
Quando Pietro mi chiese di tradurre il senso di quelle parole, provai una sorta di disagio. Pietro è un ragazzo della periferia palermitana. Poco più che ragazzo. Picciotto. Ha già fatto il gabbio. S'è ripreso però. Adesso sa computare. E scrivere. Sa anche firmare. Presto andrà a votare. Eserciterà il suo libero pensiero. E la sua vita nell'arte della Democrazia. Ha fatto un pò di galera. Per una rapina. "Alzava" le banche. E' già padre. Sa di "tamburo e 38", di colpi in sagoma e di "sgobbo" difficile. Ha fatto sangue. E' riamasto a terra. Sul catrame delle sue strade. Insomma una vita difficile. Al limite. Da periferia. Una di quelle che nessuno ti costringe, ma a Palermo... le chiacchiere e le promesse non spengono la fame. Anzi, talvolta la aprono. E di brutto. Che non ci sono Santi. Neppure quelli in gessato. Da quasi un anno è in prova. Lo Stato s'è preso cura di lui. Pare pentito. Di quelli che piangono sale. E a me piace seguirlo. Io sono un Siciliano e di una "certa semina" un poco me ne intendo. Da più di sei mesi, Pietro lavora otto ore al giorno. Spaccandosi la schiena e le mani. L'hanno spedito in Brianza. Saranno un paio di mesi che Pietro Calaciore, classe '79, dello Sperone, è da quelle parti.
Ha trovato il tempo per farlo e m'ha scritto una lettera. Una di quelle che certe volte è meglio lasciare perdere, una di quelle che l'inchiostro pesa come il piombo... tanto quanto la dignità vera di un Uomo. Una di quelle che se le leggi poi ti metti a fare i conti.
Le sue parole girano così.
Dottore caro, qui è freddo. Ma non parlo del clima. Qui è un freddo particolare. E' come se viene dall'animo. Con tutti i colori del coma e dell'acqua. Prorio così, assieme che non ci puoi far niente a dividere l'ombra l'uno dall'altra. Io non ci sono abituato. Non so come dirlo a parole, ma è freddo come il vetro. Negli occhi che guardo, nelle mani che incontro, nelle parole che sento. Pare come la nebbia che s'incrocia al mattino e alla sera. Sia che si fosse in inverno, sia che si fosse in mezzo alla canicola. Qui tutto gira regolare, ma solo in apparenza. Lei lo sa, la galera l'ho fatta e la vita l'ho imparata in strada. Fra lame e pallottole, pane e miseria. Insomma, qualcosa dalla vita, io la so. E mi creda, basterebbe un chiodo fuori posto, per fare crollare "puparo" e burattini. Ho vent'anni, ma "di sopra" me ne sento il doppio.Dal cranio al cuore. E di gente ne ho conosciuta e mi creda in parola, di tutte le risme. In grigio, spente, finte e a colori. Mi ricordo i catanesi, i romani, i pugliesi e i fratelli napoletani. I partenopei poi, c'hanno il sole nel cuore e quando ne inventano una... è solo musica che senti. Come da una banchisa di treni in attesa. Sarà forse il dolore oppure la fame, ma i meglio "cristiani" sono quelli che dicono sempre con gioia la vita, nonostante il mondo crolli di fianco e di sopra. Sarà che abbiamo l'Etna e il Vesuvio, sarà forse per questo che il sole a noi ci bacia l'anima e il cuore. Qui invece pare che giri tutto al contrario. Come se fosse il peggio inverno fra reti, tralicci e cancelli. Lavoro, alcool, lavoro... coca, soldi, sballo e soprattutto la noia. E ora 'ste ronde. Qui pare che c'impazziscono tutti. Io lo so che ci sono pure bravi "cristiani" e di "fino" e a "verso", ma 'sta storia di mazze e di spranghe sembra che a qualcuno tiri. E assai. Tanto che qui è un virus che s'attacca alle palle come allo scolo. Io non m'intendo di politica, ma in galera, gli "anziani", di quelli giusti a dovere come a lei, qualcosa me l'hanno insegnata. Soprattutto mi è piaciuta la vita di un picciotto che si chiamava "Pratone".
