1. Se non avessi iniziato la carriera musicale con i Moda, ti saresti comunque avvicinato alla musica o avresti fatto il disegnatore di cartoni?
Credo che la musica sarebbe stato un passaggio obbligato comunque. Nei primi anni ’80, il mondo dei cartoni animati, passava un periodo di crisi a causa dell’importazione del cinema d’animazione giapponese. Le produzioni italiane si trovavano a competere con i bassi costi di quelle giapponesi. Io mi trovavo ad iniziare proprio in quel frangente e riuscii ad entrare nel mondo della pubblicità che non amavo molto. Disegnai insieme a Massimo Indrio una puntata pilota per una serie di cartoni per bambini, si chiamava “Le avventure dell’esploratore Maccherone”. Fu proiettato al festival di Lucca raccogliendo consensi, ma non riuscimmo a farlo decollare. Intanto la voglia di fare musica prendeva il sopravvento e finii per abbandonare il disegno.
2. La Firenze dei Moda è la concretizzazione di un’atmosfera molto creativa e molto produttiva di quegli anni. Cosa c’era alla base del fiorire di così tanti gruppi, cosa inseguivate, cosa vi animava?
E’ stato uno di quei rari casi in cui l’Italia è stata al passo con il resto dell’Europa. La New
Wave nasceva in Inghilterra e quasi contemporaneamente trovava un eco importante anche nel nostro paese. È stata una notevole rivoluzione musicale, dove le idee vincevano sul tecnicismo grazie anche all’evoluzione elettronica, introducendo nuove sonorità e dando la possibilità di fare musica anche a chi non era proprio un “Musicista”. Questo ha dato vita ad un po’ di porcherie, ma anche a tante cose straordinarie ed innovative. Firenze in quegli anni è stata la capitale di questo movimento, coinvolgendo e mescolando musica a moda, pittura, architettura ecc. Il fermento era forte, molte cose erano da inventare, c’era nell’aria il sapore della “novità” e il bisogno di costruire strutture in grado di accoglierla. Nascevano, così, nuovi locali per concerti e le etichette indipendenti. Il mondo Indie stava nascendo rompendo quegli schemi dettati dalle multinazionali per tanti anni. Sono felice di avere dato il mio contributo in quegli anni.
Wave nasceva in Inghilterra e quasi contemporaneamente trovava un eco importante anche nel nostro paese. È stata una notevole rivoluzione musicale, dove le idee vincevano sul tecnicismo grazie anche all’evoluzione elettronica, introducendo nuove sonorità e dando la possibilità di fare musica anche a chi non era proprio un “Musicista”. Questo ha dato vita ad un po’ di porcherie, ma anche a tante cose straordinarie ed innovative. Firenze in quegli anni è stata la capitale di questo movimento, coinvolgendo e mescolando musica a moda, pittura, architettura ecc. Il fermento era forte, molte cose erano da inventare, c’era nell’aria il sapore della “novità” e il bisogno di costruire strutture in grado di accoglierla. Nascevano, così, nuovi locali per concerti e le etichette indipendenti. Il mondo Indie stava nascendo rompendo quegli schemi dettati dalle multinazionali per tanti anni. Sono felice di avere dato il mio contributo in quegli anni.
3. Parafrasando il tuo brano “Feroce e inerme”, nella società di oggi quanta ferocità osservi e quanto inermi sono gli uomini di fronte ad essa?
La ferocia esiste in ogni uomo, spesso inespressa e accumulata in una società che vuole farti credere di essere libero, ma che in realtà sta lentamente consumandoti. Inermi davanti ad un televisore che scatena in ognuno inutili bisogni e aspettative, inermi di fronte ad uno stato incapace di uscire da quei problemi che lo affliggono da decenni. La nostra classe politica è lo specchio dei nostri tempi. Fuori dall’Europa troviamo realtà più agghiaccianti in quanto a ferocia e tutto questo fa sentire ognuno di noi sempre più schiacciato da una vita pesante alla quale non sappiamo come reagire. Inerme è spesso la condizione di una società che molla la spugna e preferisce lasciarsi trasportare mollemente da questa realtà, vivacchiando, cercando di allontanare le domande e sfruttando le situazioni nel migliore dei modi.
