23 luglio, 2014

Trilogia del veleno, di vitobenicio Zingales


Trilogia del veleno

avrò cura

ti scrivo con quel medesimo affanno che le ciurme vivono doppiandosi nel ricordo, fra una moltitudine di morali aggrappate agli ingombri del laddove forestiero: dalle nebbie inconsolabili del fraintendere, alle chiatte indecorose dei ritardi. sento più che mai l'irrimediabile, quel perdurare di crimini imbecilli, subalterni alla noia: tu da una parte e io alle sintassi  del polo opposto. ragazza mia, subiamo la quiete vecchia delle incertezze, ma non ci appagano le nevralgie del dubbio, anzi il macerarci che ci distingue, odisseo ordinante di profitti a tempo, mastica comune acquerugiola e più di quanto avrebbe potuto l'allusione antica agli oceani della rotta. non c'e' più tempo per incarnire stive o tessuti d'abitudini. non innesca altra chimica, tra noi, che sappia fomentare ancora anagrafe alla gioia. no, non c'è inganno nel mio dolore, malgrado quel sanguinare lento che fa prevedibile la conseguenza e che tu, invece, hai ritenuto essere solo un mostrarsi insolente di infantili doglianze. ragazza mia, i miei frantumi, tra aberranti cautele e scarificate attese, ora che tutto è smesso tra noi, depongono al ricavo inammissibile di questa emorragica delusione: siamo ferite aperte al cibo della desolazione e alla mistica grossolana della vendetta. siamo quel dissimulare pretestuoso, lento ... a goccia. credimi, il fermento dei ricordi, come il gusto all'indifferenza, dopo secoli di stantii intendimenti, trascina dietro solo l'avariare del fraseggio più incontenibile: il rancore, il sospetto, la miseria. e che tu lo creda o no, ma dalla terra di quelle irritanti presunzioni, solleviamo solo cumuli di boria. e' vero, ho sostenuto dio e satana col medesimo egoismo adorante, allungando la cima dell'inganno al dominio delle più inessenziali  e vacue tra le aspirazioni estetiche ... che inefficace delirio! l'azzimarsi di ciò che resta in vita, oggi, mi fa oltremodo vinto e, di quelle chiese, racimolo in pezzi le santità oscene di quella deplorevole, contabile collezione: omissioni depuranti, fallimenti pretestuosi, balsamiche vigorie, baldracche intenzioni. mi fa mesto non il rassegnarsi alle avversità, ma quel decoro alla morte che, malgrado il pretendere rubizzo, dovremmo classificare allo sguardo dell'animo e farne dottrina di impasto e spora di cemento ... ci siamo, invece, raccontati allo sdegno e all'irretire della colpa. cos'altro, dimmi, di più penosamente vivido potrebbe il cabotaggio del promettere? confessami: esistono in commercio delitti più detestabili di quel muscoloso, ma inoperoso intendere sentimentale? le merci dell'apparenza, negoziate per assimilarci al matrimonio delle ipocrisie, non bastano ad epurare i nostri mostri dalla carne del terrore quotidiano: il mondo esige la competenza all'inganno e l'ossessione alla misura. e corriamo, si ... corriamo, magnificandoci nell'assenza. ci siamo fatti pasto alle conclusioni prostitute dei miraggi e denti alla obbedienza del disincanto. adesso, germiniamo spine di coltelli e suffragi di malevolenza soltanto per insaporire lo spasmo al ristagno. siamo i remunerati dell'ovvio ... gli scompaginati dell'altrettale. siamo l'involucro al cedimento. alla fine, i tradimenti ... il prevedibile concerto dell'esegesi amorosa, l'inautentica sostanza morale del riscatto.

guardati: dove accadono le cose e' talmente lontano da ciò che ti costringi nel cuore da esserti straniero ogni infantile indizio. ti mancano ormai gli omicidi magenta dell'inatteso, le insurrezioni che gemmano clorofilla di bestemmie, l'incongruenza famelica dell'errore allo slancio ... la vita danzante che si fa nuda alle rapine del quando.

ed ecco, ti scrivo con quell'acclarato bisogno che il criminale sente nel cuore prima di discernere la sostanza dell'attesa dal rischio dell'effetto: la compatibilità del dispregio con la fuga.

adesso e' questa necessita' alla stanchezza, quel mormorio assoluto di caute invisibilità. quello starsene da parte nel modo del più friabile rumore...quel dente immorale, profumato a carie, che morde voli e affoga in chiacchiericci di tentativi. alla tua redenzione manca l'atroce meraviglia, ricordi? 

e io avrò cura di me ... perché l'amore non soffre, ma libera. 

