Il solito rimescolarsi caotico inneggiava a quel risalire di inclassificabili rinunce, forse a quell'esimersi calcolato di opinioni tra dio e i due quarti sopravvissuti di "Gordons". Tutto giaceva proditoriamente ingarbugliato, ma sufficientemente attrezzato a rimediare quel genere di eventualità goffamente salvanti. L'abitudine all'inferno conteggiava gli ultimi disastrosi scontrini, foraggiando grammatiche di lamentose previsioni. Dentro gli occhi, su per quell'avvicendarsi alcolico di liturgiche consuetudini, l'autunno non possedeva alcuna coscienza, semmai ne avesse avuta una da suggerire al battere di quel tessere così insubordinato: un cimitero di cancelli usurati dal conseguire l'attesa al varco.
Alla sera accadeva il futuro, ma a distribuire tempo era l'incapacità a testimoniare un solo ricordo. Così, era sempre freddo. Ed inevitabilmente incerto.
L'irriverente penombra, informata al susseguirsi delle rampe, scorticava dalla sua porta il tentare quotidiano della luce: quel certo patetico manifestarsi al contendere dell'ovvio ... Ogni giorno, un risicare indegno, ma più seducente del Cristo aggrappato a quel gesso da scarto e appeso, di sotto in bacheca, tra mille, pervicaci annunci condominiali. Restavano ben visibili, costretti nella buca di latta, orrendamente smaltata, gli orli spiegazzati dei soliti osceni cataloghi e degli infingardi avvisi di mora. Perfino i rumori domestici lesinavano echi, ma l'inessenziale accoglieva la forma solo dal propagarsi degli odori. Venti metri quadrati di cinematografico casino, scena finale e antologie di ritardati rimorsi a parte. Una sorta di erutto antropologico, degno di quegli estremismi sentimentali conclamati in adolescenza. Non è che gliene importasse un granché, ma al punto della storia, quel concedersi in mezzo gli risultava dannatamente imbarazzante. Avrebbe dovuto calcolare la distanza, tra l'ultimo inverno incalzante e l'ennesimo catastrofico affare. Avrebbe dovuto supporre più di una alternativa ed esaminare, con aritmetico impegno, tutto quel prostituirsi di numeri tra i vicoli del suo impraticabile calendario. Alla fine, avrebbe dovuto imparare da quel declinarsi assente e mistificare la mostruosa tragedia di quella "regale compresenza". Dopotutto, tra vincitori e vinti è sempre il solito cialtrone di un Caino a rimetterci la faccia ... e lui, dell'infame, possedeva tutti i leggendari attributi. La geologia dei suoi inverni giungeva da un sotterraneo di scellerate decisioni e nonostante gli inqualificabili delitti contabili, giammai avrebbe eroso dagli errori commessi quel lievemente divulgato maroso di clinici rimpianti. Era il suo posto, la sua genealogia di abrasi rintocchi. Che ne fosse il titolare era più che evidente, e ai vicini, quel pretesto di pertugi tamponati alla buona, non sorprendeva più di quanto si doveva ai contorti protocolli della curiosità. Permanenti erano i gorgheggi della muffa, là affioranti ad immaginare ulteriori tentativi migranti. Il monolocale, tutto sfacciatamente a vista, fermentava nel proprio narcisistico godersi: divano letto e quattro fuochi includevano perfino l'idea compiaciuta di un soggiorno multiuso. Disdicevole e distrofico, ma superbamente economico, come la sua vita: grassa e intenzionalmente cancerosa. L'armadio a muro, con un biasimevole e genericamente democratico sviluppo di ante scorrevoli, sosteneva le ridotte pertinenze, bilanciando l'assenza della finestra con un più che lodevole impegno a distribuire formule e spazi. Il diritto alla luce procedeva dal secondo piano, balconi d'angolo compresi, ma per i suoi discontinui commerci, quel matrimonio fittizio recuperava pretese improbabili e immaginari solstizi solari. La scaffalatura d'angolo prevedeva compromessi impegni intellettuali e diffusi ricordi di ceramica: le bomboniere intasavano più della metà degli scaffali, surclassando quelli dedicati a ragione e sapienza. Null'altro, a parte le stoviglie inchiodate, senza un ritmo apparente, alla parete sovrastante il piccolo acquaio e un tavolo, di ciliegio, rozzo e spropositatamente grande.
Al primo piano, di quel medesimo androne, concimato a penombra, era l'ingresso ai suoi commerci. Al di là di uno smunto cartello, nessun'altra allusione: "affittacamere".
Modestamente disimpegnate da un andito squadrato, erano due camere. Identiche, perfino negli arredi. Subivano gli intendimenti del grigio, osando un sussulto solo al getto delle lampade. Nessun vigore, neppure un flebile slancio estetico. Ordinarie, fredde. Squallide. Non mordevano alcuna intenzione, neppure la più schematicamente prospettica. Non godevano del sole e rilanciavano alle pareti solo una moltitudine impertinente di silenzi accusatori.
Un cesso in comune sezionava il confine tra le due camere: una desolata terra di mezzo perennemente aggredita da rimescolii sonori e da lievitanti olezzi.
Ma l'altra faccia del grano mostra sempre l'inevitabile passaggio.
Le necessità imponevano rigore, soprattutto freddezza. Del suo detestabile posto ne aveva fatto il proprio viaggio: preminente non era la meta, ma il dislocare perfezione lungo la tratta.
Doviziosamente svuotato, sul tavolo, giaceva il cliente numero "trentasette".
Incapaci di vita, nelle taniche ribollenti disgusto, erano i resti dei suoi indifferibili commerci.
Vbz
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