nonostante le cose del fuoco, ebbe “quel freddo” nel cuore e i ricordi che imparò dal mondo si persero nella nebbia, come derive di ghiaccio, all’istante.
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dal colle erano il mare e la città e, sebbene la catastrofe fosse imminente, dell’uno sorprendeva quell’antico ripetersi tra i faraglioni, e dell’altra stupiva ancora quel credersi immortale. di quel lontano vanto, che era stata vaenesius, al tempo della III ^ rivoluzione, rimanevano gli imponenti tralicci in vanadio, tra il "circo" e la cattedrale, la maestosa passeggiata sottomarina lungo la costa e la gigantesca torre della radiotelevisione popolare. dappertutto vibrava quel silenzio colerico e i segni della disfatta ridondavano dalle periferie estreme, agli immensi viali del centro. le uniche “presenze” che riuscivano a scuotere la metropoli erano i blindati delle forze armate, là a scorrere da un avamposto all’altro. nel buio, il frastuono dei cingoli riecheggiava muscoloso e sinistramente famelico. dalla tangenziale nord al porto erano ammassi di lamiere, mucchi di corpi accatastati e dune di polvere e detriti. la disperazione dei sopravvissuti era pari al furore del nulla, ma certamente meno temibile di quanto non fosse … la memoria.
il cavaliere azzardò una risposta quanto mai fantasiosa, ma al suo interlocutore non sfuggirono l’esitazione e quel sentimento riprovevole che quei ultimi, rari vecchi continuavano a chiamare il dubbio.
il gioco era prossimo alla fine, come gli ultimi tiepidi focolai, intorno la metropoli. da sette giorni e sette notti, lì sul pianoro delle caracitole, ad oriente di vaenesius, il cavaliere e il principe demetrius giocavano l’ultima partita. la posta in gioco era a dir poco eccezionale. su quei sassi piatti si giostrava per salvare il ricordo.
“cavaliere … noto una certa stanchezza … desiderate sospendere il gioco?”
“vi sbagliate. non è stanchezza … “
“buon per voi, allora.”
“non abbiate alcun timore, sono lucido abbastanza per poter calcolare e valutare la vostra avidità.”
“cavaliere: mi lusingate!”
“continuate a sbagliarvi … il mio è solo disprezzo.”
“ricordate cavaliere che se siamo qui sul colle, è per vaenesius … e non per le mie discutibili brame. avrei desiderato altro, ma oggi, per rendere compiuta l’opera, abbiamo più di un obbligo verso il mondo e la vostra patetica memoria.”
“sebbene siate ciò che rappresentate, mi trovate d’accordo … “
era silenzio. il fosforo delle bombe poseidon e i traccianti dei razzi chimici hausen risplendevano come piccole lune sul convergere dei boulevard del centro. il crepitio delle raffiche di mitra, accrescendo nei solai vuoti quel sinistro furore, interrompeva la corsa del vento che dal mare tentava il balzo, e a più riprese, verso il meridione della città. a pattugliare il buio erano orde di uomini in nero che, terrorizzati più dalla potenza del ricordo che dalle ultime sacche della rivolta, riuscivano a controllare perfino il divagare della nebbia, su per ogni piccola asperità di vaenesius. le ultime baccanti del tempio, custodi dell'antico rito iniziatico e del mito, avevano deciso, già da tempo, di darsi alla fuga e di rinnegare, quindi la fede e le divinità cristiane. la città rimaneva preda della malaria e dei generali del presidente lucio agrippa IV°.
il cavaliere e il principe demetrius riconoscevano alle loro volontà quella elementare forza che, sopravanzando da una o dall’altra parte del Credo, avrebbe disegnato per il mondo intero il nuovo corso della storia. vaenesius era la pietra angolare, il nodo e l’asta del salvante compasso. se cedeva al ricatto, i sopravvissuti della metropoli, ultima città del continente, avrebbero dovuto rinunciare alla memoria, al contrario, quella medesima schiera di combattenti e cacciatori di stelle avrebbe dovuto ripopolare la speranza e quindi … il futuro.
