21 ottobre, 2014

L'ultimo lupo, di vitobenicio zingales


l'ultimo lupo.

erano freddo e impronte. sulla distanza, manifestavano la cruna e il senso. la neve accumulava inverni e il silenzio guadagnava quella parte di cielo da attribuire all’inferno. il resto faceva al passato. 
un po’ come gli uomini … sul terrapieno delle cose che finiscono..
era la steppa, da arkangel a vorkuta. da una parte all’altra giacevano le inconciliabili cose del ghiaccio. come le sintassi del perdersi. le leggi erano antiche, spesso emergevano villaggi, ma erano solo lunghissime consuetudini che sbiadivano continenti di numeri. 
mancava poco al frammento dello slancio. la sua corsa possedeva il ricordo e abitava il rimpianto, come gli alchimisti del rimorso, attribuendo al criterio dei confini l’olfatto dell’attesa.

era l’ultimo lupo.

la sua corsa, indifendibile, era istruita ai desideri del ritrovarsi. le sue zampe, dalla terra, raccoglievano potenza, sommando agli addii le allusioni al promettere e le celebrazioni del disincanto. nei suoi occhi invecchiava un privilegio e, tra i villaggi, quel vivere sagittale evocava ancora l'infanzia della grazia. il suo artiglio richiamava insospettabili accenni e le sue zanne narravano l'ira. era stato addestrato a non esitare. preciso, freddo, spietato … aveva vissuto "la grande illusione": l'attitudine a dio.
correva. possedeva ancora l'arte del furore. non avrebbe potuto desiderare altro se non quello che le cose destinarono alla spietatezza del suo abbandono ...
ricordò la conquista delle pause, lì nel capolavoro del mutare. ricordò la forza, la prudenza e quel distratto, ma dolce richiamo al rassegnarsi.

correva. 

non c’era più tempo per imparare ulteriore superbia, tutta la ferocia del mondo invocava le delizie del sentiero. non c’era più scadimento, ne' oltre. era stanco, aveva freddo. lo sentiva tutto, indifferibile, tra midollo e ossi. era paura, forse. l'orrore di provarla incominciava la fine, come l'ultima virtù ingaggiata dal futuro. la fuga era solo un indizio, contestabile come la salvezza. da solo … lui e la cupidigia del sentiero. tutto faceva al freddo e la neve imparava dal battere insostenibile delle tracce. l’alba giunse ancor prima che la luce avanzasse le ragioni della colpa. lentamente cominciarono a farsi avanti. a pochi passi dal suo dissimulare, intuì quel sentore opale di fiati e quell’annodarsi di pretesti … erano uomini e con loro, il peso di un motivo. 

era un lupo e gli davano la caccia.

i silenzi, maritati al ghiaccio, divagavano, ma puntuali tornavano all’approssimarsi di quel testamento concordato. ma non era il buio a facilitare i mostri.

in lui, nell'oscurità dello sbaglio, era l’uomo.
lo braccavano per quell’oltraggio …
uomo e lupo.

la gente dei villaggi, come i lupi di confine, presero ad odiarlo per quell’incontenibile danno, ma il crescere della scelta lo legò ai suoi convincimenti, e talmente tanto, da rinnegare la fede negli uni e il legame con gli altri. aveva una scelta da intendere e ciò che gli importava era il credere fermamente nella natura di quell'ibrido possesso.
al di là del grande fiume, gettavano le periferie. conosceva bene quel mordere. abitò a lungo la frenesia di quelle lampade. sapeva perfettamente l’ostentare di quelle torri e ricordava quel compiacere assente.
non avrebbe avuto scampo: da occidente muoveva la schiera dei “fratelli”, da oriente dileggiava l’uomo. a nord, i demoni e a sud, gli idioti. nelle terre di mezzo, allungava dio.
era un lupo, ma bestemmiava i sogni da uomo.
c’era solo una voragine da disimparare. e solo un abisso da svuotare.
null'altro per lui … l’uomo lupo.
era freddo, moltiplicato al sangue.
non aveva mai provato quel tipo di stanchezza. il cuore non gli bastava. il respiro temeva la coscienza. le ferite alle zampe conducevano al simulacro dei propri squarci. il suo accresciuto senso delle cose andava lentamente smarrendo. la sua vista, come la memoria, il suo olfatto, come la fede, perdevano la conseguenza delle origini. si procurava il trionfo dell'essere irrimediabilmente vinto: la sconfitta dell'essere liberi ... e la fine cominciava a mordergli quell'atroce presumere. scelse quell'angolo miliare di pietra, ad un passo dal labbro del salto e … lievemente prima, potentemente dopo, cominciò la gola. di luogo in luogo il suo urlo. acuto. regale, disperato. un grido, inarrestabile e sanguinante fiero. concimava il frattempo, l'eventualità alla morte. 

avrebbe dovuto ucciderla, farla a pezzi e divorarne il gemito. avrebbe dovuto impararne il sangue e dirlo al sapore dei suoi conflitti, risalenti l'ingordigia dei suoi incisivi. sarebbe stata la perfezione del pasto e quella bellezza rinnovata, se solo non avesse imparato il dubbio ... il dubbio: la metafisica d’ogni imperituro alibi. in fondo era carne, screziata di battiti e di peccati. in fondo era pelle … quell’amenità singolare, odorosa di voglie e di abbandoni. avrebbe dovuto concedere alle zanne l’ennesimo miracolo ed attribuire alla giugulare la voracità del getto. alla fine avrebbe dovuto dar credito alla furia del palato e dimenticare al primo fendente la colpa e il pianto.

dritto … alla gola.
senza pietà.
in fondo era un lupo.
nella steppa era la sorte.

“risparmiami … t’imploro … prendimi, uccidimi, ma risparmia la mia fede.“
“dovrei concederti il mito, perché?”
“impareresti il mio dio …”
“è materia fugace … non desterebbe alcun interesse.”
“moltiplicherebbe la tua forza.”
“ho ciò che serve alla mia grazia.”
“il tuo regno non avrebbe fine.”
“l’eternità non è nel tempo!”
“ma la luce, si.”
“di che parli, donna?”
“del vostro desiderio più antico … “
“non mi governo, ormai da tempo, nell’errore.”
“eppure siete stati colti più di una volta nella luce … “
“la luce … “
“quell’antico desiderio!”
“ti sbagli: a possederti è solo terrore!”
“non ho paura della morte.”
“bene … sarai il mio pasto perfetto.”
“aspetta … concedimi .. “
“cosa … cosa dovrei …”

prima di quella notte era l’alpha. ma in quel declinarsi, sul limite del bosco, "ascoltò" il seme fertile dei palmi ... sul manto. e quel caldo.

gli giunse il buio dei mostri, prima e la pietà, alla fine.

il primo colpo lo colpì ad una zampa. il secondo centrò la mano sinistra, in pieno. il terzo colpo dilaniò il costato. la mano destra fu centrata da un quarto, filante colpo. la quinta eco gli tranciò di netto la coda. l’ultima pallottola gli trafisse il cuore.
due passi ancora. uno, l’ultimo … strisciando, quasi. verso il salto. ululando ancora, nella nebbia, all’infinito. lo slancio. il grido.

era freddo. faceva male. l’adesso e il passato.
nel volo, fu lupo.
nell'impatto fu "bestia".

e salvando gli uni dal pregiudizio, liberò gli altri dalla colpa.

Vbz

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