obitorio
palazzi, come puntali venosi. piazze, come carni aperte e tagliate. una periferia, tutta penetrante il cimitero tiepido del centro. nel mezzo di quel centro, tra intestini malati e inaccessibili domani, un bar privo di vetri, ma ricco di arancini e blatte. di lato, un "venirsene" lento di muri e di santini di carta, appesi a testa in giù, impiccati per il culo a spilli e pinzette. una risma di birraioli scontenti e una cancrena di tendini rifatti, a piombo, sul solito commercio di paradisi variabili. come sempre, intermittenze di maschi ricurvi e di bambini fosforescenti. ciclopici guasti. un'oltre steso su un asettico lettino. un fuggire di cose, senza denti, né pretesti. tra clamori di fango e stagnanti battone. un cerchio d'uteri con irrimediabili accessi: di là il mare e di qua il muro. orizzonti azzoppati, solo un fottere costante, su per i vicoli col battere osceno delle consuete puttane promesse. e ancora, fetori di piscio sottobanco ed enormi pubblicità di carne macellata. l’odore è violaceo, conturbante e leggiadro … nozioni di desiderabile morte. e di parole al megafono, sempre le stesse, che disegnano indegne, al palato dei sempre soliti morti di fame, incomprensibili e fatiscenti grammatiche del cazzo. tra i visceri molli, la città che fa finta, con la fame e la sete, le onoranze, il palazzo e quelle mille facce che sanno di prurito alle palle. alla fine, un rimescolarsi di avvicenti delizie: pietra pomice e propagande di sperma speziato. e di femmine, possedute da demoni alati e da angeli cornuti. dalle derive dei bordelli, tra polmoni fatti di coca, l’approssimarsi degli occhi nostrani: picciotti che pregano, immaginando un ragazzo o un appalto … da alzarsi per bene. le voci sanno di vino, quello nero e sincero, in pietra, e le mani si pensano pugni, con quell’animale turgore da scaricare sugli zigomi delle altrui puttane coscienze. le mosche, già al mattino, vibrano con l’occhio occipite, tra le arterie aperte dei vitelli scannati. la lingua del bovine, insolente, resta uncinata all’acciaio di un ricurvo, richiamando femmine memorie e palati arabi di sabbia e di hashish: spessa, arrogante e nera lingua pulsante di zecche. al solito orario, l’aria salmastrosa del porto tenta un accenno alla madonna al rione, ma i fili passanti, da ringhiera a ringhiera, impedendo quel volersi in piedi, guastano ogni desiderio di riscatto. da qui non si passa, al contrario una lama è già eccitata e pronta a metterti a terra e a scannarti l’anima e la pancia.
mostruosi santi vanno in scena: sono i mistici in gessato, tra palazzi e prosceni, la legge dei bravi ragazzi. da millenni, i contigui allo sporco nascosto. da sempre. da satana al cristo, da un lato all’altro delle piazze, come ombre che succhiano cazzi.
lividi, come la febbre e pulsanti come un getto di lattice a pezzi. famelici, alla cerca di carne e di quel taglio di sotto, vogliosi di ficcare dentro un primo fendente, su ciò che muove e su quello che resta, ma restano fermi, vigliacchi nel tempo loro ... di ramarri e di gechi, di pidocchi e di ratti, con la terra e le cose di sotto, col pugno pieno di dio e l'intenzione colante di sterile sperma. l'autopsia del cielo è pronta per essere eseguita.
il mare non va oltre quel muro e l'imbarazzante domani ha già una lama nel culo.
da qui non si passa.
vbz
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