24 settembre, 2012

vaènesius, l'avvento, di vitobenicio zingales


vaènesius, l’avvento

 
Nonostante le cose del fuoco, ebbe “quel freddo” nel cuore e i ricordi che imparò dal mondo si persero nella nebbia, come derive di ghiaccio, all’istante.
 
 
 
Sul colle era la nebbia. Quell’inverno aveva già visto la neve. Vaènesius era l’ultima città del mondo.
Alla mossa del cavaliere, Demetrius sorrise, lievemente.
Toccava al nero.
L’azione fu violenta, rapida, devastante. Il cavallo, schiantando il pedone in c3, adombrò minacciosamente il Re, in d1, e la Torre, in b1. Per il Cavaliere, a quel punto della giostra, sembrò non esserci più scampo. Humanus, per salvare il proprio Re, mosse il pezzo in c1. Il Cavallo nero venne trafitto.
“Prevedibile caro Cavaliere, prevedibile come la vostra vita …”
“Potreste solo supporla, la mia vita …”
“Ne siete certo?”
“Ho una sola certezza, la mia fede.”
“Più che opinabile, ma il vostro credo, fallace o meno che sia, merita rispetto. Non sarò certo io a mettere in dubbio la vostra forza: Dio e gli Arcangeli non sono di mia pertinenza. Osserverete, però, che la vostra fede, aldilà dall’essere un’insostenibile ipotesi, non attraversa i “vostri” più di quanto abbiate, nel passato, supposto. Orsù, guardate alle vostre spalle, solo un attimo: Vaènesius brucia.”
La città, devastata dall’ultimo cruento assalto, volgeva ormai alla fine. I “Reges Rosa”, asserragliati tra le mura della vecchia Loggia, erano allo stremo. Marco, la guida illuminata, il “fratello amato”, era ad un passo dal dichiarare la disfatta: il vecchio mondo deponeva le armi. Gli uomini dell’”Opus Christi”, cento volte superiori in numero, attendevano nervosamente l’ordine supremo.
Erano silenzio e fiamme; i pretoriani della XII^ armata avrebbero dovuto sferrare l’ultimo colpo e decapitare quindi, la testa alla “fratria santa”.
“Alle mie spalle è solo un mucchio di pietre che brucia, null’altro che questo.”
“Ma è Vaènesius a bruciare, il centro del mondo, la terra di mezzo.”
“Vaènesius non è la fede, come il golgotha, non è la verità!”
“Non voglio turbarvi, né tanto meno contraddirvi, ma su quel colle rovesciato, non dovrebbe essere l’”edificio del segreto”?”
“Le vostre allusioni sono ben lontane da quel segreto …”
“La materia risulta complessa e di certo non è affar mio. Impareggiabile è la vostra forza, ma la circostanza, oltremodo sventurata, non vi avvantaggia sullo scorrere della storia.”   
“Della storia sono state scritte solo le premesse e la fine è ben lontana dall’essere pensata … “
“Le doglie peggiori sono addivenire, la storia ne ha registrato solo le più lievi …”
Il gesto fu improvviso e violento abbastanza: Demetrius, caricando dalla propria colonna, catturò la Torre e nonostante il Cavallo trafitto …
 “Scacco matto!”
Era abbastanza freddo. Solo cicatrici di cielo ed esplosioni al fosforo, lungo le geometrie urbane dilaniate da anni di odioso conflitto. Per tre parti il mondo era ricoperto da enormi distese di ghiaccio. Dopo la grande guerra, il pianeta, alla fine del 2150, sembrava essere sul punto di non ritorno. Le grandi città, di quella che avrebbe dovuto essere la “Nazione Guida”, erano scomparse, funestate, nel frattempo, dall’avidità e dalle guerre fratricide. I tragici effetti del secondo conflitto nucleare, spazzarono dalle mappe l’Iran e gran parte del Medio Oriente. L’estremo oriente, dalla Birmania al Giappone, nel 2059, scomparve per sempre. Nel 2060, dal mese di marzo, Arcangelsk, l’ultima città della Grande Russia, divenne polvere.
Vaènesius, ricoperta dalla neve e dalle sue colpe, mostrava i suoi squarci irreparabili e gli incendi, che si susseguivano violenti, per le esplosioni d’uranio, ne dilaniavano, da due anni ormai, le forme e i ricordi. Dei dieci milioni di abitanti, i cento, e forse meno, della Reges Rosa, erano gli ultimi sopravvissuti della Città della Speranza. Tutto, dal colle alla Promenade, era morte. Tutto, dalla cittadella della bioinformatica all’austero Palazzo dell’Ordine Sacro, erano ombra e sepolcro. Ai Generali dell’Opus Christi sarebbe risultato sufficiente un solo razzo hausen, caricato con raggi Gamma Phoenix, ma se ne avessero ordinato lo scempio, gli effetti della bordata avrebbero danneggiato irreparabilmente l’intero avamposto. L’ordine superiore tardava ad arrivare. L’avamposto Alfa, annidato a 70 metri sotto il livello del mare, preservava “il segreto”. 
 
