Una celebre poesia di Totò, “A’ livella”, si concludeva dimostrando efficacemente come la morte livellasse la nostra società e si rivelasse più giusta della vita in qualche modo… Brutti, belli, vecchi, poveri, ricchi… Uniti nel medesimo destino.
In questi giorni però qualche dubbio mi è venuto… Per la verità il dubbio è stato seminato negli anni e negli anni è cresciuto fino a diventare certezza, fino ad oggi e alla riflessione che vorrei fare con voi. Suonerà cinica o addirittura cattiva e devo ammetterlo, non è solo farina del mio sacco…
Oggi ho letto della condanna all’impiccaggione di Sakineh. Ho letto con attenzione, imbattendomi anche nei commenti dei tanti lettori internauti come me che apprendevano della notizia… Su uno mi sono soffermata.
Mi ha fatto riflettere sulla contemporaneità della morte in questo trisce scenario geografico.
Mentre ci battiamo da mesi per l’atroce ingiustizia di una donna quarantatrenne vittima di uno stato dittatoriale, mentre ci incazziamo contro la brutalità di quel sistema…
“Eseguita la condanna a morte di Teresa Lewis. La 41enne disabile mentale uccisa tramite iniezione letale in Virginia” (fonte http://www.ansa.it/ del 24 settembre scorso). E mi domando la differenza, affinchè la mia testa non faccia confusione tra Iran e una delle più grandi democrazie del mondo…
Le differenze ci sono. Ovvio. Mi tornano chiare in testa e il paragone pensato solo per un attimo, mi appare blasfemo.
MA….
Ma l’epilogo (che con forza cerchiamo di allontanare dalla madre iraniana) è il medesimo. Una donna di 41 anni, coetanea di Sakineh, è morta. Era colpevole. Corretto. Ha avuto un giusto processo. Senz’altro.
Ma è morta.
È morta. Solo 30 persone a manifestare contro la sua pena.
E forse, questo, dovrebbe modificare la nostra lotta… O comunque salvarci dalle facili distinzioni, dalle etichette consolidate.
La condanna a morte non è mai scusabile. Non è mai giustificata. Non è mai giusta.
Elisabetta Costantino
Foto di adnkronos
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