20 novembre, 2009

un uomo, di vitobenicio zingales


Ebbi solo la forza di guardare il mio dolore frantumare ....
Il primo mi giunse da chissà quale parte del mondo. improvviso, avido, ma d'uomo. una specie di lama a rubarti le carni. il "morso" addentò lo zigomo. quello destro, poco sotto l'occhio, ma vicino abbastanza il terrore. durò come l'ignoranza. ebbi solo la forza di guardare il mio dolore frantumare sul bordo di una lacrima. avvenne poi una lenta processione.
erano in tre. pretoriani in nero con le mostrine, rosse come la passione, e le promesse in memoria dello Stato. avrebbero dovuto leggermi i miei diritti, ebbi soltanto il dovere d'andarmene in silenzio. avrei preferito un solo fendente al cuore e chiudere la partita, come si fa con l'ultimo degli uomini, all'istante e muori, lì sul nudo legno dei propri peccati. invece maneggiarono ciò che restò della vita inchiodando le mie carni al sangue.
erano affamati d'ogni mio lamento e di chissà cos'altro ancora.
indossavano i vessilli della più nobile giustezza, quella dello Stato. ero un esempio d'uomo poco apprezzabile e per questo sotto quel "doveroso" processo.
il secondo colpo fu il più duro, fra quei cento che riuscirono a mettere dentro. pensavo di non meritarlo, eppure giunse ... come la più feroce tra le pugnalate alle spalle: dissero prostituta a mia madre. e il colpo bruciò come l'aceto sulle ferite già aperte dal dolore alla vita. ma dentro.
cercarono un pretesto, ma trovarono la morte.
di punta e di taglio. l'ingaggio e il massacro.
le mie carni non sarebbero bastate e le presero, ingiuriate e spezzate, risalendo il sangue dal mio ultimo inverno. avrebbero potuto dissetarsi col mio pianto e invece da me pretesero qualcosa che non è possibile concedere: volevano il mio spirito.
mi presero soltanto la vita, fra intestini, polsi, costato e cranio.
ho imparato molto dalla loro furia. ho imparato molto dalla loro sete. ora so che ad un uomo puoi togliere, negare o spezzare la vita, ma nonostante lo strazio e il dolore, tu a quell'Uomo null'altro puoi togliere se, fino all'ultimo respiro, quell'Uomo si percorre nelle ali di un volo. e io, nonostante lo strazio, mi son fatto volo tra i loro sorrisi. fino all'ultimo, libero nel volo.

il terzo "morso" fu il più brutale.


al tentativo dei loro denti, le mie ali resistettero, presero la vita, ma non l'Uomo ...

vbz

3 commenti:

  1. Impressionante, mi vergogno di essere difesa da certo mostri...sia fatta giustizia...quella con la g maiuscola...quella vera...solo che quì in Italia è pura utopia!! Hai letto "quel che resta" di Camilla Bianco...?è l'esempio emblematico che neanche la morte smuove le coscienze di chi dovrebbe aggiudicare alla giustizia i nostri carnefici...che tristezza!

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  2. ciao elena...purtroppo io non ho letto il libro della Bianco, ma cercherò di documentarmi. anche a questo serve il blog.
    vito attraverso queste sue taglienti parole proverà a scrivere un libro sul caso cucchi.
    perchè siamo semplicemente stanchi...e da qualcosa si deve pur cominciare.

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  3. cara elena, giustizia e giustezza... come verità e menzogna, sembrano i due alvi di quello stesso fiume che dovrebbe correre verso un orizzonte comune... e invece. non ho letto il libro di camilla bianco, ma ricordo la storia della sorella. se non sbaglio, per la sorella "morta di parto" per negligenza del personale medico, intervennero le condanne in danno dei medici, ma il reato venne estinto per uno di quei "mostri" in sede giudiziaria... e la sua morte, come il suo dolore, venne prescritto.
    un abbraccio

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