Questa storia comincia proprio con quel buffo numero misterioso. Il numero ZERO.
Era il 1993 quando, nei miei ricordi, entra quel casco, quella livrea semplice, ma piena di mille responsabilità. Il resto era uno sguardo. Quello tipico di una persona chiamata a dimostrare ogni giorno di meritare quel casco e la sua storia.
Damon Hill a trentatrè anni faceva l’ingresso dalla porta secondaria, nel mondo variopinto, ricco e luccicante “del circo” della Formula Uno. Forse in ritardo rispetto agli altri talenti. Quello, però, fu il suo momento.
Quell’anno Damon venne chiamato al posto dell’allora campione del mondo in carica, il grandissimo Nigel Mansell. Per chi non lo sapesse, in Formula Uno, il numero “1” viene dato proprio al campione del mondo, mentre il numero “2” viene dato al compagno di squadra. Come dicevamo, Nigel terminò la sua carriera quell’anno, lasciando il circo senza numero uno. Damon divenne “Mister Zero” ed io rimasi stregato per sempre. Pensavo che quel numero fosse incredibilmente pieno di dignità. Tondo e tranquillo, se ne stava stampato sul muso della sua monoposto.
Gli atteggiamenti di Damon erano quelli dell’antidivo per eccellenza, in un mondo, quello sportivo, dove essere “stelle” fa parte del gioco. Ricordo come fosse ieri, il modo
leggero e signorile con il quale usciva dall’abitacolo alla fine di una gara, così come dopo una sconfitta. Il suo modo di parlare quell’inglese che non capivo, rifletteva ai miei occhi l’immagine di un pilota “umano”, capace di commettere errori pesanti e magnifici capolavori, capace di scelte istintive e strategie studiate con duro lavoro.
leggero e signorile con il quale usciva dall’abitacolo alla fine di una gara, così come dopo una sconfitta. Il suo modo di parlare quell’inglese che non capivo, rifletteva ai miei occhi l’immagine di un pilota “umano”, capace di commettere errori pesanti e magnifici capolavori, capace di scelte istintive e strategie studiate con duro lavoro.
Nella seconda metà degli anni Novanta, il vuoto lasciato dall’indimenticabile Ayrton Senna sembrava incolmabile. Il circo sembrava togliere le tende per l’ultima volta. La responsabilità era enorme e Damon diede vita ad incredibili duelli con quello che sarebbe diventato, di lì a poco, il suo rivale di sempre: Michael Schumacher. Questi era il campione giovane e sorridente, amato già dal pubblico e dalla stampa. Bello, fisico perfetto e talento cristallino. Damon invece, sembrava il bravo pilota “della porta accanto”, talvolta criticato dalla stampa che ancora doveva capire se quel casco lo meritasse... Quegli anni lo videro diventare in maniera graduale, un campione. Senza scandali e spese folli, ma con sudore ed impegno, con la dedizione e la costanza di chi deve faticare per arrivare dove può arrivare, con la forza e le palle da mettere in gioco, ogni qual volta che il circo dei motori metteva le tende.
Dopo essersi laureato Campione del Mondo nel 1996 a bordo della sua Williams bianca e blu, anche i più scettici dovettero ammettere quello che avevo visto nel 1993, all’inizio della nostra storia: “Mister Zero” era diventato il numero “Uno”, realizzando il sogno dei suoi numerosi tifosi. Tre anni dopo si ritirò dalle corse, dedicandosi, tra le altre cose, ad una sua grande passione: la chitarra. Sì, perché Damon è un grande chitarrista, talmente bravo da registrare un album con la storica band dei Def Leppard. L’album s’intitola “Euphoria” e mi permetto di suggerire il pezzo “Demolition Man”, dove fa un assolo finale davvero niente male!
Sono passati diciassette anni da quando vidi quel casco per la prima volta. Storie come quelle di Damon penso che dovrebbero aiutarci a capire. Capire che in questi temmpi, fatti di reality e talent show pieni di lustrini e di microfoni ad archetto, non si vogliono più i Numeri Uno… Si pretendono persone “speciali” e con un talento unico, magari a vent’anni. Io invece, credo che la fatica benedica il talento, che le sconfitte e gli sguardi afflitti consolidino la nostra personalità. Vincente o perdente che sia. La “sfida” potrebbe essere questa: ogni giorno avere l’impegno di far bene quello che ci appassiona, senza soffocare le nostre vite con risultati benedetti d’orgoglio e TV a led.
Scoprire le proprie abilità poco per volta, slacciandosi l’orologio, aspettando magari una vita intera per uscire insieme alla propria anima, seduti ad tavolo di un bar come due grandi amici senza segreti. Quello che ho sempre sognato.
Damon riuscì a prendere quel numero, dandogli dignità sportiva ed umana. Dentro quello zero… Sì, dentro, dove c’è quel buco, io misi la mia passione per quello sport che aveva infuocato gli animi della mia famiglia. La stessa passione che mi ha portato a scrivere, non da esperto, l’omaggio allo sportivo ed al campione che sarei davvero voluto essere.
Articolo e disegno di Andrea De Luca
@andy: grazie grazie grazie. oggi più che mai. dal tuo articolo ho trovato fondamenta ai miei tormentati pensieri...
RispondiEliminatante grazie anche da parte mia andrea! gran bell'articolo! e gran bel pilota Damon!
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