
“Mi senti? Ok … fa piano, ragazzo. Ecco, così. Non mollare, non farmi questo.”
“Fa male, cazzo … fa male …”
“Hai ragione … no, non chiudere gli occhi. Guarda me. Abbiamo chiamato … due minuti e arrivano.”
“Sto morendo, vero?”
“Non sparare cazzate: tu non vai da nessuna parte!”
“Non lasciarmi la mano …”
“Non ti lascio … io sto con te.”
“Lo zainetto … “
“E’ qui … tranquillo, te lo guardo io.”
“C’è la mia “promessa”, là dentro …”
Era Ernesto a “tenergli la vita”. Aveva sangue dal naso, dalla bocca e dalle orecchie. Brutto segno: il ragazzo stava andando via …
“Ricordi? Cazzo: era poco più che un ragazzo!”
“Fa ancora male, Camì.”
“I suoi occhi …”
“La sua mano …”
Era la pioggia, ma alla sera. Non era freddo, ma “faceva” una di quelle giornate che, malgrado “quelle solite migliori intenzioni”, fanno fatica ad arrivare alla fine. Sai una di quelle infinite discussioni con la tua tipa? Lente, aride e inesorabilmente inutili? Si, proprio così. Una di quelle che solo “dopo” t’accorgi e solo quando “è” qualcosa in mezzo. Una di quelle che è sempre troppo tardi per capire e ancora tanto, troppo presto per dimenticare. “Mani in tasca, occhi in terra e un passo dietro l’altro, su per il viale, con “quel peso” dentro, a cercarti un posto, ma lontano da casa, soprattutto “fuori da te” … ad immaginarla è così “una di quelle giornate”. Una di quelle che, con l’inverno tra gli scaffali del tuo museo sentimentale, “ti porti in giro” e non vai da alcuna parte. Avete presente quando si dice: “porca puttana che giornata del cazzo!”, ecco, così … è lì e non è ancora passata.
Era una di quelle giornate che se ci morivi avresti concluso il peggior affare della tua vita … una di “quelle” che eviti il “primo”, e sei bravo, ma ci rimani sul “secondo”, e sei il consueto coglione centauro da trafiletto in “ultima”. La sbandata, la scivolata, l’impatto. Col buio, la pioggia e con il tipo, magari lo stronzo bevuto col SUV, che scappa.
Micidiale silenzio.
La sgommata.
E l’acida pioggia … su quella macchia liquida, oscena.
Una di quelle giornate che tutta la vita ti passa di fianco, ma fai fatica a capire che “quella” è la tua vita e proprio “quella” sta passando dentro il tuo ultimo dannato, fottuto istante. E’ lì c’è tutto, ma proprio tutto. Soprattutto quel sentimento liquido che ti scende caldo in gola: la stronza paura che deglutisci e poi spingi tra gli sfinteri dell’anima. Uno di quei giorni che non ha fame, come uno – e peggio - di quei piccoli uomini, grigi e cravatta, “vogliette” al polistirolo e famiglia munito, ma con la bisaccia stracolma di pornografici pruriti.
“ … e pensare che le ho scritto per sempre …”
Una di “quelle” che più le scortichi dalla pelle e più ti entrano dentro, tra incognite di dossi e miraggi di ombre.
“Nello zainetto, c’è la “sua” lettera …”
Una di “quelle” che c’è la pioggia, ma lieve, lenta, “inutilmente battente”.
“Era arrabbiata … e le ho scritto la lettera …”
“Gliela leggerai …”
“Avremmo chiarito, in fondo la conosco … “patatine e divano”, è così che m’avrebbe detto …”
“Tranquillo, vedrai ...”
“Fa male … brucia …”
“Pochi minuti ancora e arrivano, dai … forza!”
“Non c’arrivo …no, non c’arrivo proprio …”
“E invece si … e ti metteranno a nuovo.”
“Nello zainetto …”

“ … Anna, si chiama Anna …”
“Bel nome, ragazzo … bel nome.”
“Già … “
“Io sono Ernesto.”
“Ernesto … io mi chiamo … cazzo, ho male qui, non respiro ...”
Una di quelle giornate che comunque vada sei tu a concederti “quell’ultimo ricordo …”. Già, il ricordo che vuoi. E’ l’ultimo privilegio, in vita, prima di concedere il culo all’inferno … e crepare.
“Claudio, mi chiamo Claudio …”
“Forza Claudio … stanno arrivando. Vedrai, Anna sarà felice di rivederti …”
“Dici?”
“Puoi scommetterci … “
“L’ho fatta incazzare … sarà nera …”
“Le passerà …”
“Ha il suo caratterino, non so …”
“Fidati, sono vecchio … certe cose le so, tranquillo: le passerà.”
“L’ho fatta grossa …”
“Le hai detto tutto?”
“Si … è tutto lì, nello zainetto … le ho scritto tutto.”
“Leggerà e capirà …”
“Anche questa volta?”
