14 agosto, 2014

Indimenticabile, di vitobenicio zingales

Indimenticabile

mia adorata,

ho ripreso la voglia del sole, con le cose che fanno facile il mondo. possiedo ancora quel piccolo prestito di stoffe e me ne faccio ristoro ogni volta che dal balcone posso fare del cielo l'infanzia che voglio. dubito che si possa far meglio, ma se m'arrischio dalla ringhiera, tra me e il fermento di sotto, ti mando tutto il tempo che ho scritto a pensarti. alcuni, spesi tra "amministrazioni ipocrite", li pattugliano in mesi, altri, come sbirraglia appiedata, scovandoli da armistizi improbabili, li sottraggono a sconvenienti impasti di lievito ... io, che ho patteggiato il risalire, li aggiusto, invece, per rammendi di guadagno all'attesa e li brandello, per te, a suoni di pane sincero. lentamente, da giorni, risalgo l'oscurità di questo sottosuolo, tra greggi di insapori giubilei, lasciando alle spalle una corte di irragionevoli contratti. e piano, ad ogni rampa e ghiaiccio doppiati, mi accorgo di quella certa sofferenza che, per essere mostri, si doveva al calibro dei moderni vantaggi. avevi ragione, e non erano trasandate osanna, ma l'ambizione smodata ai "piccoli commerci" è la più detestabile tra le opinioni che qui, in questa grande città', elevano ancora a costituente possibilità. l'economia delle affinità, le tessiture del compiacersi, l'educazione all'inessenziale e altri mille imperi giocati all'occasione. vita mia, è difficile riannodare le pertinenze antiche, quelle che, di baglio in baglio, solevamo autenticare al nostro essere contumaci tra lascivia femmina e minchiate di scorribande. qui manca l'imbarbarimento all'imprudenza ed è assente l'istigazione all'improbabile ... tutta farina ammassata in botti blindate per paura di illeciti assaggi. e' tutto un tiepido miscuglio di alleate derive, un avvicendarsi di fasullo mondismo, un clima di ostentate bugiarderie tra frustranti seduzioni al potere dell'infamia. stenterai a crederlo, ma è viola questo tempo che mi fa dio ... senza memoria, né un contabile futuro a cui far ritorno. non voglio stupirti oltremodo, ma la gestazione dei ricordi e' dissanguata in questa nebbia all'abitudine, nella coltura di giorni sterminati al primo sperma dell'alba: non c'è una caloria di battiti, perfino nella semina del disordine, e nel mio quartiere, che e' di un educato susseguirsi di ammattonati pallidi, tutto nasce e crepa uguale. da questo mio confino alla rassegnazione ho indovinato, giorno dopo giorno, il petrolio della solitudine e il rasoio delle porte accanto, tutte astinenze al soverchio dei viticci. inferni che ho conosciuto per dolo di un "angelico" pretesto. non immagini, mia dolce amata, quante stagioni di serrature ho manovrato per smarrire la ghigliottina della noia, tra le mille congruenze appiccicate alla libidine dell'assenza. sulla schiena di questi numeri, che raccordano impotenti puledrami, sono solo addebiti di incoscienti promesse e la mia delittuosa infanzia, che imputavi al morso delle buffe, s'è scannata in questo navigare a caso, tra concorsi alla speranza e l'esercizio a cattedrali di grimaldelli improvvisati. non e' accaduto nulla ad oggi, se non il battere incessante della pioggia dentro ai sottili vetri di casa. ogni giorno, con il cappio stretto al collo, decido un silenzio invisibile per calpestare al meglio una spianata di puttane scuse. mi troverai con le vene all'osso, appeso ancora al prodigio di quel discorso sentimentale e se volessi cercarmi sangue, troveresti truffe di acida calce, buona, ormai, solo a legare rattoppi di dignità. non intendo addolorarti, ma sono dentro le pagine di un'antologia di rumori bianchi, a pochi passi dalle intenzioni di un sommario alla rovescia, tra resoconti sbattuti in corsivo sulla controcopertina dei recrimini più violenti. non e' la pace a mancarmi; no tesoro mio, non e' quella benedizione di voglie e tetti ... quella che ripara le gesta dell'errante dalla fame degli orizzonti ... e non e' l'occorrente alla gioia a mancarmi: "l'attrezzatura" nata dalle nostre vecchie opportunità ho fatto presto a rapinarla dal viatico dei nordici doveri. come sai, dalla diligenza del dolore ho imparato ad accumulare dosi di cristallo paziente, ma l'orda dei fallimenti, mia diletta, al di la' del compiacersi, ristora l'adeguatezza dei suoi denti alla pelle delle mie nascite inevase. e non c'è delusione che non abbia somiglianza con quelle deplorevoli aritmetiche a tempo: l'inutile crudeltà del sommare cumuli di tentativi a mucchi di "prostitute metafisiche" comprova la perfezione del delitto. ma e' per queste equazioni che ho tradito le gravidanze del tuo sangue, frantumando i confini di quell'angosciosa meraviglia che e' dentro il cuore del cuore del mondo ...

indimenticabile mia terra ... ti scrivo dal rintocco smunto dei passanti che tra queste guglie di percentuali fanno chilometri di irrisolvibili mancanze. 

mi manca la tua acqua, quel sanguinare sale sulla furia aperta d'ogni cicatrice buona. mi manca l'odore che mozza ogni pietra di parola, quel gettare maschio sul terriccio omertoso delle fiumare. mi manca il disguido della magagna, quella solerzia criminale di fantastica balbuzie spirituale. mi manco io, "maccagnone", malerba e dio.

e adesso che c'ho poca voglia di restare s'è abbassata, da ciò che fa vento e sul discrimine del mio balcone, tutta la restante metà di quel getto a piombo ...

Vbz

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