13 febbraio, 2011

pz.n.127 (l'esattore. the panorama blue sky) di vitobenicio zingales

l'esattore. the panorama blue sky.

all’alba. prima di dio. nel nero. il solito bicchiere di latte schiumato, la medesima balenciaga quadrettata e il risciacquo tra denti, intestini e ricordi. in orario, come sempre, senza cazzi di virgole e inutili pretese. alle sei punto trenta … che non sbatte al mondo più di quanto possa fottere al superiore vicino di casa.

quando è una lama a dirti la vita e a raccontarti la morte … hai solo il tempo di ricordare agli occhi che al mondo non sbatterà di tenere a mente il colore dei tuoi occhi.

“buongiorno … un caffè.”
“ (… stronzo!)”

e crepi … con un infarto nel cuore e con quel cazzo di cose preziose ed improbabili ancora vive negli occhi. si, non c’è un bel emerito niente da fare: tu e un ultimo giro di promesse negli occhi. il resto, in tua vece, lo dirà il mondo e se i soliti stronzi racconteranno che in vita valevi zero e cento da morto, non t’importerà un granchè: a conti fatti, dopo quell’ultimo giro, sarai albume sfatto, buono solo per gli sbirri, tutti là in scena tra i tuoi budelli per il più a praticarsi. in quella rapida fatta di tempo, ti renderai conto che la festa non era aggratis e che se le parole spaccavano, inchiodavano solo per alzare debiti e cazzate. del resto era un dannato, fottuto cerchio e se ci pisciavi fuori … erano cazzotti in sagoma, senza il cristo di un’ave maria a portata di mano.

all’alba. nella fogna del nero. duplici prospettive … occorreva tempo per i primi rigurgiti, soprattutto occorreva attendere per le consuete, stramaledette circostanze.
che era una di quelle solite mattine, lo sapeva il primo come il secondo dei due stronzi. uno dei due, però avrebbe dovuto intenderla in altro modo e invece, porca puttana, soliti orari, medesima strada, stesso bastardo tragitto … sarebbe bastato un soffio e quel pelo di sguincio non l’avrebbe crepato.

“macchiato?”
“schiumato, latte caldo, tazza fredda, corto … grazie.”
“( … che stronzo!”)

uno si lasciava scopare dalla vita, mischiando il compiangersi con il dopobarba peggiore che in commercio gira tra i banchi al rione; l’altro immaginava che scannando il tempo e gli incisivi di quei taluni minchioni del centro, avrebbe reso più sopportabile il farsi scopare dalla vita degli altri.

“buongiorno.”
“ (ma vaff …) … ehm, si buongiorno.”

a piedi. lentamente. con la sua cartellina e il suo 3/4 da persona per bene. avrebbe evitato le consuete sbavature semaforiche, aggirando il viale e attraversando la piazza più in là. in orario. sempre alla stessa ora. scarpa nera allacciata, camicia bianca, calzino grigio, cravatta blu e tissot con cronografo multifunzione.

l'uno.

a piedi. radente la paleria. con la sua lama da “16” e il suo sarcoma nell’anima. avrebbe lasciato la sua solita panchina, invocando la solita merdosa fortuna. lo stronzo, il figlio di puttana, per anemica, ma esatta definizione.

l’altro.

“un cuervo …”
“ce l’hai come pagare?”
“fanculo! e tieni pure il resto!”

a spartirsi l’afa, a quell’ora, erano sbirri in servizio e pendolari in ritardo.

“e quanto cazzo ci vuole!?”
“modera i termini bastardo … il ragazzo è andato a prendere il cuervo in magazzino … altrimenti … lì è la porta!”

tic, tac, tic, tac, tic, tac.

un soffio per un solo, schifoso pelo di sguincio.

“e questa? cos’è?”

il per bene.

lavori in corso. strada scarificata.

la piazza era stata nastrata. occorreva un’alternativa per fottere il tempo e per dare al capo, lo stronzo del suo deretano in perfetto orario. gli toccò fare due conti. alla svelta.

