03 novembre, 2011

Triskeles. Il giorno di Jessie. di vitobenicio zingales


Il giorno di Jessie.

39 gradi di cazzo di temperatura, fiondanti tutti fra culo e schiena. Tanti erano quelli segnati dal termometro. Il giorno prima avevo fatto secchi due superiori cariati … e nonostante l’antibiotico in circolo, una qualche stronza infezione aveva fatto, in quelle ore, il suo sporco lavoro. Ma era il giorno di Jessie. Dopo chissà quanti secoli di ottima merda, tornavo colle palle appiccicate al bitume. Quante cose erano accadute, quanti giorni del cazzo erano passati e, soprattutto, quante esistenze avevano attraversato la mia di vita. Angeli e demoni, infami e puttane … in serie, aggratis o dannatamente cercati. Il mio secondo matrimonio, fallito e crepato; Martina, mia figlia, ormai donna e sempre più lontana; il lavoro, senza sbocchi e alternative; i miei vecchi, sempre più vecchi … e quello stronzo, finocchio del mio buon vecchio amico di sempre, Ernesto.

“Il giorno di Jessie, eh coglione?”
“Si, hermano … dimmi che è vero, ‘che ancora non ci credo …”
“Come ti senti?”
“Strano …”
“Strano?”
“Sai una di quelle sensazioni da rincoglionirti?”
“Ah, allora stai normale …”
“Come, stai normale?”
“Tu coglione lo sei sempre … COGLIONE!!”

Ernesto, il mio stronzo fratello di sempre: il giorno in culo alla luna e la notte tra le tette dell’alba … ecco cosa siamo. Sentivo che c’aveva il morale a terra. In quei giorni la vita l’andava massacrando “di fino”. Gabriela, la sua ex, da molti mesi ex ormai, continuava a pestarlo ai fianchi. Se da un lato desiderava scrollarsela dalle palle, dall’altro, l’amico, non faceva nulla per tirarsi fuori: il cuore, talvolta, è così bastardo da impedirti un qualsiasi, salvante ragionamento del cazzo. E nonostante i numeri, la logica e i fatti dimostrassero, e più che chiaramente, quanto fosse poco igienico credere ancora, lui si lasciava condizionare da quel maledetto muscolo piantato nel petto. Ernesto inseguiva la donna sbagliata, ma l’amava (almeno così credeva) e non c’erano santi. Qualsiasi cosa intendesse fare per levarsi di dosso la rogna, “lei” era lì, a massacrarlo e ad infognarlo sempre più. Le relazioni amorose, molto frequentemente, dopo il finecorsa, naturale o meno che sia, si trasformano in ossessioni e quello che Ernesto continuava a chiamare amore, dell’ossessione, ne aveva tutte le peggiori caratteristiche. La cosa andava avanti da mesi e più passavano i giorni e più la vita gli dava addosso.

“Que pasa Ernesto?”
“In culo, Camilo!”
“Quella ti sta scopando il cervello: sbarazzatene, cazzo!”
“Non ce la faccio. La stronza è nella mia mente!”
“Devi essere forte …”
“Non è facile …”
“Non impossibile, però …”
“Lo so, ma m’illudo che …”
“Ernè: illusioni del cazzo sono!”

Le nostre vite, i nostri rimpianti, le nostre fredde cene, ma soprattutto il desiderio della venticinquesima ora. Venticinquesima ora, si avete capito bene. Quando si è soli con tutti i cazzi da mandare avanti, non bastano mai 24 ore per allineare tempo e rogne. La casa, il frigo da riempire, la biancheria da lavare e da stendere, la caldaia in blocco, il lavello otturato, stirare montagne di roba sepolte nella cesta chissà da quanti mesi, il veterinario per Tappo e Lucia, il lavoro, i vecchi … e ancora: il conto in rosso, la banca a romperti le palle, i creditori col fiato sul collo, le stronzate al lavoro, il vicino di casa macina coglioni e quei primi acciacchi della malora …

“Saranno illusioni del cazzo, ma la stronza è nel sangue come ‘sta minchia di vita che mi batte dentro …”
“Ed è questo il problema: falla fuori, una volta per tutte. Quella ti scoperà il culo a vita. Sai che l’adoro, ma Gabriela ha fatto la sua scelta, amen! Tira fuori le palle, altrimenti c’affoghi per sempre nella merda.”
“Lo so …”
“E allora?”
“E allora non so come cazzo fare …”

Sottaceti o cordon bleu (questi ultimi, se vogliamo regalarci uno sfizio), le nostre cene … in piedi, davanti l’impassibile inox del lavello in cucina e con i nostri inseparabili Tappo e Lucia a supplicare un avanzo, nonostante avessero ingollato avidi il proprio rancio qualche minuto prima. “Che merda di vita!”, direte … e potreste avere pure ragione, ma è la vita che ci siamo scelti, quella che ci sbattiamo giorno dopo giorno, “acca 24” … aspettando quella troia di una venticinquesima ora per resettare il cervello.

“Fai come ho fatto io con Mò: detestala!”
“E poi?”
“Archivi tutto all’inferno!”

Non è facile, ma quando sei tu ad aver mandato la vita a puttane, devi trovarti quella “Santa Ragione” per riuscire a venirne fuori. Io, nonostante la vita a pezzi, il modo l’ho trovato. Ho cercato un pretesto. Sono stato fortunato. Mi sono costati chissà quanti litri di sangue e chissà quante cazze di notti insonni, ma il mio sogno, ormai da mesi, è stato mandato agli atti: crepato e sepolto, per sempre.

