il pasto è servito, dicevi, e spalancavi il sangue alla serratura del mio inferno. al primo sorso, facevi come un morire di vetri, ma bastava uno slancio e il tuo inguine smarriva in quell'adesso di frangibili orgasmi. non occorreva che il tuo sudore urlasse piacere e serravi le unghie alle pelli del mio farmi bocca e letto. nel buio, piano, lasciavi che la cipria vestisse puttana e, tra gli scaffali del tuo ripeterti in ginocchio, indicavi per me l'inizio della vita. parlami, dicevano i tuoi occhi, e adoravi farti calice alle soste dei miei umidi pretesti, rilanciando la posta sul tavolo delle mie vene. guardami, mi urlavi lenta, e ti facevi inesauribile delitto e l'oltremodo induriva il latte ai tuoi capezzoli. e quando capivi l'ultimo sorso, scavavi alla sabbia la parte migliore del danno, stendendoti lingua sulle derive del mio darti maschio. era sempre domani sulla punta del regno e la coscienza imparava a disubbidire. e sul tuo farti serva e schiena, a me la vita non finiva mai.
il pasto è servito, dicevi. non c'era altro: quel cibo bastava e il mio inferno ti custodiva.
vbz
photo nikola borissov
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