vaènesius, l’avvento

Sul
colle era la nebbia. Quell’inverno aveva già visto la neve. Vaènesius era
l’ultima città del mondo.
Alla mossa del cavaliere,
Demetrius sorrise, lievemente.
Toccava al nero.
L’azione
fu violenta, rapida, devastante. Il cavallo, schiantando il pedone in c3,
adombrò minacciosamente il Re, in d1, e la Torre , in b1. Per il Cavaliere, a quel punto della
giostra, sembrò non esserci più scampo. Humanus, per salvare il proprio Re,
mosse il pezzo in c1. Il Cavallo nero venne trafitto.
“Prevedibile
caro Cavaliere, prevedibile come la vostra vita …”
“Potreste
solo supporla, la mia vita …”
“Ne
siete certo?”
“Ho
una sola certezza, la mia fede.”

La
città, devastata dall’ultimo cruento assalto, volgeva ormai alla fine. I “Reges
Rosa”, asserragliati tra le mura della vecchia Loggia, erano allo stremo.
Marco, la guida illuminata, il “fratello amato”, era ad un passo dal dichiarare
la disfatta: il vecchio mondo deponeva le armi. Gli uomini dell’”Opus Christi”,
cento volte superiori in numero, attendevano nervosamente l’ordine supremo.
Erano
silenzio e fiamme; i pretoriani della XII^ armata avrebbero dovuto sferrare
l’ultimo colpo e decapitare quindi, la testa alla “fratria santa”.
“Ma
è Vaènesius a bruciare, il centro del mondo, la terra di mezzo.”
“Vaènesius
non è la fede, come il golgotha, non è la verità!”
“Non
voglio turbarvi, né tanto meno contraddirvi, ma su quel colle rovesciato, non
dovrebbe essere l’”edificio del segreto”?”
“Le
vostre allusioni sono ben lontane da quel segreto …”
“La
materia risulta complessa e di certo non è affar mio. Impareggiabile è la
vostra forza, ma la circostanza, oltremodo sventurata, non vi avvantaggia sullo
scorrere della storia.”
“Della
storia sono state scritte solo le premesse e la fine è ben lontana dall’essere
pensata … “
“Le
doglie peggiori sono addivenire, la storia ne ha registrato solo le più lievi
…”
Il
gesto fu improvviso e violento abbastanza: Demetrius, caricando dalla propria
colonna, catturò la Torre
e nonostante il Cavallo trafitto …
Era
abbastanza freddo. Solo cicatrici di cielo ed esplosioni al fosforo, lungo le
geometrie urbane dilaniate da anni di odioso conflitto. Per tre parti il mondo
era ricoperto da enormi distese di ghiaccio. Dopo la grande guerra, il pianeta,
alla fine del 2150, sembrava essere sul punto di non ritorno. Le grandi città, di
quella che avrebbe dovuto essere la “Nazione Guida”, erano scomparse, funestate,
nel frattempo, dall’avidità e dalle guerre fratricide. I tragici effetti del
secondo conflitto nucleare, spazzarono dalle mappe l’Iran e gran parte del
Medio Oriente. L’estremo oriente, dalla Birmania al Giappone, nel 2059,
scomparve per sempre. Nel 2060, dal mese di marzo, Arcangelsk, l’ultima città
della Grande Russia, divenne polvere.
Vaènesius,
ricoperta dalla neve e dalle sue colpe, mostrava i suoi squarci irreparabili e
gli incendi, che si susseguivano violenti, per le esplosioni d’uranio, ne dilaniavano, da due anni ormai, le forme e i ricordi.
Dei dieci milioni di abitanti, i cento, e forse meno, della Reges Rosa, erano
gli ultimi sopravvissuti della Città della Speranza. Tutto, dal colle alla
Promenade, era morte. Tutto, dalla cittadella della bioinformatica all’austero
Palazzo dell’Ordine Sacro, erano ombra e sepolcro. Ai Generali dell’Opus Christi
sarebbe risultato sufficiente un solo razzo hausen, caricato con raggi Gamma
Phoenix, ma se ne avessero ordinato lo scempio, gli effetti della bordata
avrebbero danneggiato irreparabilmente l’intero avamposto. L’ordine superiore
tardava ad arrivare. L’avamposto Alfa, annidato a 70 metri sotto il livello
del mare, preservava “il segreto”.
Alfa custodiva il Santo Graal.
“Annientare
Marco e la Reges Rosa
virgola punto. Tutelare ad ogni costo virgola la “prova” virgola firmato il
presidente O.C. Lucio Agrippa IV° punto”
Questo
il testo del dispaccio numero cinque, all’alba del primo dicembre del 2150.
Tra
i cento della fratria, gli ultimi nove umani, sulla faccia del pianeta, al di
sotto dei dieci anni, non avrebbero avuto più il tempo, probabilmente da quelle
ore, di sognare un nuovo mondo.
Le
ultime Baccanti del Sacro Tempio, nel frattempo, erano fuggite, rinnegando la
fede. Come il Drusen, la molecola del ricordo, anche la vita andava
esaurendosi.
“La
partita è giunta al termine … “
“E’
il mio Re ad essere caduto …”
“Ricordate
Cavaliere: la parola data!”
“Onorerò
il patto, ma concedetemi altro tempo.”
“Chiedete
l’impossibile.”
“Tra
i vostri primati è l’eternità. Vi chiedo solo di concedermi un po’ del mio
tempo umano … un istante insignificante per voi, l’ineluttabile ultimo
desiderio per me.”
“Potrei
accordare la richiesta, ma dovrete confessare il vostro scopo.”
“Solo
il tempo di affidare alla fine i miei ricordi …”
“Caro
Humanus, pur essendo alla fine … comunque sia, richiesta accordata …”
I
due contendenti si alzarono in piedi. Humanus, dal sasso piatto della disputa,
fece due passi verso il labbro del dirupo. Demetrius, dalla parte opposta,
prese l’ombra di una vecchia acacia.

