02 settembre, 2009

D'IMPATTO: da PROTOCOLLO NARCRON, di vitobenicio zingales. L'ILLUMINAZIONE, WAIBLINGEN. QUINTA PUNTATA



19 giugno 2011, Waiblingen

Non appena il legno della porta sfiorò il battente e lui fece per entrare, una potente luce sembrò fasciarne la vista e quell'intimità nascosta, sgorgante, ma inconsapevole, che ogni uomo, tra nuova nascita e morte, ha negli occhi; l'eco di quella "luminosa nube" dilagò poi fra le profondità più inaccessibili dei suoi pensieri, soprattutto fra quelli agiti dal proprio pensare nell'istante precedente il varcare della soglia: da ciò che doveva al passato, a quello che avrebbe dovuto agli orizzonti prossimi... ammesso che per il suo esistere ve ne sarebbero stati altri ancora da sperimentare. l'uomo mostrava le spalle. dritto, immobile come una pianta ben piantata al suolo e sulle cui fronde fermano i più variegati zampilli di vita. le sue grandi mani poggiavano sulla nodosa spalla della sedia, a un passo dalla finestra insolitamente spalancata sul rigoglioso giardino di sotto. nonostante fosse alto poco meno di un giovinetto, l'uomo nella stanza, ai suoi intimi occhi, parve svettare più di quanto un gigante potesse fare sperticando nell'azzurro dei cumuli... e così tanto da immaginare quei pochi passi fra loro come un'impercorribile ed inimaginabile distanza. l'argento dei capelli fluenti sulle forti spalle, riflettevano quella eco di luce come le radianti rifrangenze di primavera, là nel verde pulsanti al solo tocco del sole.

"Avvicinatevi figlio mio... suvvia, non abbiate timore... "

la voce calda e potente di nicolai, il Cavaliere Amato, riempì ogni singola particella vivente là sospesa fra nudo pavimento e cielo, ogni minuscolo spazio là percepibile fra i limiti della stanza. paludando ogni cosa, come un'onda di calore, vibrò fra le corde di quell'intimità nascosta, logorando infine quelle distanze che un istante prima parvero, e a ragione, disseminarsi tra irraggiungibili e remoti spazi. annibale ascoltò la paura erompere dal sangue. che fosse riuscito a penetrare nella sua stanza nonostante i due giri di chiave alla porta non lo meravigliò più di tanto, ma che lo avesse visto a cena solo un paio di minuti prima e che lo avesse notato congedare tutti i fratelli dal solito sgabello tra i tavoli della mensa, con quel suo rassicurante sorriso, beh... questo si, certamente lo disorientò. come avrebbe potuto? misurando le due rampe di scale, dalla sala mensa alla sua stanza, come da un ipotetico nord ad un altrettanto ipotetico sud, e calcolando la velocità del proprio passo con l'andatura lenta dell'altro, "quello" non avrebbe potuto. in fondo era solo un Uomo e non avrebbe potuto.
ma era là. nella sua stanza. a pochi passi dal suo sangue, incontro a quell'esalare caldo di vapori e luci che, avvolgendo l'immoto universo dei suoi segreti ricordi, effondevano fra tirello e branda. non appena girò fra i suoi occhi, presentì come una specie d'irrisolvibile tormento che sarebbe schiantato nell'istante appresso più potente di quanto la sua paura avesse potuto immaginare e fino a quel combinarsi d'attimi.
mosso da una forza mai sperimentata prima, lasciò che i muscoli tendessero verso quei due passi, rinunciando ad ogni tipo d'obiezione che avrebbe potuto all'istante pianificare per fronteggiare quell'inaspettata circostanza. la sua imponenza avrebbe potuto determinare un atto così risolutivo e talmente potente da provocare la morte, ma nella sua mente, come nello spirito, agì quella forza misteriosa che fin da principio la sua "vista" ebbe modo di valutare. pretendere di capire, in quel momento, sarebbe risultato pernicioso e, qualora ne avesse inteso l'originarsi, non ne avrebbe comunque afferrato il senso più intimamente connesso con la propria vita. ad ogni buon conto, avvertita quella soverchiante forza, lasciò che l'ignoto inferisse il dubbio. e alla disputa, preferì l'abbandono. alla fine, come guardando da un superiore piano, lasciò che il suo corpo, sfuggito ormai al controllo dei sensi, procedesse verso quei due passi. quando le propria membra furono sulla sedia, il suo "altro" ebbe modo di "guardare" se stesso nell'immoto universo dei suoi ricordi. trovò, innanzitutto, d'essere piccolo nel dilaniarsi del dubbio. scorse poi al di sopra del suo cranio una sorta di vapore oscuro che chissà per quale ragione gli rammentava il caotico intrigo dei filari spinosi affardellati aldilà del diradare del giardino. notò dopo quel rosseggiare esasperato del sangue tra gola e tempie.

"Non importa sapere adesso. Ciò che è bene qui giunge sempre da una superiore sfera. Che voi, figlio mio, abbiate confuso l'orientamento poco importa, ma che abbiate perduto il senso del vostro evento potrebbe risultare fatale per l'Uomo che dimorerà il vostro prossimo futuro. Sappiate che vi amo... e che dal vostro ingresso al santuario tutto era perfettamente conosciuto. Se vi logora la colpa, non temete: nulla è stato svelato. Avete ritardato solo il tempo... di un soffio appena. Semmai fosse in voi ancora una lieve scintilla, procuratele il calore che merita, poichè da lì verrà il vostro vero e duraturo principio. Fino a quando vi verrà concessa la salvifica luce. Tenteranno oscurarne la via, il passaggio... la ragione celebrerà i propri manchevoli trionfi, ma l'Anima Cosciente e l'Intelletualità d'Amore sapranno essere all'Uomo come la Spada di Michele dentro la pubblica pelle del drago."

le mani di nicolai nelle sue, come i suoi grandi occhi nello sguardo del gesuita, fecero come avvolgerlo in un liberatorio abbraccio. la barba bianca del Cavaliere Amato pizzicò quel poco di lanugine sui suoi zigomi quando con un bacio quel gigante sfiorò tutta la sua esistenza. da quel piano superiore guardò quell'ignoto accadere. in silenzio il "suo altro" lasciò che le parole gli giungessero prima al cuore e poi alla mente come se da quel lieve soffio cercasse il capo del filo e legare quindi in un unico ordito quel libero pensare e quel profondo sentire.

"No... non a me, ma a Lui... traboccante amore amante... "

avrebbe voluto dire. esprimere il suo tormento. parlare e gridare, ma quali parole dire che non fossero già nel cuore o fra i lucenti sentieri di quell'antichissima anima? avrebbe voluto testimoniargli la propria sofferenza e la sua umanità in conflitto, ma quale amore offrire a quell'amore così totalizzante? avrebbe voluto invocare il suo angelo custode, ma per quale fine pregare se là innanzi erano già le divinità? lasciò solo che quell'amore gli precipitasse dentro come la sublime potenza del Sole fra le schiere negre... quelle osurità che condussero i suoi pensieri nel tiepido esistere di un uomo che, fino a quel tempo, avrebbe preteso essere amore solo per amore di sè stesso.

"Padre, Io ho un segreto... "
"Amato figlio... Io lo so."

il suo alito sfiorò delicatamente le sue labbra. dopo quel bacio, la stanza tornò fra i propri silenti pensieri e il Cavaliere Amato all'eco di quel "sorriso" nell'andito.

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