Vbz


...e di me perderò 

alla fine, nostro malgrado e inclini com'eravamo ai privilegi dell'apparenza, regolammo il patto nel modo più conveniente ... d'altronde, l'estetica del farsi male e l'abitudine al danno deposero a nostro vantaggio, culminando la scelta di vivere come due perfetti estranei tra le pareti esangui di quel condiviso destino. l'altrove sentimentale, sebbene negato, risultò dai preventivi giornalieri giocati al netto della più ovvia crudeltà e non vi fu, tolto quel variabile periodo di "posticce consumazioni al banco", un solo giorno di collaudata tregua. istruimmo la vita a consumare meno errori possibili, concedendo alle pertinenze dell'omissione quotidiana i salvacondotti più moralmente accettabili. così ci risparmiammo la fatica di regolare altre questioni evocative che non fossero legate alla durata del mondo e alla più che sublimante inanità amorosa. delle nostre vedute incidentali, restarono i crimini degli obblighi coniugali e le intromissioni della buona creanza, tutte quelle miserabili faccende che testimoniano, con metodo e moderato dispendio etico, i protocolli della suggestione societaria, al di là della più perniciosa e imbarazzante ridondanza borghese. così, amica mia, anni or sono, riparammo verso quell'isola di contenimento chimico non negoziabile, scegliendo i posti meno drammaticamente olimpici, ma più favorevolmente istruiti ai nostri doveri contrattuali ... io declinai le mie riparabili solitudini alla stanza da letto, lui, obiettando non poco, prese la via del divano. l'unica condizione al galleggiamento, per carità sempre revocabile e in allarme, ancora adesso, resta nel manovrare l'accoppiamento all'esterno del perimetro murario: nessun amante o cerimonia ormonale in casa, pena la nullità del patto. lo troverai orribile, e intuisco la natura del dissenso, ma valuto molto più indecoroso l'andazzo ipocrita e meschino di quegli eroi di facciata che, emulando ecclesiastiche memorie, campionano oscenità sottobanco e miserabili  e secretati rendiconti sessuali ... imparammo, più per fortuita coincidenza che per agnostica avversione, a conversare con i morti, trascendendo le nostre rancorose differenze e ingaggiando i compromessi più igienicamente sopportabili ... una sorta di universo alternativo con muri provvisti di laringe: del resto, il silenzio non può inghiottire tutto e l'insonnia, per quanto ferrigna, spesso risulta maldestramente fallibile. ti sorprenderà, ma riuscimmo, nell'assolvimento criminale, a creare una teoria della demarcazione, disegnando una mappa di confini diradanti le terre del rispetto e per quell'unica prospettiva laicamente evangelica: la riduzione del danno: lui abbreviò per quegli stupidi e muscolosi appuntamenti televisivi, io, forte di quell'euristica assorbita nel tempo, concessi alle mie adolescenze liberatorie una meno infiammante serie di periodici aperitivi, ovviamente a tema ... vista l'ossigenata e femminina fauna amicale. fortunatamente coabitiamo in centoventi metri quadrati di mutuo condiviso, con servizi personali e una terra di mezzo che si alterna ai nostri gesti dissimulatori senza il benché minimo imbarazzo. elogio alla cortesia, così ci piacque fingere la cosa, anche se trovo che la gioia del ribrezzo resti un capolavoro di sintesi egoistica oltremodo evoluta. eppure, sosterrai, fu amore tra voi ... come darti torto, amica mia ... di quella preistoria, quella che governava apologie inverse e dissacrava dogmatici nutrimenti, ne ricordo la parabola del veleno: dalla perfezione del pasto ai capolavori della fame. tutto rovino' in così breve tempo che l'uscita dalla cosmologia dei divertimenti non venne neppure controllata, così come non si lascio' obliterare quell'abbandono all'entusiasmo. furono pennellate di sensazionale cecità, dovute al più spregiudicato tra i crimini romantici: quello che ci esalta immortali alle atrocità del male più proditoriamente invisibile e ci restituisce vergini al morbo del rimpianto. si muore d'innocenza, amica mia, e si riconsidera il risalire allo slancio con quegli unici ristori sottratti alla sopravvivenza dello sbaglio. alla fine, si reitera il crimine, adducendo dio o satana all'incarnato del destino. in quei giorni, restò da sposare l'inganno al ricatto e perché si giungesse sull'orlo del baratro con odio consapevole e identici tassi di cattiveria, ci riproducemmo in fotocopie di esemplare crudeltà. in quella litografia del livore, amica mia, tutti i colori della ruggine: tradimenti, menzogne e pochezza, tra raffinate venature di avidità e pompata compartecipazione alla restituzione del danno. 

l'amore ... quale altro artifizio gotico tra ingovernabili prolissi al dispendio?

chiudemmo un accordo, tra buone prassi e strategici intendimenti, sublimando pretesti e crimini in potenza, soprattutto impedendo l'avanzare bellicoso di quegli scempi tumorali che anche tu, amica mia, vedi glorificarsi in tutti gli organismi uniti contrattualmente alla ingordigia dell'apparenza e dediti a rendere olimpiche anche le più incontinenti genealogie del fango.

oggi mi tengo le ragioni indivise di un mutuo condiviso e le scelleratezze di un più che salubre patto. lui rincorre talune verità dalle eminenze del suo divano, io alcune gioie, decorosamente ostentate, tra le tessiture del mio fantastico disastro sentimentale. 