Ernesto ha la circostanza, possiede i fatti, ma ancora non trova il “vero” pretesto. Elude la “logica”, il finocchio, per via di quel maledetto buco nel cuore. Forse, e dico forse, dovrebbe cercarsi una di “quelle” che ti entrano in vena e ti collassano all’istante e passare quindi, la mano alla sorte. Ma si sa è il “Principale”, il “Grande Architetto”, che fa da banco e se gli gira male ti passa le carte peggiori. In questi giorni siamo andati ad assenzio e tequila, perché, lo sapete bene, quando ti costruisci nella mente stronzate di sabbia, l’alcool è il più muscoloso e bastardo tra i venti. E si, penso proprio che di tempeste di vento ne vedremo ancora e tante, ma il fegato tutto sommato tiene e a dirla tutta “miss tequila legno” è una di quelle stronzette che conosce alla perfezione i veri motivi di un viaggio. Saremo pessimi esempi di umanità, magari non brilleremo per morale o per simili altre minchiate, ma dei deserti, come delle strade, conosciamo i falsi dilemmi di una duna e le vere menzogne sull’apice di un dosso. Ci consola credere ancora che da qualche parte, là fuori per noi, è Ithaca con quel mondo ritagliato su un filo di vento … quel mondo perfetto.        

“Stasera Cordon Bleu?”
“Ma si … spariamocela bene ‘sto cazzo di vita!”
“Prima un po’ di strada, però.”
“Claro que si.”
“Dove ti piacerebbe “sverginarla?”
“Davanti al mare voglio stare … Castellammare, pane olio e sale … “
”Scopello … al baglio?”
“Proprio lì. Il mare negli occhi e nessun ricordo in particolare. Solo birra e solo pane caldo in fondo alla bocca … “
“E sia!”
“Amen!”

Ventotto … faceva ottobre ed era quel cazzo di un giorno: il giorno di Jessie.

“Ciao Jessie … sono il tuo uomo …”

Nera. Sensuale. Monoposto. Femmina e languida … Jessie, la mia street bob.

“Llèvame por el camino, mi amor. Camilo soy tu hombre …”

Prima di mezzogiorno, col sole davanti e con tutto quello che avrei voluto dimenticare alle spalle. Nel giorno di Jessie tutto apparve inessenziale, perfino la memoria e i miei brucianti errori. In quegli attimi montò dentro il sogno di quell’”orizzonte ultimo” e lasciai che fosse l’anima a prendersi cura dei miei ristagni neri. Levai le mani dalle tasche e legai il coperchio per bene. Pigiai su run e l’acciaio, più di quanto avessi immaginato in quei giorni, colpì duro.  

La piccola colonna si mosse e la “macchia”, in onore di Jessie, fu pronta per la strada.   

Inseguimmo il sole come fosse musica, quella on the road e della “grande promessa”. Immaginammo fosse Jerry Lee Lewis a spingere l’eco di Boogie Woogie sul bitume, lungo la statale, direzione Purgatorio. Gli appoggi di quel mucchio di tornanti risultarono talmente veloci da riuscire a sentire il centro del mondo sotto la coppa dell’olio. A centosessanta in giro per una di quelle strafottute curve e là sotto restò solo il vapore di un’emozione. E tutto, perfino l’adesso del cielo, si fece vento. Per me, Ernesto, Hank e Pancho, anche il più fugace tra gli attimi, nel giorno di Jessie, fu Boogie Woogie. 

“Arrapato?”
“Si, Hank … vivo …"
“Come la senti?”
“La sento nel cuore … la sento tutta nel sangue …
“Sono felice per te, Camilo!”
“Grazie Pancho … “

Da Ernesto neppure una parola. Era nel suo stile. Solo un lieve sorriso. Solo sapere che da quel momento, da quel suo lieve cenno, si era tornati … in strada, uniti, per sempre.

“Forza coglione … diamoci un’altra botta!”
“Como los viejos tiempos, mi hermano! Vamos hijo de puta!”

Tornando a casa, col bitume appeso ai capelli e ai ricordi, mille e pieni, nel buco d’ogni tasca. Col suono incandescente del mare, tra frenesie di bielle e isterie di pistoni, nel risvolto del giorno che fu l’”ormai” tra l’ieri e l’ultimo rimorso. Tornando a casa, col catrame come inchiostro, tra i mille fogli del cuore. Col suono della mia Jessie e dei miei fratelli Triskeles, nel tondo di un giorno che per noi disegnò l’”ambra dell’adesso”: l’istante di quel mio mondo perfetto.

Stray and Forever
SaF









6 commenti:

  1. molto Kerouac. E veramente ben scritto.

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  2. gracias ... spero ci si possa divertire ancora fra "questi tornanti" ...

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  3. Bè per te che guidi la monoposto nera, sensuale, femmina e languida sicuramente sì ;)
    Io non ho mai guidato una moto, ma se si riesce a far passare così bene scrivendo il senso di quel che si vive e ci vive, forse anche i lettori qualche tornante riescono a imboccarlo. Tra un istante e l'altro del proprio mondo perfetto-talvolta-. grazie a te.

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  4. lo spero di cuore, caro amico lettore ... che qualche tornante lo si riesca ad imboccarlo insieme ...

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  5. Tutto ciò mi piace.., mi intriga, era da tempo che non leggevo righe scritte cosi', che quasi lo sentivo l'odore del pane cunzato , sensazioni vere , gente vera. e se le nostre strade si incontrassero? chissà , magari il momento non e' poi cosi' lontano...
    hasta la vista.

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  6. Grazie Daniele per la tua stima e soprattutto per il tuo "sentimiento". Talvolta, quando i cuori sono all'unisono e battono per un valore condiviso, le strade s'incrociano e lasciano che sia ...

    hasta siempre companero.

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