05 agosto, 2014

Eterno, di vitobenicio zingales


eterno

mia lievissima sposa,

mi concederai l'impudenza di scriverti, ma a talune parole non ho mai dato il permesso e, tantomeno, di prenderti per mano. nonostante l'arroganza di questo nostro magnifico mondo, la gentilezza della nostra promessa non è mai venuta meno e se tutto e' risultato veloce e fatale, noi, al contrario, della lentezza ne abbiamo fatto, col tempo, la necessaria opportunità. ed è con quella lentezza che mi oso ... e con la medesima intensità con cui ho avuto la fortuna d'amarti. ti stupirai oltremodo nel sentirmi dire cose altrove il pudore, ma ogni parola e' stata obbligata al mio giudizio e, con misurata attenzione, alla fine, svelata alle tue morigerate esigenze morali. ricorderai, certamente, il velluto di quelle ore sulle gote dell'attesa ... il nostro primo appuntamento: sessant'anni indietro, nel tempo ... un risalire intrepido, d'accordo, ma una gioia che ancora sbraccia inimitabili tepori. tutto sembrava stupirci e quello stordimento, soave di emergenti novità, ci giungeva perfino dal lupanare dei picciotti intricati a "cercare". a quel tempo non c'era il futuro di oggi e tutto sembrava distrattamente dilatarsi più per il meravigliarsi della vita che per la meraviglia dovuta alle istantanee di una fortunata circostanza. quel giorno, sessanta primavere indietro, la vita mi offrì una tale meraviglia che io stesso, dentro quel momentaneo estraniamento, non volli crederlo possibile. cercai, con tutta la delicatezza dovuta, di trovare almeno una parola tra le mille che avevo stipato nel cuore, ma ritenni inadeguato perfino il cordiglio del sole e, rammenterai, all'incespicare del frasiccio, preferii richiamarmi agli arsenali della gioia più infantile. ero poco più che picciotto, ma in grado di avvertire quella certa nuvolaglia che, per talune vicende, t'arrossisce il carniccio e la pelle. quando tornai a casa, chiesi a mio padre, con una disinvoltura inspiegabile, se ricordava d'aver vissuto in una sola circostanza tutta la bellezza del mondo e semmai ne avesse appreso il ristoro, in quale cassaforte avrebbe poi assicurato gli incontenibili frammenti. si, fai bene a supporre: arcigno come sempre, smosse solo gli occhi, segnando il ritratto che nutriva d'"acqua" l'intonaco bucciato del soggiorno: mia madre. bambina mia, l'amore non si racconta e non c'è assunto più vero di questo ... al di là del supporre tutta la bellezza dell'universo in quel sollievo che, come sai, giunge da ogni inutile cautela. erano i tempi della furia, con la malaria e il colera addestrati alla bile più ferrigna, ma s'imparava la vita dalla grazia con cui la vita ci chiedeva pazienza. e se ci pigliava di chiedere "perché" ai "cristiani" del baglio, questi fantasticavano risposte con il più potente dei convincimenti ... il medesimo con cui, giorno dopo giorno, al flagrare dell'alba e al risalire piano della sera, dopo averti sfiorato la fronte, dicevamo insieme la vita. il sorriso ... quella malta rigenerante che rinvigoriva, tra l'umiltà alle aspirazioni e l'ossequio alla rinuncia, il nostro essere perfettamente uno. mi sono interrogato più volte su cosa avrebbe fatto la mia vita per meritare tutto questo. non ho mai avuto una risposta, ma ho ritenuto l'intuizione di dio, nei riguardi del nostro incontro, tra quelle dolcemente umane la più fatalmente giusta. ho cercato tra le dimore della gioia quella che potesse recarti i benefici del rispetto, quel ripetersi a gesto di un'anagrafe ad oltranza: la temperanza del semplice nel "crimine" del riguardo. e non c'è stata meraviglia, in quella semina d'intenti, pari a quel riordinare di tentativi quotidiani: di croce che palpita a croce, nel conseguire la passione, dipingendo acqua ad acqua. mi sei stata sposa nei miei ovunque al danno, nei miei errori mutuati a sale, nella neve dei tessuti nudi. ti sei fatta virtù al domicilio delle mie fragilità, al coltello degli effetti, al raggelo acetoso dei miei abbandoni maschi ... e non c'è stata chiesa d'acrimonia sul pulpito dei miei addebiti giornalieri. bambina mia, hai disarmato i miei dolori, evitando al ciclo dei ritardi e alle insonni inclinazioni la compiutezza del governo. sessant'anni di farsi rughe, ma tale e quale a quel focolaio di miscugli estivi, tra biondanze passate a forca e grappoli avviticchiati a serra ... perché la bellezza, con te, non ha posseduto alcuna memoria e s'e' fatta ritrovo, per quei medesimi ragionamenti, nella scultura dei tuoi occhi. hai adornato i miei disincanti, risolvendo i pudori della disfatta con l'ingrediente meno solubile allo strappo del rancore e non c'è stato un giorno, uno soltanto, tra gli infiniti che ricordo, in cui hai perduto un grammo alla vocazione dell'entusiasmo ... mi hai concesso tutto il sollievo capace, malgrado le escursioni del mondo, cercandomi nel palmo il centro esatto del motivo. mi hai fatto marito e padre, giorno dopo giorno, e alla fine, allattando la lussuria delle stelle, mi hai creato dio.

mi sei stata così bella, così mare e così terra, da cambiare identità al filo dei destini. 

... e adesso? 

"se avrai cura di attendere le rose ...", mi dicevi ... 

Vbz 

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