Ad uno di quelli che c'hanno 'sto virus l'ho incontrato proprio al mio arrivo. In Brianza.
Dove sto io è un paesotto di diecimila abitanti. Che si conoscono tutti, come nei paesi delle nostre parti. Dal primo all'ultimo. Come tra i "bracci" in galera. Dopo il mio arrivo, alla sera, ho fatto il mio incontro. E mi creda... è da quel giorno che ho capito il "freddo" e i colori che qui ha l'acqua. E "quel freddo" l'ho incontrato negli occhi di uno. Uno che di anni forse ne avrà avuto dieci più di me. Con tutto il dovuto rispetto, avevo le palle ancora fumanti per via della mia "pratica". E Lei lo sa Signor Giudice: i Carabinieri sono persone proprio precise. Di "fino". Che ancora, come a Lei, ci credono fino a morire. Comunque dopo ore e ore di "a domanda risponde", esco dalla Stazione e infilo il primo bar per alzarmi una lattina d'aranciata fanta. C'ho l'obbligo di firma e non posso sgarrare, ma una fanta volevo proprio farmela. Entro. M'avvicino al banco e ordino per cortesia una bella aranciata.
Il tipo mi guarda e mi fa:
"Ciao!"
"Ciao!"
"Dici a me?"
"Vabbè scusami", ci faccio.
"No perchè se dici a me devi darmi del Lei, miga sono un animale... "
Ora Signor Giudice, Lei lo sa. Io sono un ragazzo tranquillo. Ho fatto quello che ho fatto che era per fame. Ma ho pagato e anche duramente. Ho pagato il conto, ed è stato più che giusto che ne pagassi lo scotto, e nella rete non voglio più caderci... manco a crepare di fame. La luce che guardo negli occhi di mia figlia è la luce della vita mia. E che devo rigare dritto per due anni e per sempre io questo lo so come all'Ave maria. Ma la Dignità, Signor Giudice, a che prezzo si compra? Ma l'Italia, Signor Giudice, non è una soltanto?
"Casco male se ti dico che sei un terremotato siciliano? Coleroso e fetente? Io qui sono la Brianza e tu vali quanto uno stronzo africano. Quindi il "Lei" prima di tutto. Dopo ci può anche stare che mi guardi negli occhi. E se ti piglia male ricorda che io sono della GNI e che lì è la porta."
Dottore caro, cosa avrebbe fatto al posto mio? A Lei c'hanno fatto un attentato col tritolo e una palottola l'ha pure beccata... Lei lavora con gli infami e gli indegni e a questo qua gli avrebbe dato una di quelle risposte che l'avrebbe messo a posto.
.. culo e finti coglioni compresi. Io invece... forse... avrei dovuto e potuto fare di più. Ma non "ho la scuola". Lei lo sa, ho la quarta. Però mi sono ricordato di "quei libri". Quelli che Lei mi faceva passare in sezione e che quelli "studiati" mi facevano la cortesia di leggere nell'ora d'aria e dei laboratori. E io da uno di "quelli" ho trovato la mia risposta. Immagino, e lo spero per lui, che se almeno di una parola ne ha afferrato il senso, tutta la cosa ci risuona ancora dentro come ferro rovente e colante. Signor Giudice lo ricordate Sciascia? E' certo che lo ricordate. E io proprio da questo compaesano ho preso in prestito "china e creanza".
"Che le tue parole pesino meno del fiato che utilizzi per sprecarle è molto probabile, ma che l'intera tua vita pesi meno di quanto possa pesare il tuo capello più lungo è molto più che certo. Prendi nota adesso: sono un Italiano e per di più un Siciliano.Vanto per l'uno e fierezza per l'altro."