“mi meravigliate, cavaliere. il destino di vaenesius è appeso ad un filo, eppure vi ostinate a giostrare. tutto è nelle vostre mani, basterebbe un semplice gesto, un piccolo atto di buona volontà. la città sta per cadere. se i vostri non abbandoneranno le linee, il maglio del presidente si abbatterà con una tale violenza da far tremare l’universo … suvvia, ragionate: la memoria in cambio della vita. in fondo cos’è vaenesius? guardatela: ammiratene il mare e la nebbia, i declivi ad occidente e ciò che rimane dei marabutti ad oriente. avrete orzo vitale in abbondanza. una vostra parola e arresterò la furia. siate ragionevole e verrete ripagato.”
“ciò a cui dovremmo rinunziare è più di quanto possiate immaginare. lealtà, fede, onore …”
“avrete salva la vita.”
“non basterebbe …”
“le vostre misere scorte di "drusen" sono in esaurimento, pensateci cavaliere. potrò accordare alle future generazioni i viaggi verso orione e ai figli dei vostri figli verrà concesso il ricordo …”
“ci renderete schiavi … il "drusen" è la memoria, ma scendere a patti equivarrebbe a vivere nel terrore. preferiamo soccombere, morire in dignità … soprattutto liberi di decidere.”
“il drusen, cavaliere … il drusen …”
“basterà … “
“e sia. a voi la mossa!”
la città era al collasso. i rivoltosi allo stremo. l’esercito del presidente, dopo due lunghi anni d’assedio, era sul punto di sferrare l’assalto finale. i sopravvissuti opponevano una disperata resistenza, ma eccetto per i cunicoli tra le periferie est e il fiume olson, tutte le barriere difensive erano andate perdute. la speranza del mondo giaceva a settanta metri sotto terra … e nell’attacco del cavaliere sull’ala di donna del principe demetrius, la morte.
sul colle era la nebbia. quell’inverno aveva già visto la neve. vaenesius era l’ultima città del mondo.
il cavaliere chiuse gli occhi, riempì il torace e aprì il rubinetto del piccolo contenitore di metallo. il drusen andò in circolo in pochi istanti. quando il composto neurochimico sollecitò il primo dei ricordi, l’uomo venne pervaso dalla solita sensazione di leggerezza e benessere. non appena riaprì gli occhi, volse lo sguardo tra le nubi e vide la stella più luminosa … ed ebbe il suo ricordo, il padre: “i grandi saggi ci guardano da lassù. sapremo esserne degni?”. a quel tempo, il padre, reggeva le sorti della VII dinastia e sul pianeta regnava la pace. i viaggi verso orione procedevano a ritmo serrato e i cacciatori di stelle, i cavalieri del regno illuminato, gestivano il mercato del drusen rifocillando le intere masse dell’amministrazione galattica dopo la II Grande Guerra Neuro Chimica. grazie all’elaborato magico, estratto dalle profondità dei deserti del sahara e del gobi, gli uomini erano tornati in possesso della memoria. ne bastava un grammo al giorno … per tornare al passato e guardare, con ritrovata saggezza, al futuro.
"quel tempo" era il tempo della vita. i cento cavalieri del regno illuminato possedevano l’arte del comando e guardavano alle sorti del regno con quel lieve timore che il buon padre di famiglia ha nel cuore dopo giorni d’odio e d’ignoranza. custodivano il segreto del drusen e della molecola-innesco, tramandandone il codice alle giovani generazioni di cavalieri, pronte, nell’alternarsi dei giorni, a sostituire la sapienza dei vecchi. era il tempo della diligenza e della ritrovata fede. le ricchezze del dolore, accumulate nel passato, maturavano tra le messi del presente, disegnando le distanze tra il bene rigenerante e il male oscurante. le sofferenze patite durante la guerra riflettevano come specchi, rigenerando pazienza e tolleranza. uomini liberi e di buoni costumi servivano la causa della vita come il buon muratore disegna, con la squadra e il filo a piombo, le misure tra i lati di un tempio. la vanità, come l’egoismo, la materia, come l’avidità, erano i baluardi del ricordo, perfetti, soprattutto, per seguire, e non dimenticare, la via sacra della luce.
in "quel tempo" era il tempo della vita, ma l’avidità di alcuni potenti scatenò la più furiosa delle guerre decimando la popolazione e riducendo il pianeta in un cumulo di sabbia e di sangue. vaenesius, con gli ultimi cacciatori di stelle, resistette per due decenni. ma da due anni ormai, la speranza era sotto assedio.
così venne il tempo della morte. quello era il tempo di demetrius.