Alfa custodiva il Santo Graal.
“Annientare Marco e la Reges Rosa virgola punto. Tutelare ad ogni costo virgola la “prova” virgola firmato il presidente O.C. Lucio Agrippa IV° punto”
Questo il testo del dispaccio numero cinque, all’alba del primo dicembre del 2150.
Tra i cento della fratria, gli ultimi nove umani, sulla faccia del pianeta, al di sotto dei dieci anni, non avrebbero avuto più il tempo, probabilmente da quelle ore, di sognare un nuovo mondo.
Le ultime Baccanti del Sacro Tempio, nel frattempo, erano fuggite, rinnegando la fede. Come il Drusen, la molecola del ricordo, anche la vita andava esaurendosi.
“La partita è giunta al termine … “
“E’ il mio Re ad essere caduto …”
“Ricordate Cavaliere: la parola data!”
“Onorerò il patto, ma concedetemi altro tempo.”
“Chiedete l’impossibile.”
“Tra i vostri primati è l’eternità. Vi chiedo solo di concedermi un po’ del mio tempo umano … un istante insignificante per voi, l’ineluttabile ultimo desiderio per me.”
“Potrei accordare la richiesta, ma dovrete confessare il vostro scopo.”
“Solo il tempo di affidare alla fine i miei ricordi …”
“Caro Humanus, pur essendo alla fine … comunque sia, richiesta accordata …”     
I due contendenti si alzarono in piedi. Humanus, dal sasso piatto della disputa, fece due passi verso il labbro del dirupo. Demetrius, dalla parte opposta, prese l’ombra di una vecchia acacia.
La tunica del Cavaliere, sferzata dal gelido vento, drappeggiò come uno di quegli antichi vessilli cavallereschi, riproducendo un suono del tutto simile al vibrare delle ali di un uccello. Il mantello nero del gigantesco Principe sfiorò la terra e quel giallo esitante di caracitole nella neve.
Tutto era fermo, al di là del freddo.
Negli occhi di Humanus, Vaènesius … in quelli del Principe, il nulla. Le mani di Demetrius, scolpite da profonde e antiche anse, sfiorando la corteccia dell’albero, fecero come porsi in attesa: avrebbero dovuto, da lì a poco, ordinare forse un comando.  
 
