24 ottobre, 2011

Triskeles, il "quinto", il "sesto". di vitobenicio zingales

Triskeles, il "quinto", il "sesto".

Faceva ottobre. La sera era una di quelle che mette dentro il buono della vita, come quando al quartiere il tuo esserci nella storia passa da un fiasco di “nero”.

Ai lati della strada era selvatico silenzio. Il buio, quello compatto e oleoso oltremodo, possedeva il suo antico odore. Davanti, solo l’asfalto della Statale e una di quelle lune, grosse come la migliore tra le promesse. Mezzerie sbiadite e vecchi gardrail indicavano il segno consueto: l’ulteriore. Alle spalle, insieme a quel ficcante suono d’acciaio, smarriva la città. Il futuro giaceva da qualche parte, tra un giro di pistoni e un premere potente di bielle. Tutto il resto … rotolante sotto i nostri culi: ricordi, rimorsi e rimpianti.

Avremmo dovuto incontrare, da lì a poco, il “quinto” e il “sesto”. Vecchie conoscenze, vecchi cani randagi … come e forse più di noi.

Andavamo al passo, Ernesto e io e su una moto soltanto, la sua. Jessie, sarebbe arrivata, dopo quella sera, solo dopo un fottuto paio di settimane.

Faceva ottobre. Ci si metteva di nuovo in gioco. Il Club prendeva forma e la strada ne anticipava quasi il senso. L’acciaio faceva il suo dannato dovere, rilasciando nell’aria, vecchie storie tzigane e mille balordi presagi celtici. Il “180” percuoteva il bitume, saggiandone, con sapiente e sensuale maestria, anima e carne. Gli iniettori portavano invece, quel quartino di benzina dentro ai cilindri, per fare entrare in pressione la grazia e la forza. La liturgia era tutta lì: aste e bilancieri, cinghie e fottuti cilindri.

Era caldo, dannatamente umido, ma bastò quel poco di maestrale in faccia, per mandare in circolo quel cazzo di un fuoco sacro. La promessa era lì, a due passi, come il grande sogno appiccicato ad ogni goccia di sudore. Procedevamo in silenzio. Sulla badlander, oltre i nostri culi, le nostre vite: i miei “quasi 50” e la sua vita a pezzi. Ancora una volta sopravvissuti al solito mare di merda e ancora una volta a giocarcela tutta. La mano era nostra. Si ripartiva da zero, tentando questa puttana volta di fare fuori gli ultimi debiti sentimentali e l’intero stronzo fondo del piatto. La vita di sconti non ce ne aveva fatti, ma gli interessi li avevamo saldati tutti e da un bel pezzo, ormai.

Bier Garten, Cardillo, sul grande Viale, a Nord Ovest dalla città.

“Leon!”
“Camilo, hijo de puta!”
“Ernesto!”
“Finocchio di un Hank, que pasa?”

Leon ed Hank … altre storie … la “storia” della bicilindrica tra le strade in città. Il “quinto” e il “sesto” dei “sette”.

Leon di poco sopra i quaranta, Hank (dal suo amato Bukowski), verso il traguardo dei primi cinquanta. Il primo raccoglieva i lunghissimi capelli col solito sporco filo di cuoio nero, il secondo era tutto bianco, compresi denti e basette blues.

Leon possiede una splendida “cross bones”: nera, monoposto e femmina. Ha sangue normanno dappertutto. L’occhio è lesto, come le mani e la lingua. La sua voglia di spaccare il culo al mondo era ed è tale e quale a quella dell’anarchico sognatore di vent’anni fa. La strada ce l’ha nel cuore e il sogno di cavalcare la sua onda perfetta è intatto, come pura e perfetta è la sua idea di fratellanza e famiglia.

Leon, il “quinto”.

Conosce la “savana” delle bande e le rigide regole che ne orientano il passo e la vita. E’ uno spirito libero e, come il più impetuoso dei venti siciliani, si è dato da sé una stella e un cammino. 

Hank ha il solito sorriso bastardo di sempre. Le sue mani, palmi sempre pronti e accesi, sono come la sua vita e se i suoi occhi ti puntano, aspettati sempre un buco profondo tra anima e carne. Gioia, forza e lealtà i suoi punti di forza, come il grande desiderio di scoparsi la strada fino a lasciarsi crepare. Il suo credo è simile alla fede dei grandi viaggiatori teutonici: regole e passo, ordine e disciplina. E’ l’anima militare del Club e non c’è niente da fare: sangue e onore, sempre! Hank  possiede una splendida Dyna Street Bob: Sara, come la compagna di quello stronzo di un poeta maledetto. Sara, femmina, elegante e sempre in calore. Come Leon, è padre e la sua vita … una corsa estrema tra darsene e approdi, derive e tempeste.

Hank, il “sesto”.

“E allora?”
“E allora, ‘sta minchia!”
“Leon: sempre il solito stronzo di merda!”
“Sai bene da chi ho imparato … ”
“Finocchio!”
“Troia!”

Il nostro è il solito impassibile, eterno amore.

“E tu, Hank?”
“E che devo dirvi … ottima merda, come sempre!”
“I soliti fallimenti del cazzo …”
“Si, ma sempre in tiro!”
“Come i tuoi capelli, vecchio coglione …”
“Che fa? Vuoi provare?”
“Bene … e ora dopo le vostre toccatine di puttanelle arrapate … vi espongo il quadro della situation: Triskeles …”

Ernesto è il club. Il silenzio che orienta, la parola che ordina. Il consiglio da quella sera, ebbe i suoi “sei”. Il “settimo”, in Triskeles, sarebbe giunto in quei giorni e, come cazzo si dice, avrebbe chiuso il cerchio.

Faceva ottobre. Ed era sempre quel caldo. La zagara opponeva la sua forza alla potente eco del salmastro.

La piccola, grande colonna si mosse dallo spiazzo prima della mezzanotte, come una falange compatta. Ernesto, io, Skrew, Narcos, Leon ed Hank nell’ordine. La strada ci accolse, come la giovane e bella sposa protesa verso il proprio futuro di madre. L’orizzonte indistinto segnò tra le stelle un abbrivio cromato: erano sogni di cani randagi, per sempre.

Era un dosso. E il futuro era già alle spalle. Procedemmo in formazione e il viaggio continuò tra le soste. Avremmo voluto fare nostro quell'ultimo orizzonte, ma l'autunno preparava il ghiaccio all'inverno prossimo. Preferimmo aspettare l'ulteriore, tra i diamanti di quell'adesso. E con le nostre moto segnammo il solco ... e l'altrove.

SaF

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