vorkuta breeze

"deciso?"
"ho altra scelta?"
"fino all'ultimo ... puoi sempre cambiare idea ..."
"mi conosci, ernesto ... "
"ti conosco fin troppo bene, coglione ..."
"dammi il pugno ..."
" ... occhio vivo."
" ... giù tu giù io!"
queste, tra me ed ernesto, il mio amico di sempre, le ultime parole ... prima del viaggio. da quel solito cazzo di un rito ... la mia jessie e tanta, tantissima strada. il viaggiatore esperto sa bene che in realtà si fa strada ancor prima di prendere il bitume. talvolta sono i ricordi, spesso i rimpianti ... scelsi con cura quali, tra questi, legare al mio viatico. mia madre e mia figlia, ricordi e rimpianti. risultò sufficiente una sola cinghia elastica e con questa legai a "quelli" la bisaccia di pelle, ricolma, per la circostanza, di nuovi argomenti. mappe, una fiaschetta d'assenzio, chiavi in pollice, set lampade, candele, olii, una lama da "16", una compatta kodak, il moleskine 2008 e la "foto". nella borsa serbatoio, invece, l'occorrente giusto in caso di tempesta. pochi ricambi e molti comparti vuoti, nella mia bagster a magneti; poche speranze e il medesimo sogno, nel mio cuore a ghiaccio compresso.
ero in piedi, di fianco a jessie. il sole, sotto l'orizzonte, illuminando dal basso la luna, disegnava nel vento un raro veticale. sull'acqua, "soltanto il mare". il mio treno, nonostante non sapessi da dove e a che ora, tardava a giungere su quel tratto ferrato.
le soste, in viaggio, sono capaci ...
chissà perchè, ma quel solco si trasformò nella mia mente in una sorta di lungo spartitraffico: da una parte l'"ormai", in mezzo l'"adesso" e dall'altra ... dall'altra, forse, solo una maledetta illusione. aspettavo che quel treno passasse e mi concedesse la strada. lungo quel tratto in discesa, avrei incontrato il mio altrove e forse un pò di vento ... girai le spalle alla sbarra e raccolsi, come da terra, tutto il mio passato. la mia vita prese a scorrere, lungo l'inconciliabile parallelo, sbiadendo tra gli ultimi pali in lontananza. disimparai per un attimo l'ingombro della malinconia e tornai a guardare il mare, oltre la sbarra, immaginando, tra quelle onde, la grande promessa.
quando tutto tornò al silenzio, dal diradare di una modesta collina sopraggiunse il treno. era un merci: lunghissimo, possente, nero. chissà da quale regione arrivava. chissà da quale vita, chissà da quali segreti orrori. mi piacque immaginare la siberia. e di quella immaginai i lupi e la neve.

il posto era quello. il tempo pure ... e la casa ... era identica a quella della foto ... i miei vecchi avevano ragione e il destino, torto.
"lo deportarono in russia ... nella sua ultima lettera, una foto con su scritte due incomprensibili parole: jurmala-vorkuta ...da quella volta, dal 1944, del mio pietro, più nulla."


vinto dalla stanchezza, mi lasciai andare alle cure di quel raro "soleluna" russo, che lì, sanguinante rubiniccio, dilagando da quell'impareggiabile verticale, dalla linea ferrata ai diamanti del baltico, faceva grande il mondo.
il viaggio, era appena iniziato.
vorkuta, la mia promessa.
Photo, Train "clicks" trough time!, by S.M.art.
Photo, Train "clicks" trough time!, by S.M.art.
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