“ho conosciuto vostro padre … abile stratega e uomo smisuratamente saggio. sotto il suo comando vaenesius ha conosciuto ricchezze e pace.”
“saprete, allora, che erano la fede e l’onore a tenere il regno … “
“perdonerete la mia insolenza, caro cavaliere, ma ad alimentare il potere, a quel tempo, non fu la fede. la forza, forse, e il ricorso alla più oculata fra le strategie, certamente.”
“chi edifica un tempio riconosce alle braccia e al cuore quel giusto valore … “
“l’onore? soltanto un concetto. la fede? un’idea priva di un qualsivoglia fondamento razionale. dove vi ha condotto la fede? e questi splendidi ideali, vi libereranno dal furioso giogo? cavaliere: quale tra i vostri dei ricorrerà in vostro aiuto?”
“non vi biasimo per la rozzezza che pervade il vostro cuore, ma per i vostri manchevoli convincimenti siete stato condannato in eterno … e nonostante sembriate così acuto, ho compassione della vostra ignoranza.”
“cavaliere: io non ho un cuore. la pietà non è tra le mie pertinenze … “
“ed ecco perché a voi sfuggono la bellezza, la forza e la grazia … “
“inutili merci, non so che farmene!”
“dite? eppure m’invitate ad ammirare i declivi ad oriente di vaenesius … “
“siate benevolo con voi stesso e lasciate che la memoria carezzi le dune tra i faraglioni ... sarà il tempo a riscattarne gli effetti … “
il cavaliere ebbe nel cuore "quel freddo".
“avete desiderato più di ciò che risultava possibile possedere. vi siete spinti oltre quell’inimmaginabile soglia. avete osato più di quanto avreste potuto. la materia vi ha ingannati, non la rozzezza del mio cuore … la scienza e la tecnica vi hanno posseduto, e non il mio male eterno … e adesso? ora, mio dotto cavaliere, a voi è stato presentato il conto e il timore di perdere tutto, vi spinge ad eludere il vero che è dinanzi i vostri occhi. non v’è onnipotente alcuno che possa donarvi speranza e salvezza. ai vostri piedi non è solo un cumulo di pietre, ma il vostro smisurato orgoglio. e tra le cataste di morti? no, non è la malaria, ma il vostro infinito egoismo. la bellezza? la grazia? avreste dovuto custodire e preservare la fragile potenza di quei doni, ma al vostro mondo non sono bastate pestilenza e disfatta. avidi, affamati … scegliendo, avete desiderato essere al pari degli dei, rinunciando così ai favori del ricordo e alle esigenze dello spirito. cent’anni fa, nel 2012, nel giorno dell'"antica sacra pasqua", vi venne offerta un’onorevole resa. avreste potuto riscattare il mondo e quei doni, di cui ancora oggi millantate il possesso. ma ingordi, vi siete affidati ai meccanismi del metallo, dell’oro, dell’apparire, della carne … invitandomi, alla fine e opinatamente, a banchettare con voi …”
“ogni uomo è portatore di un evento … e il sole è ancora radiante. nel nostro cuore, sono la speranza, il ricordo e la pietà. dei delitti e delle pene il mondo ne ha fatto esperienza. da oggi, da quando vaenesius s’è fatta sostanza d’odio, l’uomo ha compreso l’intimità del proprio evento: il vivente dio è in ognuno di noi … “
“sciocchezze, soltanto miserevoli illazioni! la vostra è la più fallace tra le logiche. l’uomo? la più biasimevole delle invettive. dio? la più stucchevole delle false dolcezze. abbiate la buona decenza di risparmiare il vostro intelletto. riflettete: scusate le scelte neglette che avete operato nel passato, ma non impedite al vostro orgoglio d’emergere disastroso. con una mano lesinate l’elemosina e con l’altra, in nome della morale più discutibile, impugnate la spada. il caos che avete generato vi renderà la pariglia e il sole radiante che immaginate tra rose e globi, sparirà presto dai vostri manchevoli orizzonti. cavaliere, ancora una volta: siate ragionevole … arrendetevi alle evidenze della sconfitta! saprò essere magnanimo e voi, col vostro mondo, ricomincerete ad inventarvi nuove e più plausibili illusioni. rinunciate alla vostra fede e alle venefiche tribolazioni della memoria. abbiate cura, non del trascendente, ma di quei nuovi principi regolatori che tengono ormai saldo il potere. estetica e scienza sapranno compensare il vuoto lasciato dagli dei. meditate: su questo scacchiere è il vostro destino … rinunciate alla giostra. vi risparmierò la gogna e il vostro nome riecheggerà in eterno. un vostro alfiere è già caduto e la torre, che avrebbe dovuto conquassare le mie difese, è a un passo dal vivere la più terribile fra le umiliazioni … ”
le ombre delle torri "century dream" disegnavano sul nero del mare, tormentati e sinistri incubi geometrici che, variando sul frastagliarsi dell’onda, originavano un’alternanza nevrotica di simboli a dir poco terrificanti. tra le darsene, al porto, i relitti dei mirabilia II, aereosommergibili a propulsione nucleare, galleggiavano incagliati nella sabbia. alcune schegge di cielo frantumavano sui vetri dei grattacieli devastati dalle bombe nucleari ad impulso elettromagnetico algerus terzo. tra la prima e la quarta strada, erano colline di polvere, rimodellate continuamente dai venti del secondo inverno nucleare. dopo la micidiale irradiazione termica, la coltre di fumo, nell'atmosfera da un anno ormai, aldilà dell’aver prodotto un raffreddamento intenso, con un calo di parecchi gradi della temperatura, continuava a mietere morte e distruzione. gli ossidi di azoto generati dalle esplosioni nucleari, raggiunta la stratosfera, moltiplicavano ancora paurose reazioni chimiche che, nell’arco di pochi mesi, avrebbero ridotto del 10-30 per cento lo strato di ozono. di conseguenza, la radiazione ultravioletta biologicamente attiva, una volta ridottasi la coltre di fumo sopra i cieli neri di vaenesius, avrebbe raggiunto la superficie terrestre con maggiore e letale intensità. anno 2112, dicembre: le conseguenze del conflitto erano lì, devastanti e visibili ai superstiti. il calo di radiazione solare e temperatura avrebbe avuto a giorni un immediato impatto sulle possibilità di sopravvivenza dei superstiti che, privi in gran parte di ripari adeguati, combustibili ed energia elettrica, avrebbero dovuto affrontare per settimane o mesi temperature rigidissime in condizioni di oscurità.
a vaenesius era la morte.
e il silenzio era il peggior tormento.
talvolta erano le blatte, spesso le esplosioni di shale gas della texana schuepbach mac d. energy, a dieci miglia dalla periferia nord. i giacimenti di gas di scisto che avrebbero dovuto garantire l'indipendenza energetica dell’euroasia, deflagravano a più di mille metri di profondità, tra rocce scistose e velenosissime combinazioni chimiche. la fede andava frammentandosi come polvere d’argilla e il dubbio si trasformava in ossessione. il solenoide facedream, percorso dalla corrente, continuava a produrre un campo magnetico misto a deflagrazioni di fosforo e ossido di zirconio.
la tensione magnetica originata dal passaggio di corrente nel solenoide andava esaurendosi e nell’enorme tubo, dove giaceva vaenesius, erano buio e aliti di scintille improvvise. "the magnific", il gigantesco cilindro in acciaio, torio e quarzo, come il sogno dei suoi padri ingegneri, andava irrimediabilmente deteriorandosi.
quella era l’ultima città.
là fuori erano solo enormi distese di polvere d’uranio. morte. silenzio, buio e blatte.
raramente erano le note calde e pastose di james b. little lewis. da quell’ultima radio valvolare, a settanta metri di profondità, irradiava la speranza, insieme al passato e al futuro.