Tutto
era fermo, al di là del freddo.
Negli
occhi di Humanus, Vaènesius … in quelli del Principe, il nulla. Le mani di
Demetrius, scolpite da profonde e antiche anse, sfiorando la corteccia
dell’albero, fecero come porsi in attesa: avrebbero dovuto, da lì a poco,
ordinare forse un comando.
“Pater
Noster qui es in cælis:
sanctificétur
Nomen Tuum;
advéniat
Regnum Tuum;
fiat
volúntas Tua,
sicut
in cælo, et in terra.
Panem
nostrum cotidianum
da
nobis hódie;
et
dimítte nobis débita nostra,
sicut et nos
dimíttimus debitóribus nostris;
et ne nos indúcas in tentatiónem;
sed
líbera nos a malo.
Hoti
sou estin hē basileia, kai hē dúnamis, kai hē doxa eis tous aiōnas.
Amen.”
Fu più di un sussurro. Humanus prima di chiudere gli
occhi e cominciare il racconto dei suoi ricordi al suo nuovo ricordo, invocò il
Dio Onnipotente dei Cristiani.
“Liberaci da noi stessi,
dall’ego o dal vecchio Adamo: liberaci da ciò che è
frutto del “peccato” o
della “caduta”. Liberaci da noi stessi per noi stessi; liberaci dall’ego per l’Io;
liberaci dal vecchio Adamo per il nuovo Adamo.”
Tutto
era fermo, al di là di quel freddo.
“Padre che fosti, che sei e sarai
Nella nostra più intima essenza.
Il Tuo Nome venga da noi
Glorificato e santificato.
Il Tuo Regno si estenda
Attraverso le nostre azioni
E il nostro modo di vita.
Attuata quale Tu l’hai posta
Nella nostra intima essenza.
L’alimento dello Spirito,
Il Pane di Vita, Tu porgi
In sovrabbondanza per tutte
Le mutevoli situazioni dell’esistenza.
Concedi che la nostra misericordia
Verso gli altri serva da pareggio
Dei peccati da noi compiuti
A danno del nostro essere.
Non lasciare che il Tentatore
Agisca su di noi oltre
La misura delle nostre forze
Poiché in Te, o Padre santo,
Non esiste tentazione alcuna,
Essendo il Tentatore solo
Illusione e inganno dal quale
Tu ci liberi, grazie alla luce
Della conoscenza di Te, nel cuore.
Agiscano su di noi, dall’alto,
Attraverso i tempi dei tempi.
Amen.
Si,
adesso io ricordo … liberaci dal vecchio Adamo per il nuovo Adamo.”
In
lontananza, un’esplosione. Vaènesius s’illuminò a giorno. Nella zona del mare,
quella dell’avamposto Alfa, un improvviso raggio verde trafisse le profondità.
In alto, nel cielo, le stelle, da Venere alla Sagoma dell’Eroe, culminarono la
volta celeste con una luce mai vista.
Dal
colle, dalla fronda dell’albero, un serpe verde sbucò dal silenzio interrotto: dalla chioma dell’acacia, si lanciò nel vuoto e nel vuoto terminò i suoi
giorni.
Humanus
spalancò il suo "occhio".
Ancora
una volta quel “superiore tempo” parve squadernargli l'anima.
L’avamposto
andò distrutto. Le fiamme predarono ogni cosa, ogni ricordo e la “prova”, ricavata
dall’ultima cena di Leonardo, andò distrutta. Sotto la “biacca”, dal punto di
fuga al viso dell’Amata, il codice subì l’onta distruttiva del fuoco. La
“prova”, custodita nei secoli dai “giusti priori”, finì in cenere.
Humanus,
inalò ancora Drusen e fece come respirare altro tempo.
Nel cielo serale illuminava la magnifica costellazione di Auriga,
la sua stella più luminosa, Capella, brillava inconfondibile quasi esattamente
sopra il colle. Accanto all’Auriga, la rossa Aldebaran disegnava “l’occhio”
della costellazione del Toro, pronto ad attaccare il cacciatore Orione e le sue
stelle brillanti, dalla magnificente Sirio a Procione, l’ottavo diamante,
vertice del grande triangolo invernale. Sulla vicina “eco di luce”, Castore e
Polluce segnalavano le fulgenti geometrie celesti dei Gemelli.
L’universo, tra Potestà, Archai e Dominazioni,
illuminava zenitale sulle colonne e le case della scacchiera.
Da
Lazzarus, il Primo Priore a Cristiano, il Superiore Incognito del mondo post
atlantico, l’umanità superstite si attraversava nel nuovo seme.
Quando
Marco, l’Humanus, finì di scorrere le Cronache, tornò verso il sasso della
disputa. Demetrius, lasciata l’ombra dell’acacia, era già lì, in piedi e privo
d’occhi.
Non
appena furono a meno di un passo tra loro, la destra dell’uno intrecciò il
palmo dell’altro.
Furono
Uno e il tempo ebbe inizio.
Subito
dopo quell’ultima esplosione, un’enorme palla di fuoco prese i mari e la terra
… Fu buio per molto tempo.
Ma
la Luce giunse
con l’ultimo e dall’ultimo dei nove: il sopravvissuto di Vaènesius, Nathan, il
primo dei due Gesù, il Santo Graal.
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