
l'ultimo lupo.
erano freddo e impronte. sulla distanza, la cruna e il senso. la neve disegnava mari impensabili e al silenzio restava una sola parte di cielo da condividere con l’inferno. il resto faceva al passato.
un po’ come gli uomini … nel terrapieno del giudizio.
era la steppa, da arkangel a vorkuta. da una parte all’altra giacevano l’infinito e lo sgomento. le leggi erano antiche, quanto la sapienza e più della furia degli dei. spesso emergevano villaggi, ma erano solo lievi illusioni e lunghe consuetudini di croci … quel regno possedeva un manto rossiccio e un dominio di acuminate zanne. la percezione delle cose, tra ansiti e fossati, dilatava nel buio, fino a smarrirsi nel compiersi della luce. alla fine era la sorte, infallibile, come le cose del sangue. e la morte sa amare il freddo, più di quanto possa la nebbia quando disegna sulla neve la storia crudele del mondo.
mancava poco tempo al cristallo dello slancio. la sua corsa non possedeva l’antico ricordo delle fauci. misurava le geometrie del rimpianto, come gli alchimisti del rimorso, attribuendo al criterio dei confini l’olfatto dell’attesa.
era l’ultimo lupo.
la sua corsa era agile. le sue zampe esprimevano potenza. manifestava un regno e un dolore. nei suoi occhi fletteva l'acciaio e, tra le distanze, quel vivere sagittale evocava la grazia. il suo artiglio diceva l’orgoglio. le sue zanne ricordavano l'ira. era stato addestrato a non esitare. era preciso, freddo, spietato …
erano la steppa e la luna. correva e sentiva il furore del sangue. non avrebbe voluto mai desiderare altro cielo se non quello che gli dei destinarono alla spietatezza del suo abbandono ...

correva, correva. correva.
non c’era più tempo. la superbia, come l’ira conducevano ai bagliori di quel sentiero ormai alla fine. non c’era più oltre. né storia. era stanco, aveva freddo. lo sentiva tutto, tra midollo e ossi, ma non provava paura. era al termine. da solo … lui e quel sentiero. quella che lasciava alla neve era la sua ultima corsa. sentiva le cose che vengono dal freddo. era sfinito, ma negli occhi era ancora la steppa, il suo regno. l’alba giunse ancor prima che il ricordo mistificasse le compiacenti ragioni della colpa. lentamente cominciò la luce. a pochi passi dalle sue tracce, intuì quel sentore opale di fiati e quell’annodarsi di pretesti … erano uomini e con loro, il peso di un motivo.
era un lupo e gli davano la caccia.
a gocciolare era il tempo della steppa … i silenzi, a tratti nel ghiaccio, divagavano e tornavano all’approssimarsi di quel tiepido infinito.
in lui, nell'oscurità più remota, era l’uomo.
lo braccavano per quell’oltraggio …
uomo e lupo.
la gente dei villaggi prese ad odiarlo per quell’incontenibile danno e il torto che, invece, poche notti prima, procurò alle solitudini del branco, parve rabbuiare perfino il clima degli dei. ma il crescere della scelta lo legò ai suoi convincimenti, e talmente tanto, da rinnegare la fede negli uni e il legame con gli altri. aveva un sogno e ciò che gli importava era il credere fermamente nella natura di quel possesso.
al di là del grande fiume, erano le periferie della sua città. conosceva bene quelle prospettive. abitò a lungo quelle frenesie di lampade. conosceva perfettamente l’ostentare di quelle torri.
non avrebbe avuto scampo. da occidente era la schiera dei suoi “fratelli”, da oriente era l’uomo. a nord, i demoni e a sud, gli idioti.
era un lupo, ma continuava a sognare da uomo.
c’era solo una voragine da disimparare, come dio. e solo un abisso da flettere, come il mondo.
per lui … l’uomo lupo.
era freddo. la steppa. la sorte e il sangue.
non aveva mai provato quel tipo di stanchezza. il cuore gli batteva forte. il respiro era grosso. le ferite alle zampe erano profondi squarci neri. il suo accresciuto senso delle cose andava lentamente smarrendo. la sua vista, come la sua memoria, il suo olfatto, come la fede nel suo branco, perdevano di smalto. era stanco. e la fine cominciava a mordergli l'eterno spirito. scelse quella pietra, ad un passo dal labbro della voragine e … lievemente prima, potentemente dopo cominciò ad ululare. per tutta la steppa il suo urlo. acuto. regale, disperato. inarrestabile e fiero.
avrebbe dovuto ucciderla, farla a pezzi e divorarne l’anima. avrebbe dovuto impararne il sangue e dirlo all’antica sagacia dei suoi conflitti, ancora lì a misurarsi tra avidità e saliva d’incisivi. sarebbe stata la perfezione del pasto e quella bellezza rinnovata, se solo non avesse imparato il dubbio da quell’ultimo ricordo ... il dubbio: la metafisica d’ogni imperituro alibi. in fondo era carne, screziata di battiti e di peccati. in fondo era pelle … quell’amenità singolare, odorosa di voglie e di abbandoni. avrebbe dovuto concedere alle zanne l’ennesimo miracolo ed attribuire alla giugulare la voracità del getto. alla fine avrebbe dovuto dar credito alla furia del palato e dimenticare al primo fendente la colpa e il pianto.
dritto … alla gola.
senza pietà.
in fondo era un lupo.
nella steppa era la sorte, il sangue.
maledetto poeta nero.
quel giorno, non lontano dalla città, fece a pezzi il "patto". e il suo spirito.
“risparmiami … t’imploro … prendimi, uccidimi, ma risparmia l’anima.“
“dovrei concederti il mito, perché?”
“impareresti il mio dio …”
“è materia fugace … non desterebbe alcun interesse.”
“moltiplicherebbe la tua forza.”
“ho ciò che serve alla mia grazia.”
“il tuo regno non avrebbe fine.”
“l’eternità non è nel tempo!”
“ma la luce, si.”
“di che parli, donna?”
“del vostro sogno più antico … “
“non mi governo, ormai da tempo, nell’errore.”
“eppure siete stati colti più di una volta nella luce … “
“la luce … “
“quell’antico desiderio!”
“ti sbagli: a possederti è solo terrore!”
“non ho paura della morte.”
“bene … sarai il mio pasto perfetto.”
“aspetta … concedimi .. “
“cosa … cosa dovrei …”
prima di quella notte era stato l’alpha del branco. ma, quella notte, sul limite del bosco, "ascoltò" i palmi di quella donna ... sul manto. e quel suo alito, tra i vapori delle fauci, lieve, gli diede caldo.
ricordò dio e la pietà.
era un lupo e aveva un dovere ... il dovere di un re.
il primo colpo lo colpì ad una zampa. il secondo centrò la mano sinistra, in pieno. il terzo colpo dilaniò il costato. la mano destra fu centrata da un quarto, crudele colpo. il quinto colpo gli tranciò di netto la coda. l’ultima pallottola gli trafisse il cuore.
due passi ancora. uno, l’ultimo … strisciando, quasi. verso la voragine. ululando ancora, nella nebbia, all’infinito. lo slancio.
era freddo. faceva male. l’adesso e il passato.
nel volo, fu lupo.
nell'impatto fu "bestia".
e salvando gli uni dal sacro pregiudizio, liberò gli altri dalla salvante colpa.
era l’ultimo lupo.
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