Il solito coglione
avrebbero ucciso. se fosse stato sovrabbondante il dubbio, avrebbero declinato "quel necessario rialzo". avrebbero scannato la vita, di chiunque, ovunque e senza pietà. il pretesto li fece pari. una di quelle giustizie letali che neppure in cent’anni, malgrado milioni di variabili e anagrammi di incroci indotti. l’onnipotente, o satana se si preferisce, li attirò l’uno verso l’altra, innescando uno di quei meccanismi che, senza preavviso, t’arriva una bomba proprio sotto l’uscio del culo.
in città erano gio' e fil. due stronzi. combaciati, pressoché identici.
io posso flettere il metallo.
e io posso inventare la pioggia.
sporchi frattali. alchimisti funamboli, potentemente umani.
il contratto era chiuso. firmato, capestro non deducibile incluso. il numero trecentodue, non negoziabile. la logica imponeva quella certa aritmetica bellezza. faceva maggio, grammatiche floreali a parte. altri sei mesi di duro "sgobbo" e avrebbero chiuso in attivo il loro secondo anno allegoricamente legale. la factory girava alla grande. i numeri erano dalla loro e i cazzi, sempre loro, nel deretano degli altri. festeggiavano con il solito calice di vino puzzolente, lui e con la solita latta di coca, lei. ridevano. trentatre scaglie di denti in un paradiso di impianti a rate ... convinti com’erano d’esserselo alzato alla grande, e anche questa volta, il cliente, il solito coglione. dopo il palato, il trionfo sarebbe transitato dalle svelte e inossidabili dita. avrebbero contato le banconote, una sull’altra, sul vezzoso ridondare bianco rosso della tela in cucina. diecimila: sull’unghia del mignolo di lui, sul riflesso colante del lardo di lei. la firma e la liberatoria del cliente erano già lì, in ricordo dell’ultima loro orgasmica liturgia aziendale. al netto delle spese, i loro numeri erano a sei cifre. tondi, glaciali, sicuri e senza il pelo di un maledetto cavillo contabile. e se ce ne fosse stato … nessun problema, l’avvocato a progetto, più che compiacente, in gessato e col baffo, avrebbe sistemato la cosa, alla buona e senza indigesti rumori mediatici. avevano messo su uno di quei sodalizi che la merda al confronto è una di quelle buone delizie alla menta. l’anno prima bastò fare due conti, indagare l’animo di quel “certo social target” e aggredire “quel certo criterio umano": i pruriti possiedono inimmaginabili privilegi. impararono l’arte di come metterla in quel posto evitando di darne notizia a chi, per contratto, in quel posto, andava ricevendo. giorni, settimane … lunghi mesi di indefesso e raffinato addestramento. chi fotte il rispetto e la dignità altrui sa che alla base di tutto è quell'audace salto: per fottere devi saper fottere pure tua madre.
la coscienza non ha un cuore, semmai fosse provvista di un buco.
giò e fil erano i migliori e i loro insuperabili servigi battevano tendenza.
tutto cominciò da errore e caso tra le rampe del solito grande condominio, portineria con Mercedes ornamentali comprese nel prezzo. lei avrebbe dovuto incontrare il solito coglione "osservato" in "social" e avvicinato per posta stereotipa. lui avrebbe dovuto convincere il solito stempiato incazzato che dall’ultimo manoscritto ricevuto affiorava l'idea "che buca e che spacca". entrambi, quel giorno, abitavano la medesima savana e per l'occasione avevano attrezzato la consueta scenografia di miracoli a ribasso. in ascensore capirono di dover, a breve, competere entrambi per un solo, ma facilmente eccitabile fallo in riserva.
la barriera corallina era pronta al fremito ...
ti chiami?
mi chiamo.
e dove vai?
vado da ...
minchia, ma è il "mio"!
cazzo!
ce lo facciamo entrambi?
a percentuale?
si, grazie.
lo capirono all’istante che erano fatti l’uno per l’altra.
lei possedeva una quinta naturale, lui un bracciale borchiato.
il genere che piaceva a lui, la specie a cui lei dava la caccia.
quel giorno, il coglione ci stava in mezzo, fra il mignolo ricurvo di lui e la quinta di tette di lei.
bastarono due ore. e, fra tette e bracciale, s’inventarono il film: la magia, la fatalità, l’energia.
cazzo! grazie, prego, grazie.
e ripresero le rampe.
e fu cosa buona e giusta.
la loro storia. né più, né meno.
gentile signore, certificava la mail, vorrei immediatamente rassicurarla: il progetto, visionato dalla nostra premiata azienda e approvato con voto unanime, sarà realizzato in data x a partire dal primo giorno utile dopo la firma il contratto. libro stampato e pubblicato in due settimane, diffusione capillare notizie, conferenza stampa, presentazione del libro, presenza massiccia in rete, filmati e foto sul nostro blog, incremento contatti su facebook, creazione sito ufficiale, istituzione di un ufficio stampa. cinquemila euro iva esclusa e gentile roberto, concedimi il tu, finalmente il mondo conoscerà il tuo talento straordinario. da questo momento, e mi complimento, sei uno scrittore.
il coglione lasciò via libera alla mano, di spararsi una sega e di firmare un assegno.
il mattino ebbe l’oro in bocca.
FINE
come, fine?
già.
il contratto trecentodue venne chiuso. la firma ne testimoniò il potente vangelo.
il coglione fottuto.
e il mattino continuò ad avere l’oro in bocca.
Ma ecco la FINE.
Tutta colpa del solito coglione, forse ...
Vbz
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