dal colle, ad un paio di miglia da vaenesius, verso ovest si avviava al tramonto la piccola costellazione dell'ariete e quella molto più grande dei pesci sotto il grande quadrilatero di pegaso. sopra il vertice più alto di pegaso era ancora ben visibile andromeda con l'omonima galassia. altissimo in cielo, vicino allo zenit, splendevano perseo, e appena più un basso, l'auriga. di poco sotto irraggiavano nella volta il toro con le pleiadi e poi orione, il “grande cacciatore”, la costellazione protagonista incontrastata di quel cielo invernale.
in quella fredda volta e senza luna, le quattro stelle brillanti luccicavano ai vertici del quadrangolo irregolare: in alto a sinistra betelgeuse, rossastra, a destra bellatrix; in basso, a destra la bianchissima rigel e a sinistra saiph. le tre stelle allineate al centro del quadrangolo continuavano, fiere, a rappresentare la cintura del cacciatore.
il cacciatore orione era accompagnato in cielo dalle due fedeli costellazioni di sempre: il cane maggiore verso sud-est, con la brillantissima stella sirio, e il cane minore a est, con procione come stella più luminosa. sopra orione, leggermente a est, disputavano i gemelli con castore e polluce.
prima di tornare alla partita, il cavaliere ebbe il tempo di inalare ancora un po’ di drusen. oltre che dal consueto benessere, il suo spirito venne pervaso da un’impareggiabile senso di pace. giunsero i ricordi e con questi alcune tra le infinite giostre che soleva disputare coll’amato padre: “non dimenticartene figliolo: tattica e strategia”.
dal colle erano le stelle più luminose. il mondo, almeno in apparenza, mostrava più vita di quanto se ne potesse immaginare e il tempo, tra le sue eterne curve, disegnava i consueti immodificabili conflitti. la storia, nonostante le brume del caos, avrebbe superato il tratto del dilemma, raccontando al futuro germe umano l’impareggiabile resoconto della fine.
le tempeste magnetiche, provocate dalle stelle dense, tra rimbalzi e slanci di energia, generavano potenti raggi cosmici, producendo, per la collisione di protoni e ioni, fasci intensi di luce aldilà dell’ultimo orizzonte percepito. ma erano istanti, alla fine l’universo tornava al buio della sua eternità.
i due giostranti, uno di fronte l’altro, aldilà dell’influenza che avrebbero potuto agire sulla già perfetta sequenza d’istanti, recavano alla storia del mondo il segreto codice della rinascita.
demetrius appariva indifferente, quasi svogliato. quel disordinato compiersi d’eventi probabilmente avrebbe preceduto il culmine di un’epoca, eppure - sebbene il suo spirito sapesse l’eterno - nulla sembrava scuoterne l’intimo. il suo livore, come il nero profondamente disegnato nei suoi occhi, manifestava forse l’incarnarsi dell’avidità e più di quanto potesse il terrore, nella sua voce rimbalzava il sentire dell’odio. ma era soltanto … la morte. viva, possente … la morte. dalle mani di lazzaro, da sempre.
“ricordate il patto cavaliere: se doveste perdere, ordinerete ai rivoltosi la resa immediata e alla mezzanotte del 24 dicembre mi darete la vostra vita”.
“non abbiate timore demetrius … è alla parola di un cavaliere a cui vi siete affidato. avrete la mia vita insieme ai ricordi di vaenesius. ma se il destino vi sarà avverso porterete la vostra falce al di là della linea dei marabutti … per sempre.”
“la vostra vita non è affar mio. ciò che desta il mio interesse è la fine e non il principio. non discuto le scelte o le omissioni dell’uomo, né intendo preoccuparmi delle implicazioni che levano dai volubili mari di quella certa morale. stenterete a credervi, ma spesso, taluni stolti, stanno lì a sostenere che dalla mia opera si generi bellezza. ho solo un dato certo e da esso ne ricavo una perfetta consolazione: in me è la perennità che si rinnova dalla fine. e adesso, caro jesus, se il tempo non v’incomoda … “
“pedone in c5 …. “
a quella mossa, demetrius sorrise.
il destino del mondo, da quell'istante, era, irreparabilmente, compiuto.
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