempo. fu così che il cardinale ordinò un "espresso" e compose dal suo satellitare un codificato a cinque cifre.


solo due squilli e le distanze, fra i due potenti vettori comunicanti, divennero così ravvicinate da scorrere, nonostante la nettezza delle illusioni, su di un solo orizzonte.

"signore..."

un respiro. due. il destino dell'uomo e la sua storia ancora coincidenti come l'orizzonte disteso tra i logaritmi aggrappati al senso miliare di quelle distanze. ancora un respiro. lento. lungo. avvolto da una nube di pensieri, come una moltitudine di uomini sospesi sulla sottile passerella di un ponte di cristallo.

"FERMATELI."

clic.

le distanze ripresero dal loro freddo vigore. il destino e la storia dell'uomo spalancarono l'uno sull'altra, ma divaricando, da quel comando, distanti l'uno dall'altra, sulla impercettibile linea di un lontanissimo orizzonte.

"sua eminenza... prego, l'espresso."

fiat voluntas dei.
una colomba giungendo dalle estremità azzurre del cielo planò tra gli ornati di una tra le colonne del Tempio. le sue ali fermarono, come se di tutta quell'aria fin lì vissuta, non ne afferrasse più il senso. parve irrigidirsi e farsi pietra tra i ricurvi gigli del capitello. la piazza, indifferente agli avvenimenti là tracciati per la storia dell'uomo, ricolmò le distanze fra le polveri del Tempio e le frequenze vocali dell'NS 25.

la memoria giaceva fra gigli e melograni.

il futuro innescava da una chimera.

fonte foto: google image

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