Nella parte più riparata del cuore, è un giardino così soave da incantare perfino il fiume di sangue che là vi scorre nel mezzo. In quella terra, il viaggiatore, come l’”uomo alla cerca”, semina il suo grande sogno, distribuendo, entro i lati di quel perimetro fuggente, “memorie prossime”. In quella terra, dentro la pelle dell’anima, germogliano, tra declivi di prudenza e salti di passione, i “vorrei del cuore”. Lì sono gli assembramenti del convincersi e il germinare dell’idea e lì trova spazio la pazienza del risalire. Il viaggiatore, di questa terra, ne custodisce ogni sorta di seme, perché in ognuno di esso sa essere il trasfigurare della vita. Non so se avete mai fatto caso al “fruttato” vibrare della gioia, quando nell’animo, tale sentire, rilascia il sapore della “presenza”: si è mondo, suggeriva l’”ateniese”, allo stesso modo con cui le cose sono e non sono insieme alla partecipazione dell’essere.
Questa terra non possiede le ragioni di un’apparenza e non risolve l’intermittente falce del “motivo”, non lega chiaroscuri d’orditi e non è lì a morigerare caos di trame. Non compiace alcuna divinità e non dosa pesi, tra l’eludere e il conformarsi ai venti della vita … questa terra si fa sposa alle necessità di chi muove l’umiltà dello slancio.
“Non è tanto nel concepire il salto”, diceva mio padre, “ma essere spazio per il passaggio di quell’idea. L’azione del salto mostra il possibile, l’idea di esso, ancor prima del salto, ne svela invece, il sogno”.
Quando alzo gli occhi al cielo, per capire il vento, fermo, nel mezzo di uno spiazzo, tornano le parole del mio vecchio. E’ lì che sento la vita vibrarmi dentro e aldilà di ciò che guardo. In quella circostanza, necessaria tanto al cammino, quanto al declinare della “lentezza”, immagino che da qualche parte nel mondo, lontana o prossima ai miei occhi, è l’”Isola dei Re”.
L’”Isola dei Re” trova posto nella parte più intima del viatico del pellegrino. Quell’isola, credetemi, non è solo la pista oltre la fine o la rada dopo il mareggiare; in essa trova confine l’ultimo tra gli ultimi passi, quello che il viandante segna nel suo taccuino sentimentale, come l’ultimo azimuth: la distanza compresa tra il “tentativo dell’idea” e il farsi carne di quel medesimo tentare. La generante alchimia, prodotta da questo “ascendere verso”, provoca il “tumulto del diamante”, il definirsi di quel vertice sacro, da sempre agognato dal pellegrino in cammino.
Per alcuni è la meta finale, per altri è la dislocazione perfetta: l’affermarsi dell’idea.
“E’ questo?”
“Afferralo!”
“Sicuro, Ernesto?”
“L’hai sognato da una vita e ne hai inseguito il soffio, quindi …”
“Ho da fare un ultimo passo …”
“E’ come il primo: come in strada, il più importante …”
“Ho paura, fratello …”
“Solo gli stupidi dicono di non averne.”
“Lo so bene Ernesto, ma resta il fatto che sento scoppiarmi il cuore …”
“Ed è quello che accade a gente come noi. “Dietro l’angolo del crepuscolo, muove l’imponderabile”, ricordi?”
“Si fratello, ricordo …”
“Hai doppiato il tuo crepuscolo: hai l’ultima mezzora di luce.”
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ernesto & camilo |
Il viaggiatore esperto sa che tra crepuscolo e buio, è un “soffio di luce”. In quella frazione di tempo collimano spazi di scelta così importanti, da imporre, anche al più navigato maratoneta delle altezze, il granito della calma. Basterebbe quell’improvvido esitare per precipitare tra le braccia dell’errore e di sotto non vi sarebbe alcuna rete di protezione per sostenere il dramma dell’urto: un’equazione per due incognite … la più difficile, visto l’imprevedibile scarto tra il salgemma della superbia e la letalità della menzogna. Dentro questo spazio, tra il consueto delle distanze e il ridondare del quotidiano, è la folgore dell’inatteso: il salto.
Ho abituato la mia vita a vivere tra le altezze e sul camminamento del tentare ho segnato a lungo il passo. Ho preferito, ai monumenti della sconfitta, la scenografia del peccato, vibrando tra le guglie dell’inverosimile e i cristalli dell’ingovernabile. Ho lasciato che la “metafisica del vento”, intonasse il suo canto ai delitti dell’oblio, edulcorando il dubbio con l’idromele della finzione. Ho imparato la dimestichezza dei funamboli, lì a tempo, sul pentagramma della nebbia, emergendo dalla retorica dell’impareggiabile. Ho moltiplicato multipli di miraggi per temperare il vino dei gaudenti con l’acqua degli illusi. Ho sbranato il mio cuore concedendo a quel “cielo di vento”, l’inutile osanna del bilico.