“Soprattutto questa volta.”
“Ne sei sicuro?”
“Più che certo: capirà.”
“Mi sembri suo padre …”
“Ah, ah … E’ così vecchio?”
“E’ così … così grande …”
“Anche lui sarà felice e tra un po’ sarete insieme …”
“Vorrei …”
“Animo, ragazzo. Dov’è che ti fa più male?”
“ … è dove ho più freddo …”
“Aspetta.”
“Grazie …”
“Ti terrà caldo e potrai tenerlo …”
“Davvero?”
“E’ tuo!”
“Cazzo!”
“Cosa …”
“Farti un amico mentre crepi … “
“Qui non crepa nessuno, se non lo dico io … vero Signor “Principale?”
“Principale?”
“E’ una vecchia storia …”
“Mi piacerà sentirla …”
“Ci sarà tempo …”
“Magari piacerà anche ad Anna …”
“Ne sono certo …”
“Ho ancora freddo …”
“E’ la pioggia …”
“Arrivano?”
“Pochi istanti, fidati.”
“Non voglio morire …”
“Te l’ho promesso, no?”
“Si, mi fido. Puoi fare una cosa per me?”
“Certo, dimmi …”
“E’ la mia … quella, non è vero?“
“Cosa … “
“Hai capito … bene … la mia pipì … ti prego, non farmi trovare così …”
“Aspetta … “
“Si, ma non lasciarmi la mano …”
“E tu non lasciarmi la tua, amico mio …”
“Sono verdi …”
“Anna?”
“E’ per via di quelli che …”
“Non andare … parlami … Claudio, Claudio!!”
“… ho capito il mare.”
“Li rivedrai e tornerai al tuo mare …”
“Ce l’ho dentro, quel mare … qualsiasi cosa, ma …”
“Ma?”
“ … quel mare, come adesso, è qui … “
Paura liquida, sangue caldo. Indegna urina.
“Anna …ho sonno, ho freddo … Ernesto … Anna …”
“Aspetta, cazzo … non te ne puoi andare! La lettera, cazzo … la lettera!!”
Pioggia acida … inutilmente battente.
“ … ad ottobre … il suo giorno … tra un anno, non prima, né dopo … ho freddo. Mi dispiace … Dio … la “promessa” … Anna …!”
Non era così freddo. Era una di quelle solite giornate, con quel battere puttana d’acqua incessante. Una di “quelle” che in periferia, là dove tutto striscia uguale e lento, fa fatica ad arrivare sino alla fine. Al rallentatore, per tutte quelle “vite morte” alla moviola. Con “Lince”, - la Land dell’amico - eravamo lì, io ed Ernesto, solo perché non c’era un cazzo da fare ... e la periferia, con i suoi enormi spiazzi, talvolta, aiuta ad allontanarti dalle “cose cattive” che in quegli attimi ti scorrono dentro.
“L’hai portata, non è vero?”
“Si Camì, ma è passato un anno … E’ giusto?”
“Non lo so, ma lui “vuole” così …”
“Magari, “lei”, se ne sarà fatta una ragione …”
“E chi può saperlo?”
“Tu che faresti?”
“Ernè, sai bene come la penso …”
“Lo so come la pensi e so pure che appartiene a “lei”, ma il dubbio è feroce …”
“E allora? Giriamo i tacchi e via? Dammela che la brucio … dai.”
“No … “
“Ricordi? “Accada quel che accada …”
“Già … la mia lettera a Gà?
“Già …quella volta.”
“Dovevo … “
“Infatti … e adesso, dai … bussa che siamo in ritardo.”
Pronto?
Buonasera, mi scusi … Anna?

Si, sono io.
Claudio?
Abbiamo scambiato due parole in ospedale “quel giorno”, ricorda?
Si … non ho dimenticato.
E’ il suo compleanno, se preferisce passiamo domani, ma abbiamo con noi qualcosa che le appartiene.
Vi apro, salite …
Era una di quelle giornate, una di quelle che immancabilmente solo dopo “t’accorgi” e fatalmente e sempre alla fine, t’accorgi … che è già passata.
Oscena macchia di muffa sul solito vetro sporco di pioggia.
Si, una di quelle, ma una di quelle che io ed Ernesto ricorderemo per sempre …
SaF
a tutti quei "fratelli" che hanno
perduto il sogno della vita
"sull'acme" di quell'ultimo
dosso.
the originals
"..e la periferia, con i suoi enormi spiazzi, talvolta, aiuta ad allontanarti dalle “cose cattive” che in quegli attimi ti scorrono dentro.." sarei perso senza di essi.
RispondiEliminaspesso sono i nostri "altrove", quando quelle "cose cattive" inseguono i nostri cuori. la mia "periferia" è al mercato, tra cortili e penombre e quel cazzo di un quarto di nero ... con ernesto, nei mesi andati, è lì che ha fatto tappa il nostro "ulteriore". grazie brotha ...
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