13 settembre, 2010

Dal buio della terra

Una emergenza trascurata. Non dico dimenticata, ma sicuramente passata in secondo piano. Forse perché ancora non è tragedia vera, o non è tragedia secondo i media. Invece i riflettori dovrebbero essere puntati lì, lì dove c’è più buio, lì dove l’uomo non dovrebbe stare.
Ogni tanto mi capita di pensare che i molti passi che l’uomo ha fatto in contro al futuro, in realtà lo abbiano rispedito miglia e miglia nel suo passato più buio. Siamo ancora alla tragedia nostrana di Rosso Malpelo, a quel Verga che illuminò il buio delle miniere. E nonostante il silicio, le celle fotovoltaiche, il plasma e chissà quanti altri polimeri l’uomo sia riuscito a manipolare e addomesticare, ancora suoi simili sono costretti a perdere la posizione eretta, a rifarsi ominidi e scendere verso le viscere della terra in cerca di qualcosa di redditizio…
Ma la terra alle volte ingoia, come certe giornate che a Napoli scendi a parlamentare con il Demonio per certe falle che si aprono dal nulla. Quella terra lontana, in Cile, ha fatto lo stesso. Una frana in una galleria della miniera e 33 uomini che rimangono giù. Giù dove stanno i morti. Giù dove non dovrebbero stare.

Mi arrabbio e me ne scuso. Mi arrabbio anche perché io vedo sorrisi in quelle persone e la forza di non abbandonarsi al proprio destino, la forza di tranquillizzare i propri parenti. Mi arrabbio, perché nel mondo che sforna tragedie a ritmi vorticosi, loro tranquillizzano i loro parenti. Gli viene detto che ci vorranno almeno 4 mesi per salvarli. Tentativi. Perché la miniera si trova in zona microsismica e ogni movimento della trivellatrice australiana può provocare più danni che altro… Quindi si va lenti…
Mi arrabbio per la forza delle donne e dei bambini che stanno in superficie, accampati alla meno peggio. Esultano, tifano, cazzo che forza che hanno!
Mi arrabbio sì. Ma mi arrabbio soprattutto con me… Impegnata forse a commiserarmi più del dovuto per piccoli sconforti quotidiani.

E allora cosa posso fare? Mettere da parte qualche egoismo, sì. Ma soprattutto scrivere, informarmi, dimostrare lo stesso coraggio che hanno loro nel non chiudere gli occhi. Non chiudamoli questi occhi. Parliamo anche di questi 33 uomini, vite che sono sottoterra. Incazziamoci se 33 persone rischiano di non tornare a casa perché fare i minatori nel 2010 è ancora un mestiere. Un mestiere che sfama. Incazzarci, se la terra ce la fanno tremare sotto i piedi, se si sono mangiati tutto il territorio e il nostro paesaggio, se un trivella può mandare a fanculo migliaia di ecosistemi per il resto dei tempi.
Pronti?
Pronti!


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