“il vicolo, aggirata la piazza o il semaforo del viale: vada per il vicolo, perderò solo un paio di minuti, ma sono in anticipo già di cinque.”

il mondo talvolta è solo una dannata questione di numeri: cento di bocca e duecento di culo.

“e allora ‘sto cazzo di uno schifoso cuervo?”

e sul banco arrivò il destino …

cento metri di destino in fondo al culo del vicolo …

“ingoialo alla svelta e fuori dal locale!”

è una striscia di niente. una di quelle che devi far presto a metterti il futuro alle spalle. sempre in ombra. con le ore che, come indegni cazzotti, ti piombano tra palle, fegato e stomaco e con quel puzzo tagliente di cagne prive di denti. è uno di quei budelli col cielo che ci prova sempre, ma inutilmente. uno di quelli che talvolta è la vita e manco t’accorgi. una vena così nera che neppure alle puttane più in bolletta, gli verrebbe in mente di sbattere. di là, a passare, sono solo i più codardi fra i roditori e per cercare la più infamante delle storie da buttare dentro e alla svelta. il locale ci sta in mezzo. the panorama blue sky ... che pare l’inferno e il paradiso insieme, a seconda di quel dio a cui si rivolge la parola dopo aver fottuto il culo al proprio vicino di stanza.

chissà per quale cazzo di motivo dio la volle così, ma quando furono a due passi l’uno dall’altro, alla vita bastò il solo pretesto per non chiedere altro alla sorte. e lasciò fare, mentre il cielo, già da quell’ora, ne tentava, e invano, una delle sue per fottere l’ombra.

the panorama blue sky.

 
“ehy signorino e dove cazzo vai a quest’ora?”
“buongiorno, mi scusi … ma, dice a me?”
“e a chicazzo sennò? vedi qualcun’altro, per caso?”
“mi scusi, ma avrei una certa fretta …”
“non voglio rubarti molto del tuo tempo … solo due secondi … “
“non voglio apparirle scortese, ma dovrei andare … sa l’ufficio …”
“signorino: e di qui col cazzo che passi!”
“cosa?”
“hai capito bene. sai cos’è questo? è un signor esattore … 16 centimetri di esattore colle palle … e ora se non ti spiace mi dai portafogli e borsetta. intesi? con calma … e non si farà male nessuno.”
“va … va bene … ma, non mi faccia male … “
“svelto, forza coglione … la borsetta …“
“il portafogli è nella cartellina … ecco … ecco, aspetti che lo tiro fuori, ecco … “


alzò il cane, distese il destro, la tenne salda e senza mirare fece fuoco centrandolo in pieno. dalle brevissime distanze. in pieno volto, tra gli occhi. gli spaccò la faccia e l’anima. insieme a tutta quella merda di piccoli e infami ricordi. il 9mm, della 357 magnum, vibrò fuori dalla nuca, conficcandosi alla fine, in uno squarcio di muro e piscio. volando, lo stronzo numero 2, cadde in terra nel suo sangue. prima di consegnare alla morte l'intero pacco, la vita lo strattonò per pochi istanti ancora. poi niente. solo un rigurgito di schifoso cuervo dalla curva delle palpebre.

e il mondo, in quel culo di un vicolo, non ebbe il tempo di ricordare il colore dei suoi occhi.

“ecco … e ora, accidenti a te, farò tardi al lavoro …”





2 commenti:

  1. "...che pare l’inferno e il paradiso insieme, a seconda di quel dio di seconda mano a cui si rivolge la parola dopo aver fottuto il culo alla propria anima stempiata. è quel punto esatto tra gli sfinteri del cuore, col bicchiere nella destra e il disonore nella sinistra. indegno, come la muffa nel pane, ma solo intima alla crosta".
    efficace.
    Acrux

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  2. ...emozionante "regalo".

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