“Pater Noster qui es in cælis:
sanctificétur Nomen Tuum;
advéniat Regnum Tuum;
fiat volúntas Tua,
sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum
da nobis hódie;
et dimítte nobis débita nostra,
sicut et nos
dimíttimus debitóribus nostris;
et ne nos indúcas in tentatiónem;
sed líbera nos a malo.
Hoti sou estin hē basileia, kai hē dúnamis, kai hē doxa eis tous aiōnas.
Amen.”
Fu più di un sussurro. Humanus prima di chiudere gli occhi e cominciare il racconto dei suoi ricordi al suo nuovo ricordo, invocò il Dio Onnipotente dei Cristiani.
“Liberaci da noi stessi, dall’ego o dal vecchio Adamo: liberaci da ciò che è
frutto del “peccato” o della “caduta”. Liberaci da noi stessi per noi stessi; liberaci dall’ego per l’Io; liberaci dal vecchio Adamo per il nuovo Adamo.”
Tutto era fermo, al di là di quel freddo.
“Padre che fosti, che sei e sarai
Nella nostra più intima essenza.
Il Tuo Nome venga da noi
Glorificato e santificato.
Il Tuo Regno si estenda
Attraverso le nostre azioni
E il nostro modo di vita.
La Tua Volontà venga da noi
Attuata quale Tu l’hai posta
Nella nostra intima essenza.
L’alimento dello Spirito,
Il Pane di Vita, Tu porgi
In sovrabbondanza per tutte
Le mutevoli situazioni dell’esistenza.
Concedi che la nostra misericordia
Verso gli altri serva da pareggio
Dei peccati da noi compiuti
A danno del nostro essere.
Non lasciare che il Tentatore
Agisca su di noi oltre
La misura delle nostre forze
Poiché in Te, o Padre santo,
Non esiste tentazione alcuna,
Essendo il Tentatore solo
Illusione e inganno dal quale
Tu ci liberi, grazie alla luce
Della conoscenza di Te, nel cuore.
La Tua potenza e magnificenza
Agiscano su di noi, dall’alto,
Attraverso i tempi dei tempi.
Amen.
Si, adesso io ricordo … liberaci dal vecchio Adamo per il nuovo Adamo.”
In lontananza, un’esplosione. Vaènesius s’illuminò a giorno. Nella zona del mare, quella dell’avamposto Alfa, un improvviso raggio verde trafisse le profondità. In alto, nel cielo, le stelle, da Venere alla Sagoma dell’Eroe, culminarono la volta celeste con una luce mai vista.
Dal colle, dalla fronda dell’albero, un serpe verde sbucò dal silenzio interrotto: dalla chioma dell’acacia, si lanciò nel vuoto e nel vuoto terminò i suoi giorni.
Humanus spalancò il suo "occhio".
Ancora una volta quel “superiore tempo” parve squadernargli l'anima.
L’avamposto andò distrutto. Le fiamme predarono ogni cosa, ogni ricordo e la “prova”, ricavata dall’ultima cena di Leonardo, andò distrutta. Sotto la “biacca”, dal punto di fuga al viso dell’Amata, il codice subì l’onta distruttiva del fuoco. La “prova”, custodita nei secoli dai “giusti priori”, finì in cenere.
Humanus, inalò ancora Drusen e fece come respirare altro tempo.
Nel cielo serale illuminava la magnifica costellazione di Auriga,  la sua stella più luminosa, Capella, brillava inconfondibile quasi esattamente sopra il colle. Accanto all’Auriga, la rossa Aldebaran disegnava “l’occhio” della costellazione del Toro, pronto ad attaccare il cacciatore Orione e le sue stelle brillanti, dalla magnificente Sirio a Procione, l’ottavo diamante, vertice del grande triangolo invernale. Sulla vicina “eco di luce”, Castore e Polluce segnalavano le fulgenti geometrie celesti dei Gemelli.
L’universo, tra Potestà, Archai e Dominazioni, illuminava zenitale sulle colonne e le case della scacchiera.
Da Lazzarus, il Primo Priore a Cristiano, il Superiore Incognito del mondo post atlantico, l’umanità superstite si attraversava nel nuovo seme.
 Il Vivente Graal, Marco, il “tredicesimo frate”, l’Humanus, respirava dalla gola il “sangue del nuovo ricordo”. Sul colle era l’Adamo della riconciliazione e la rinascenza ebbe origine dalla Morte.
Quando Marco, l’Humanus, finì di scorrere le Cronache, tornò verso il sasso della disputa. Demetrius, lasciata l’ombra dell’acacia, era già lì, in piedi e privo d’occhi.
Non appena furono a meno di un passo tra loro, la destra dell’uno intrecciò il palmo dell’altro.
Furono Uno e il tempo ebbe inizio.
 
Subito dopo quell’ultima esplosione, un’enorme palla di fuoco prese i mari e la terra … Fu buio per molto tempo.
Ma la Luce giunse con l’ultimo e dall’ultimo dei nove: il sopravvissuto di Vaènesius, Nathan, il primo dei due Gesù, il Santo Graal.    

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