Bevvi l'aranciata dalla mia lattina. In santa pace. Gli voltai le spalle e uscii fuori dal bar. Lo lasciai lì. Nella sua nebbia. Nel deserto della sua noia. Nel mare della sua piccolezza. Nel freddo dei suoi occhi. Nel garbo della sua solitudine. Soprattutto col suo feroce sentimento di rabbia. Immaginai d'aver segnato punto. Non sorrisi. Anzi, sentii dentro come una specie di vuoto. Lo lasciai lì. Da solo.
Da mesi che non lo vedo. Da quella volta. So che ha fatto carriera nella GNI e che tanta altra ne farà.
E io nel frattempo avrò tanta carta ancora da firmare. E lettere da mandare alla luce degli occhi miei.
Ma ora è tardi. Le chiedo scusa. Domani avrò tanto da faticare. Le chiedo ancora scusa, ma in fondo Lei è lo Stato e a me fa bene parlarle.
Con osservanza
Pietro Calaciore, di Palermo.
Ha trovato il tempo per farlo e m'ha scritto una lettera. Una di quelle che certe volte è meglio lasciare perdere, una di quelle che l'inchiostro pesa come il piombo... tanto quanto la dignità vera di un Uomo. Una di quelle che se le leggi poi ti metti a fare i conti.
Le sue parole girano così.
Dottore caro, qui è freddo. Ma non parlo del clima. Qui è un freddo particolare. E' come se viene dall'animo. Con tutti i colori del coma e dell'acqua. Prorio così, assieme che non ci puoi far niente a dividere l'ombra l'uno dall'altra. Io non ci sono abituato. Non so come dirlo a parole, ma è freddo come il vetro. Negli occhi che guardo, nelle mani che incontro, nelle parole che sento. Pare come la nebbia che s'incrocia al mattino e alla sera. Sia che si fosse in inverno, sia che si fosse in mezzo alla canicola. Qui tutto gira regolare, ma solo in apparenza. Lei lo sa, la galera l'ho fatta e la vita l'ho imparata in strada. Fra lame e pallottole, pane e miseria. Insomma, qualcosa dalla vita, io la so. E mi creda, basterebbe un chiodo fuori posto, per fare crollare "puparo" e burattini. Ho vent'anni, ma "di sopra" me ne sento il doppio.Dal cranio al cuore. E di gente ne ho conosciuta e mi creda in parola, di tutte le risme. In grigio, spente, finte e a colori. Mi ricordo i catanesi, i romani, i pugliesi e i fratelli napoletani. I partenopei poi, c'hanno il sole nel cuore e quando ne inventano una... è solo musica che senti. Come da una banchisa di treni in attesa. Sarà forse il dolore oppure la fame, ma i meglio "cristiani" sono quelli che dicono sempre con gioia la vita, nonostante il mondo crolli di fianco e di sopra. Sarà che abbiamo l'Etna e il Vesuvio, sarà forse per questo che il sole a noi ci bacia l'anima e il cuore. Qui invece pare che giri tutto al contrario. Come se fosse il peggio inverno fra reti, tralicci e cancelli. Lavoro, alcool, lavoro... coca, soldi, sballo e soprattutto la noia. E ora 'ste ronde. Qui pare che c'impazziscono tutti. Io lo so che ci sono pure bravi "cristiani" e di "fino" e a "verso", ma 'sta storia di mazze e di spranghe sembra che a qualcuno tiri. E assai. Tanto che qui è un virus che s'attacca alle palle come allo scolo. Io non m'intendo di politica, ma in galera, gli "anziani", di quelli giusti a dovere come a lei, qualcosa me l'hanno insegnata. Soprattutto mi è piaciuta la vita di un picciotto che si chiamava "Pratone".
Ad uno di quelli che c'hanno 'sto virus l'ho incontrato proprio al mio arrivo. In Brianza.