Alla fine … un cielo senza gusto e quell’ultima mezzora … l’”isola dei Re” giunge nelle cose del tuo cuore subito dopo aver compreso che non esiste “sacra distanza” tra i meridiani del mondo, se non ti fai distante da te stesso. L’”umiltà dello slancio” ti fa terra e spazio, allo stesso modo con cui il vento disegna nel cielo le prerogative dell’eterno.
Era febbraio e il freddo invitava alle cose buone e lente di casa.
Hank preferì la strada. Inchiodò il bitume al mattino. “Sara”, la sua street bob, avrebbe dovuto macinare olio e cromo: c’era il desiderio di doppiare l’isola.
“Vado con Ilenia, porto la mia fiaschetta e sarò di ritorno al pomeriggio …”
Hank è un soldato. Conosce la strada e onora l’asfalto come pochi sanno. Prese la strada al mattino, dando posizione a me e ad Ernesto, tappa dopo tappa. E’ la regola, tra i SaF, quando si viaggia in solitaria. Attraversò Agrigento dopo pranzo e fece tappa a Gela nel primo pomeriggio. S’inerpicò per le colline tra Caltagirone ed Enna e alle 18.30 stazionò a Sacchitello, l’area di servizio in territorio ennese.
“Fratello sono a Sacchitello. In strada è un freddo della malora …”
“State bene? Ilenia?”
“Ok fratello. Ilenia è a posto … Qui, solo dannato freddo …”
“Pioggia e ghiaccio?”
“Né l’una, né l’altro, fortunatamente …”
“Hai la tua mezzora di luce, lo sai …”
“Lo so … “
“Sono centoventi chilometri …”
“Faccio strada …”
“Hank … è il tuo crepuscolo, pensaci. Passa la notte a Sacchitello. Io o il Presidente recuperiamo Ilenia con Lince o con il mio Vitarino e all’alba facciamo strada insieme.”
“No, vice. Thè caldo e cioccolata … e riprendo … conto di fottere la mia mezzora ed essere alle porte di Palermo in tempo.”
“Ok … vai a manetta con la luce e poi occhio vivo …”
“E’ quello che farò. Fotto la mia mezzora e sto in campana col buio.”
“Occhio vivo fratello. SaF.”
“Hasta luego, SaF.”
Hank fece sua la “mezzora” e precedette d’un soffio il buio e proprio alle porte di Palermo. Calcolò, e bene, i rischi e anche quel giorno portò culo e palle a casa.
“La mia mezzora, Ernè …”
“Si Camilo la tua mezzora e aldilà di quella … cazzi!”
“Il “salto …”
“Per l’appunto: il grande salto.”
“Scrittura e progetti …”
“Non saranno soltanto quelli. Strada e tante, tante scelte consapevoli …”
“Mi mancherà quel vento?”
“Fratello mio: dove ci ha portati quel vento?”
“Da nessuna cazzo di parte …”
“Sbagliato.”
“Come … “sbagliato”?”
“Coglione, ti ha portato alla tua mezzora …”
L’isola dei Re è “il tumulto del diamante”. Come ogni viaggiatore, io la cerco da sempre. So che c’è. Si dice che in essa siano la pace e l’”oro della vita”.
“Come un orefice prende la materia di un gioiello e con essa foggia un disegno nuovo e più bello, allo stesso modo questo atman, scrollandosi via il corpo e rendendolo insensibile, ne foggia una forma nuova e più bella: quella di uno dei padri” (Brhadaranyaka Upanisad IV,4,4).
La sperante madrepora tra i salti dell’abisso, oltre Xitta o ad un passo dal mio cuore, sarà origine di un’illusione, ma la strada che conduce ad essa è terra sacra … è terra di “rinascenza” e in essa io … mi perderò.
Questa terra è l’”Isola dei Re”.
SaF
bello...sai cosa rivedo nelle descrizioni che ho letto? il misticismo di gibran e la dannazione di baudelaire....e tante sensazioni che non so descrivere ancora o forse sì: uno squarcio al cervello, un riassetto d'idee.bello davvero.
RispondiEliminagrazie ... è l'isola dei re .... uno squarcio al cervello e l'affermarsi di un'idea.
Elimina...affermare l'idea, relizzare l'utopia..lo stato di grazia ideale?...non saprei...mi perdo e ritorno al pensiero pirandelliano nell'eterna contrapposizione dell' essere e dell' apparire...e mi perdo nella rete sinaptica del riassetto d'idee nella mezz'ora che precede il crepuscolo.
Eliminaper me, semplice viandante, quell'utopia è nel viaggio, tra la mezzora che precede il buio e l'alba che disegna l'orizzonte prossimo.
Elimina....quindi "adda passà a nuttat"....:))...la tua opera è bella visionaria ed innovativa,per quelle che sono le mie competenze letterarie..resta il fatto che mi squarcia il cervello ed il pensare...e tu scrittotre d'impatto ci riesci e bene. complimenti!
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