
L'insicurezza è parte integrante del fluire della vita quotidiana in quanto è la situazione iniziale dalla quale prendono avvio le progettualità individuali; è lo spazio sociale in cui le linee individuali d'azione si incrociano con quelle istituzionali e queste si incrociano con quelle individuali, in cui le identità dei singoli sono continuamente messe alla prova e il soggetto contratta incessamente il suo rapporto con il quartiere, con la cultura, con gli eventi che lo circondano. La vita quotidiana è anche, però, in quanto spazio dell'azione, il contesto comune a tutti gli individui, nel quale ognuno, seppure con opportunità differenziate, ha lapossibilità di utilizzare le risorse che la città mette a disposizione. Accogliendo la prospettiva della vita quotidiana, ci si rende conto che questo spazio è uno spazio pieno di relazioni, di regolazione, di controllo. E', paradossalmente, proprio l'esistenza di un potenziale di insicurezza che consente di affermare che si sono salvaguardati spazi di libertà, in quanto significa che sono state messe in atto modalità di intervento in grado di mascherare le contraddizioni relazionali, di mistificare i processi comunicativi, di falsificare le convenzioni negoziali. Il che non vuol dire negare il diritto ad aspirare ad una condizione, individuale e collettiva, di sicurezza, bensì a cogliere una prosspettiva di analisi che consenta di affrontare le quastioni riguardanti la sicurezza, in quanto contraddizioni nei rapporti sociali, nelle relazioni interindividuali, nelle regole di interazione sociale e, quindi, nei processi di comunicazione e di negoziazione. Il vissuto di insicurezza nasce anche dal fatto che, quasi inavvertitamente, si sovrappone il senso del rischio al senso del pericolo, due livelli che si dovrebbero mantenere distinti: quello delle contraddizioni nei rapporti sociali, che rinvia ai problemi del governo della città; quello delle contraddizioni nelle relazioni sociali che rinvia alla vita quotidiana di chi vive la città. In conclu

Queste sono le parole di Gianvittorio Pisapia. Ancora riecheggiano dentro. Ricordo quella lezione. Fra i banchi, a "criminologia". Ricordo il silenzio, poi l'ovazione. Ricordo le emozioni e l'entusiasmo e la passione nel successivo incontro. Utilizzammo ilnostro spazio accademico aldilà delle ore consentite. Condividemmo schiere di pensieri e di idee, disponendoci al tumulto concettuale e a quella indimenticabile progressione intellettuale, tipica delle agorà più illuminate. Ci prodigammo a cercare quelle parole, quei pensieri da poter inserire fra le righe più snelle e gli spazi meno bianchi e laconicamente più isolati. Ne trovammo due: Democrazia e Virtù. Non fu facile, alla fine, staccare da quella straordinaria "iperbole". Si era a Palermo. Nonostante il caldo ci si sentiva parte di una stagione frasca ed illuminante. A Palermo, terra di contraddizioni e di rischio, di diritti abusati e di libertà violate.
Pochi anni fa.
Valeria cara,
ho letto il "pacchetto". Parola dopo parola. Da "Prum" alla sicurezza stradale, dai clandestini alla sicurezza urbana. Dopo aver letto... sono tornato a quella antica eco... e tanto per isolare il caldo dal mio tempo vitale ho cercato quelle due parole che tanto ci donarono al tempo dei banchi a criminologia. Amaramente, non v'è traccia. Nè dell'una, nè dell'altra. Almeno nel modo di Pericle e di Platone, nelpiglio di Amendola o di Pertini. Al riguardo vorrei ricordarti il mio precedente "Pietro Calaciore, classe '79, inteso coleroso, terremotato e fetente". Mi piacerebbe che tu ne accogliessi quel tentativo di riflesso che sarà luce al solo tatto del confronto. E da questo si andrà in scena a Settembre, nel modo più congeniale di chi nelle remote agorà discuteva di Democrazia e Virtù. Fra i banchi di un teatro. Di fianco il mare e di lato la più sognante delle spianate. Dove furono Sciascia e Bufalino, prima ancora che nascessero, fra gli uomini e la mia gente, nuove schiere di sciacalli.
A Palermo.
Nonostante il caldo e, come dice il nostro comune amico, "nonostante il caldo la storia".
Questo è il mio libero pensiero.
Vito Benicio Zingales
Foto di andrea de luca ed elisabetta costantino
Pochi anni fa.
Valeria cara,
ho letto il "pacchetto". Parola dopo parola. Da "Prum" alla sicurezza stradale, dai clandestini alla sicurezza urbana. Dopo aver letto... sono tornato a quella antica eco... e tanto per isolare il caldo dal mio tempo vitale ho cercato quelle due parole che tanto ci donarono al tempo dei banchi a criminologia. Amaramente, non v'è traccia. Nè dell'una, nè dell'altra. Almeno nel modo di Pericle e di Platone, nelpiglio di Amendola o di Pertini. Al riguardo vorrei ricordarti il mio precedente "Pietro Calaciore, classe '79, inteso coleroso, terremotato e fetente". Mi piacerebbe che tu ne accogliessi quel tentativo di riflesso che sarà luce al solo tatto del confronto. E da questo si andrà in scena a Settembre, nel modo più congeniale di chi nelle remote agorà discuteva di Democrazia e Virtù. Fra i banchi di un teatro. Di fianco il mare e di lato la più sognante delle spianate. Dove furono Sciascia e Bufalino, prima ancora che nascessero, fra gli uomini e la mia gente, nuove schiere di sciacalli.
A Palermo.
Nonostante il caldo e, come dice il nostro comune amico, "nonostante il caldo la storia".
Questo è il mio libero pensiero.
Vito Benicio Zingales
Foto di andrea de luca ed elisabetta costantino
Nessun commento:
Posta un commento