Vbz

e di me sarai promessa

amica mia carissima,

decido solo adesso di affrontarmi e di levarmi dall'incomodo impiccio di restarti nella mente come il più oneroso tra gli atti da compiangere. non sono riuscito ad inventarmi quella nuova generazione di parole a cui forse illecitamente aspiravo, quindi, perdonerai il fallo arbitrario, ma tutto quello che leggerai giunge da quella proprietà comune di infantili indugi e deliranti messinscene. non c'è più tempo per rendere reversibili le distanze: il dolore pone condizioni indefinibili alla clessidra del mio sangue a pezzi. non c'e' alcun oltre da ripartire alle casseforti dei moventi ... da noi tace, ormai, ogni più piccolo motivo e l'ardire il lutto gonfia il petto al respiro dell'intesa che ho sottoscritto. finalmente mi libero dal più insopportabile dei delitti: mi affranco dalla brace criminale di quel nichilismo estremo che per ossessa virtù ha reso indegna perfino la mia paura. dovrei farmi raccontare dalla coscienza, ma ogni tentativo risulterebbe vano per via di quella particolare anemia che aggredisce gli scenari del disgusto, inclusa la minaccia della speranza. vorrei cercare tra quei cassetti, ormai estinti, gli indumenti immediati, tutto quel fragore di matrimoni contaminati e dirti le intenzioni di quella chirurgia della differenza appagata al bisturi del rancore, ma talvolta, la via al sentimento sceglie i camminamenti più umanamente impraticabili, elevando a segni le prossimità dell'invisibile. mi concedo, qui, solo di passare in rassegna tutte le cavità dell'acqua, dove con ordine hai manovrato prologhi infiniti all'assenza e resistenze ai privilegi elementari dell'attesa ... sei il peggiore oltraggio ai colori dell'abbandono, l'oceanico smarrimento alla rotta delle sementi, l'indecoroso frammento del più retributivo degli inganni. decido solo adesso di interrogare il mio disprezzo e non ti nego che il sangue, adesso, ricomincia a risalire la gioia dell'addio ... amica mia, inutile tornarti le abbondanze con cui hai stipato cisterne di insonnie e periferie di squallori ... sarebbe uno di quegli orrori bianchi a cui hai abituato perfino la capacità cieca dell'indifferenza e nel rammentarmi che sono ancora uomo, risulterà preferibile la fame del rimpianto, al cibo del risentimento. ed è più che certo, le facciate dei ricordi non accuseranno, neppure con malcelata gravità, i colpi ingordi delle ruspe. hai lasciato che i miei errori affogassero nella perizia della commiserazione, pretendendo da ogni singolo respiro un acido sorso di dignità. hai doppiato i promontori della più sorda solitudine, rilasciando agli spalti del mio rammarico quella portentosa deferenza che tanto piace ai sarti degli idioti: nulla di più soave per gli untori dello sfacelo. sei ancora la prerogativa all'ossessione, la mia perversa idea di infallibili coincidenze ... tutte quelle pozzanghere di concetti raccolti dalle derive dell'esclusione. si, amica mia, sei il costato al male indistinto, quella miserevole oltranza di fruttuose cattiverie poste a fondamentali tra le cancrene del rigetto. guarda quanto tempo versato in terra, guarda dentro la tua vista e cerca quel solaio di occasioni da ossidare alla rivincita della separazione. io mi piglio da parte, curando di trovare alla dispensa delle necessità quella fame di semplici clamori, quel meravigliato concerto di passeggiate rase al sole di maggio. mi allontano dalla chimica invasa per remunerare cosmogonie di nuovi e più che plausibili intenti. malgrado questo pulsare invitto che ancora tiene, dalla carne agli ossi, frequenze immorali e delittuose, scelgo gli imperativi della disfatta, i patiboli delle estremità, le retribuzioni incalcolabili della conseguenza. io scelgo i numeri che possiedono la sperante parte al resto ... la monotonia del suffragio sotto casa ... la pietà della meraviglia nel computare l'incoscienza dell'errore. tieniti il malloppo della perfezione e goditi gli anfiteatri degli applausi: la finzione mostra tanto più coraggio se è concessa alla maturazione del fallimento. 

resto dentro la salvezza, perché di me sarai promessa se istruirò i cardini dell'uscita.

in casa, come dappertutto in quel teorema di radenti, ma isolati tributi troverai ancora orditi di desiderio, trame imploranti, tessuti di inconciliabili richieste ... e tra le intercapedini delle mie ore solitarie, inodori quasi, ma visibili all'olfatto della più detestabile tra le melanconie, troverai tracce di allegorico dispendio: sono mie, quanto tue. sarà l'unico possesso che rammenteremo dividere quando la perspicacia del tormento indovinerà l'attimo dell'emolumento da compiere a saldo. 

ma ti conosco ... libererai la prigione con una passata di rimmel tra andito e barattoli di elemosine a colori e io, versato alla distanza lo sfavorevole dazio, tornerò alle ortografie della frontiera, recuperando, uno alla volta, i segni dovuti al favore degli inganni.

perché di me sei infausta, atroce promessa.

Vbz

io avrò cura
... e di me perderò.
e di me sarai promessa.

Vbz

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