L'archivio
Caro Gian Paolo , e' dal mio umido posto che ti scrivo, con quell'alfabeto incapace di orari precisi, ma addestrato a frantumare parole come fossero sberle di epitaffi alla gioia. Il mio tempo, informato ad inesauribili intervalli, disegna onde di muri che masticano chilometri e chilometri di brezze salate. Non fraintendere, ma è il posto a pervadere le questioni del tempo, e non il contrario, e tanto da inclinare il piano su cui risiedono le più pregevoli tra le estetiche dei ricordi. Oggi, scavando aria più del solito, sono riuscito nell'intento: sollevato quello strato di ordinario orrore dalla pelle dei mille supposti obblighi, mi concedo un attimo tutto nostro ... e ti scrivo. Cercherò di frazionare l'istante e di raccogliere, quindi, tutto il tempo necessario per lasciarmi alle spalle le frontiere a guardia di questo gigantesco, tributo all'amnesia. Qui, da questi irrimediabili sguardi alla finestra, il disincanto sovrasta anche la più infantile incoscienza alla fuga ... e tutto duplica verso quell'ostentato monumento all'esteriore, tra irreparabili continenti di numeri e miliardi di noiose, contabili pianure. Quattro metri per quattro di indistinto pedinarsi a cottimo, un rifugio di trasandate opinioni, tuffate in lamiere di dislessiche percorrenze e prive di qualsivoglia, certa, umana anagrafe. L'unico sollecito che danza le salvezze di un seppur modesto furore, resta nel tentativo scarmigliato di farsi anagramma tra le dita di un taciturno silenzio, ma invano ... Talvolta, penetra un vocicchiare di chiara matrice roditoria ... spesso, una ronda di famelici ricordi, aggirando la mite sorveglianza, tenta un eroico azzardo. Su tutto, il ronzio acerbo di quei piccoli tumulti elettrici che, stabilmente e per contratto, condensano le logiche ordinarie del sistema. La mia è una stanza d'angolo, così d'avere la sintesi del cielo a portata di mano, ma mai abbastanza da possedere un passaggio intero del sole. Rammenta i disdicevoli attimi che precedono un collasso, con quel susseguirsi di livide assenze che anticipano la "catastrofe del trionfo". Le pareti raccontano apparenze circolari, come una sorta di ridondare catalettico intorno ad un più che esangue motivo di mezzo: una lenta scrivania attrezzata a rinforzare la più dispotica visione del nulla. Due sedie, ai margini del legno, mascherando improprie suggestioni, completano il liturgico arredo. La porta, con tanto di numero, al termine di un lunghissimo ed impermeabile camminamento, suggerisce i soliti contrasti allegorici ... pregiudizio, salvezza e potere. Una volta dentro, sollevata la richiesta, la stanza, per dovere d'ufficio, si trasforma in demone o in dio ... in quel marchingegno collaudato all'assoluto. Lo stato d'arte avanza a tratti, per variazioni umorali e sbadigli emotivi e nulla e nessuno può cambiarne le aggettanti filosofie, siano operanti la vendetta o l'elogio al ritardo. In fondo, e' il cuore del sistema ... avvezzo ad aritmetiche perfette e a cataclismi di stagioni inverse. Le sue consuetudini rotonde superano compendi legali o qualsivoglia sovranità tirannica e semmai ve ne fosse bisogno, scandali e stupori verrebbero distribuiti ai livelli più opachi del mastodontico ingranaggio. Ma è il silenzio ripetuto dei timbri, l'avanzare neutro del protocollo, l'olocausto del fascicolo agli atti e la procedura ciclostile del portare l'ostia a buon fine ... a compiacere il palato di dio ...
Da chissà quanti anni d'errori, questo, amico lontano, e' il mio archivio.
Gian Paolo, amico mio, qui fa lento ad ogni cosa. Il ricatto ostenta il bisogno, come la coppia di coniugi che trasvolano l'abitudine. L'apparire, qui, e' un insulto meravigliato, più di quanto possa fare la menzogna. Non c'è frattempo che sposi il tentare dell'assenza. Tutto è presente ed inevitabile. E tutto si fa incline alle consonanti della vergogna e dell'assedio. Perfino il cielo, oggi, non compie i soliti matrimoni d'attesa, restando appiccicato, di un passo avanti, alle tegole dell'edificio di fianco. In questo galleggiato indirizzo di inavvertite sponde, l'incapacità a sostenere la vita diventa, per latente forza, l'unico varco alla speranza ... e qualora te ne mostrassi l'appendice o l'intendimento, troveresti più appagante uno di quei silenzi che spigola il contorto dell'angoscia ... So che comprenderai, e non è un invito al commiserarmi, ma l'opinione di un sorriso gravita intorno l'anagrafe delle rughe e se si avrà la compiacenza d'invecchiare, dovremmo abbandonarci, prima o poi, al disegno criminale del risveglio ...
Ti lascio. Non lo credo possibile, ma inusitata c'e' una lamiera di sole che corregge alla balaustra un favore di lusinghe e di mitiganti altrove. Mi faccio ladro e rubo alla paura il colore dei miei occhi.
Vbz
...se male è stato detto, sanguina pure il nulla. questo è quello che io credo. ma forse, il nulla, nemmeno se ne frega.
RispondiElimina" se è stato detto male", rende meglio l'idea.
RispondiEliminaall'invio del messaggio mi si chiede di dimostrare di non essere un robot. dopo aver inserito una incomprensibile sequenza di numeri e lettere, l'invio mi sarà confermato ed io e chi riceve potremo dormire sonni tranquilli. non sono un robot.
Si, al nulla non frega niente ...
RispondiEliminaio..ho detto "forse" ...e neppure tu puoi saperlo...(non c'e' arroganza nel tono delle mie parole. una carezza, piuttosto)
RispondiElimina...io però, te lo devo dire. la tua scrittura è così "tal mente" e precisa nella sua articolazione, che nel ricevere, mettere assieme il riso e il pianto diventa una cosa difficilissima. tanto ne viene.
RispondiEliminaspero di essermi fatta capire
...di che colore è la paura?
RispondiEliminaDel medesimo colore che disegna i contorni dei pensieri di chi si firma senza nome ...
EliminaAnonimo dl pianto e del sorriso ... un po' di grammatica, no?
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