25 settembre, 2012

fermo siciliano, di vitobenicio zingales


fermo siciliano

non c'erano vincoli, nè contorti di memoria. semplicemente disponevano al rettifilo sul gocciolare lento dei gerani. da pozzanghera a fango, era il sole. e sul fianco della rocca, dal ripetersi del mare allo sfinirsi dello zolfo, erano treni: fermi, di tanto in tanto all'infinito che, con le cicale tra i denti, ornavano il binario. le banchise, per un tratto, facevano un parallelo di pensiline, ma alla fine perdevano in vigoria e il tratto tornava uno. l'orizzonte immaginava la sua curva e il grano, nell'allacciarsi al nodo degli ulivi, alludeva solo al futuro della trebbia. non c'era tempo e lì, l'andare di posto in posto, disegnava fermo e distante. l'oltre era solo un posto liquido e poco necessario. talvolta erano i serpi a gusciare dall'onice, poi tornava niente, al kaos e al senso immotivato dell'adesso. la brezza faceva miraggi irrisolti, misurandosi tra il tentativo dei pali e l'errore d'immaginarne l'inservibile filare. il quadrante a parete, lì all'angolo col cesso, fermo, ma con decenza, faceva la solita illusione. sbrigavano le ore, invece, a tocchi e a pezzi, come squarti di giorni, che fingevano, a sorsi lenti, di pareggiare l'acqua della fontana ... le cose in stazione, involontarie, più del battere dello sfacelo intorno, facevano capace quel nulla, ma per i gechi e i cristiani vecchi del paese, in circolo e col garibaldi in bocca.


paralleli, in eterno, disputavano i due treni e l'assolarsi dell'istante squartava nel mezzo.

altrove, con quelle, non c'erano somiglianze d'estati: lì a scannare non era il ricordo, ma il silenzio: fermo, siciliano. niente d'infinito: semplicemente, la caloria, spalancando il caos, s' attribuiva, con i gechi, il primato su tutto.

la schiera dei confini arroccava sul sentiero e gli imbecilli, più degli avidi, ne spezzavano il tiepido rischio, con un colpo di lupara ai conigli. le loro eccedenze, tra le contrade, li facevano ciclopi, e se le loro minchionerie erano tali per potenza a quelle dei signori del continente, finivano con l'essere dei.

sulla banchisa, due viandanti: maschio e femmina, i soliti, sulla meta d'ogni giorno. i loro treni, sul parallelo dell'uno e sul meridiano dell'altro, alludevano, ma anche loro fermi, al senso incomprensibile del viaggio.

e lentamente, sul tentare di un irrimediabile slancio, tutto ciò apparve agli occhi delle cose  nel kaos fermo della irreprensibile xitta. 

Vbz

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