4. Dal tuo lavoro del 1998 “Vietato morire” fino al tuo ultimo “Tempesta di fiori”, qual è stato il viaggio che hai percorso e quali i paesaggi del tuo vissuto che ti hanno portato a questa nuova atmosfera di luce?
“Vietato Morire” è del 2004. Questo titolo è abbastanza indicativo di una condizione psicologica. C’è tutta la voglia di vivere, quella voglia che ti porta a proseguire nonostante le difficoltà. E’ una forte esortazione contro la morte intesa in ogni sua accezione, in particolare quella dell’animo. È un po’ come gridare “viva la vita” magari sugli spalti delle nostre barricate, come patrioti di altri tempi. “Tempesta di Fiori” è il tempo della trasformazione e della vita in tutto il suo turbine emotivo. Molte cose sono cambiate per me in questi anni. Non amo gli stagni e ho bisogno della trasformazione, sia nella vita che nella mia musica.
5. Nella copertina del tuo ultimo album, uno spazio di luminosità nel quale, non ti nascondo, vorrei vivere, c’è un quadro con un faro. Chi o cosa è il tuo faro oggi?
Il Faro rappresenta noi stessi. Ognuno di noi è un emettitore di luce…il problema è quando non gira o è spento. Ognuno di noi cerca di rendersi visibile dicendo “io esisto”. Il faro costruito “in mezzo al mare” è un controsenso o un assurdo, non serve per avvisare della terra ferma, ma diventa un grido di aiuto, sono qui, intorno il mare è in tempesta, se una nave passa, venga a prelevarmi. Tutti ci troviamo prima o poi in questa condizione.
6. Ascoltando i brani del tuo ultimo lavoro, si ha la sensazione di visitare una dimensione onirica, protetta dalla ruvidità della quotidianità. Hai sentito la necessità di creare una barriera alle brutture del mondo?
Credo che ognuno crei inevitabilmente delle barriere per vivere. Se non avessimo barriere verremmo fagocitati da tutto. Non dobbiamo vergognarci o demonizzare le nostre barriere, l’importante è che non siano invalicabili, cioè che permettiamo alla vita di entrarci quando vogliamo, che l’altro possa attraversarle quando lo desideriamo, altrimenti ci saremmo costruiti delle prigioni. La musica per me è una sorta di salvavita, grazie a lei ho superato momenti difficili, sono un uomo fortunato. Ha fatto da barriera in diversi momenti della mia esistenza.
7. Ripercorrendo le tue note biografiche, si nota che il Teatro, la Poesia hanno avuto grande spessore nel tuo percorso artistico. Quanto queste forme di arte sono in grado di educare il nostro senso della bellezza e migliorare la nostra vita?
Se queste sono genuine senza artefazioni, sono sempre in grado di educare e migliorare la vita. Ogni volta che ci imbattiamo nella capacità di trasmettere emozioni, avviene uno scambio e questo è trasmissione della vita, e dove c’è vita si può parlare di bellezza..anche dove vive il dolore.
Voglio ringraziare Andrea Chimenti a nome di tutta la redazione di D'Impatto per la sua disponibilità e gentilezza! Grazie per averci regalato questo bel momento di confronto e di poetica riflessione... E ovviamente grazie per la sua musica!
RispondiEliminaL'intervista ad un grande della musica come Andrea Chimenti sul blog D'Impatto é davvero un grandissimo onore. La dimostrazione che quando ci si mette passione si può arrivare a grandi risultati. Grazie Andrea.
RispondiEliminai ringraziamenti sono d'obbligo, l'emozione, la gioia infinite.
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