Dove sto io è un paesotto di diecimila abitanti. Che si conoscono tutti, come nei paesi delle nostre parti. Dal primo all'ultimo. Come tra i "bracci" in galera. Dopo il mio arrivo, alla sera, ho fatto il mio incontro. E mi creda... è da quel giorno che ho capito il "freddo" e i colori che qui ha l'acqua. E "quel freddo" l'ho incontrato negli occhi di uno. Uno che di anni forse ne avrà avuto dieci più di me. Con tutto il dovuto rispetto, avevo le palle ancora fumanti per via della mia "pratica". E Lei lo sa Signor Giudice: i Carabinieri sono persone proprio precise. Di "fino". Che ancora, come a Lei, ci credono fino a morire. Comunque dopo ore e ore di "a domanda risponde", esco dalla Stazione e infilo il primo bar per alzarmi una lattina d'aranciata fanta. C'ho l'obbligo di firma e non posso sgarrare, ma una fanta volevo proprio farmela. Entro. M'avvicino al banco e ordino per cortesia una bella aranciata.
Il tipo mi guarda e mi fa:
"Ciao!"
"Ciao!"
"Dici a me?"
"Vabbè scusami", ci faccio.
"No perchè se dici a me devi darmi del Lei, miga sono un animale... "
Ora Signor Giudice, Lei lo sa. Io sono un ragazzo tranquillo. Ho fatto quello che ho fatto che era per fame. Ma ho pagato e anche duramente. Ho pagato il conto, ed è stato più che giusto che ne pagassi lo scotto, e nella rete non voglio più caderci... manco a crepare di fame. La luce che guardo negli occhi di mia figlia è la luce della vita mia. E che devo rigare dritto per due anni e per sempre io questo lo so come all'Ave maria. Ma la Dignità, Signor Giudice, a che prezzo si compra? Ma l'Italia, Signor Giudice, non è una soltanto?
"Casco male se ti dico che sei un terremotato siciliano? Coleroso e fetente? Io qui sono la Brianza e tu vali quanto uno stronzo africano. Quindi il "Lei" prima di tutto. Dopo ci può anche stare che mi guardi negli occhi. E se ti piglia male ricorda che io sono della GNI e che lì è la porta."
Dottore caro, cosa avrebbe fatto al posto mio? A Lei c'hanno fatto un attentato col tritolo e una palottola l'ha pure beccata... Lei lavora con gli infami e gli indegni e a questo qua gli avrebbe dato una di quelle risposte che l'avrebbe messo a posto.

"Che le tue parole pesino meno del fiato che utilizzi per sprecarle è molto probabile, ma che l'intera tua vita pesi meno di quanto possa pesare il tuo capello più lungo è molto più che certo. Prendi nota adesso: sono un Italiano e per di più un Siciliano.Vanto per l'uno e fierezza per l'altro."
Bevvi l'aranciata dalla mia lattina. In santa pace. Gli voltai le spalle e uscii fuori dal bar. Lo lasciai lì. Nella sua nebbia. Nel deserto della sua noia. Nel mare della sua piccolezza. Nel freddo dei suoi occhi. Nel garbo della sua solitudine. Soprattutto col suo feroce sentimento di rabbia. Immaginai d'aver segnato punto. Non sorrisi. Anzi, sentii dentro come una specie di vuoto. Lo lasciai lì. Da solo.
Da mesi che non lo vedo. Da quella volta. So che ha fatto carriera nella GNI e che tanta altra ne farà.
E io nel frattempo avrò tanta carta ancora da firmare. E lettere da mandare alla luce degli occhi miei.
Ma ora è tardi. Le chiedo scusa. Domani avrò tanto da faticare. Le chiedo ancora scusa, ma in fondo Lei è lo Stato e a me fa bene parlarle.
Con osservanza
Pietro Calaciore, di Palermo.
foto di irma vecchio
progetto grafico di andrea de luca
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RispondiEliminasempre più vicini gli IZZERò...lungo fiume umano, scorrere di coscienze che si sono stancate di essere acque stagnanti in un fetido mare. E tra loro c' anche Pietro.
RispondiEliminasi october... anche Pietro. una di quelle periferie che tanto vivono nel desiderio di democratico riscatto.
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