autopsia di un dolore
... una di quelle giornate che, nonostante il freddo, il cuore avrebbe imparato ad amare il ghiaccio. una di quelle che ficchi le mani in tasca e, nel risalire piano, il mondo lo sai dalle cose che t'inventa la pioggia.
era freddo. come al cinema, nel buio e la consueta poltrona vuota accanto. come tutte le cose che la vita promette solo per generare un plausibile, ma invisibile teatro di inopinabili capolavori. sola, come al supermercato, reparto cosmetici e piccole, plateali ingordigie: di fianco, irriguardose una sull'altra. una di quelle che, “dannato destino!”, solo dopo t’accorgi e, “fottuta circostanza”, c’arrivi sempre in ritardo. una di quelle che la tua vita è dentro una busta per pizza familiare e ti risulta tiepido tutto, nonostante il mondo ti dice che hai tempo abbastanza per l'ennesimo turno da asporto.
“ciao mà …”
“come va? stai meglio?”
“il solito!”
“hai preso le cose?”
“tutte … “
“chiamami se … “
“ti chiamo se ... ciao mà.”
quarant’anni e contorni, tra svincoli obbligati e irriverenti tornanti. patatine fritte e magre pertinenze sul traslucido bordo di un piatto di plastica. come nelle pause pranzo, lontana da ogni tipo di refrigerante, chimica consolazione.
“le porto il dolce?”
“no, grazie … mi porti il conto.”
tuscè … impermeabile, cipria e fondotinta. e il solito marciapiedi da risalire a memoria. dal bar al tuo tiepido ordinario era il cuore l’unico muscolo, ostinato a battere ancora. tre rampe di scale, neon a sinistra e le unghie laccate della collega a destra. null’altro, al di là della pompa calore a bordo ring e del fax a portata di mano.
“secondo te?”
eri una di “quelle”. soliti quaranta, portati male, sulle spalle delle solite, stucchevoli promesse. sulla piazza, in reparto, la migliore tra le signorine a contratto. malaticcia, smunta e livida: il male minore, l’avversaria meno temibile tra le signore a tempo indeterminato. la tua vita, come tra gli scaffali di uno di quei tiepidi e caserecci autogrill: c’arrivi sempre in riserva, ma si ha sempre, nonostante la noia, un’abbondanza di cose da desiderare, maneggiare e ritirare alla cassa.
“un mese … “
“solo uno?”
“non è il tipo ...”
“faccio fare a lui?”
“dipende … “
“da cosa?”
“vuoi incastrarlo o è da asporto?”
“ha avuto la proroga … è da incastro!”
“ma ha scopato tutto il reparto!”
“ci saprò fare … fidati”
“ok!”
“ok!”
impermeabile, cipria e fondotinta, per sentire ancora virili i giorni che passano. e il solito disincanto a memoria. dal tuo tiepido tornaconto a quello più singolare di casa: bivani, con wcb e cucina abitabile. in affitto, transitorio, con piccolo ascensore compreso nel prezzo.
“ciao mà … “
“le cose?”
“tutte … “
“dimenticata nessuna?”
“nessuna … tranquilla mà.”
“va bene. ti amo.”
“anch’io.”
“notte.”
“notte, mà.”
la solita notte. lentamente irruenta e potentemente distribuita. zanzare, frigorifero e telecomando: cruenti rapsodie ed emotivi trasporti. yougurt e medicina rossa, come prospettive estetiche appese allo sguardo. enorme poltrona e le pantofole, quelle di “lui”, ai piedi. l’unico ricordo, il più convincente e sagace. l’ex, il tuo. il più spietatamente vero tra i ricordi, non lui, ma le pantofole dell'ex, da pochi giorni tue … laconicamente in tuo possesso per sempre. il tuo disinibito orgoglio, le sue pantofole.
era freddo, nonostante lo scirocco celebrativo di quell’unico ricordo.
ti saresti dovuta accontentare e invece hai voluto fare tutto di testa tua. eccoti accontentata. nelle mani, due valori aggiunti, aventi il medesimo peso specifico: blocchetto intero di buoni pasto e ultima diagnosi micidiale. null’altro sugli intendimenti del futuro, a parte la nausea controllata e, ai piedi, il solito rinforzo del tuo ex. avresti dovuto resistere. era un tipo da asporto, ma tornava sempre e comunque a casa. ti scopava, in assenza d’altro e di meglio, ma almeno te la raccontavi, la vita, pantofole comprese. cinque anni, incluse le trasferte, quelle di lui. inclusi i trattamenti ospedalieri, quelli tuoi. chissà come scopava le altre, chissà dove, chissà quando.
“ho preso questa … sono sintetici, ma sembrano veri … “
“grazie mà … “
“ti farà glam … “
“si … una vera signora.”
“ricresceranno … “
“lo so mà, lo so … “
il quando e il dove.
“benedetta malattia … ”, avrà pensato a quel tempo la "tua promessa da asporto". avevi una scadenza dentro il piccolo emiciclo delle tue pretese. eri a scadenza, quel genere di film fuori concorso. saresti potuta crepare con le pantofole ai piedi, con un rigurgito di rimorsi e un grumo di sangue in fondo al palato dello sciacquone in corsia. santo lui, avariata tu. fine della storia. punto e l’amen prestabilito in chiesa. invece hai voluto strafare ... e ti sei montata la testa.
faceva freddo quel giorno. blindata, andito e camera da letto, tutto in automatico. solo tre passi per una spietata sorpresa. avresti voluto più tempo, per realizzare e capire, ma quello era il vostro letto, la sacra sindone coniugale. cos’altro? nient’altro. il dove e il quando, lì … quel giorno, ed entrambi, lui e il suo ristoro vaginale, a scopare il tuo tempo da donna avariata. nel tuo letto: un'affollata isola pedonale.
“cazzo …”
“bastardo!”
“aspetta …”
“mi fai schifo … “
“ti prego … aspetta!”
“bastardo!”
faceva freddo quel giorno. di più: era la vita ai tempi del tuo colera.
il solito marciapiedi a pausa pranzo. su quel disadorno lampeggiare di vite semaforiche, i deplorevoli sincretismi di sempre, ma oggi avrebbe dovuto essere uno di quei giorni speciali.
dall’altra parte della strada il tuo anemico desiderio: avresti voluto prenotare per tempo. tre giorni tre notti, incluso il servizio in camera, per il tuo santo e irripetibile natale.
“tum!”
l’asfalto. una scia scarabocchiata distrattamente in terra, improvvisa, da destra. carambola. l’impatto. la sintassi di un piccolo disastro.
non ne eri sicura, ma lì e a quell’ora ... chissà che cosa. su quel tratto di strada, tra il tuo marciapiedi e l’agenzia marittima, chissà cosa stava organizzando il destino... una sgrammaticata alchimia di voci e di pianti isterici … la pioggia, il tuo cuore. si, il consueto giornalistico scenario. la drammatica banalità di un sinistro letale ... anche tu eri lì ...
“non toccatela … sono un medico … lasciatela respirare, cazzo!”
lo scenario. la scena. il sangue e l’asfalto. era freddo. il vento faceva il resto.
la scena. la vittima disgraziata. chi era? dov’era? il quando, il dove, entrambi a scoparsi tuo marito e le tue pantofole. la tua vita appiccicata allo spigolo del cavedio. il freddo e l’incoerenza del ghiaccio.
“ciao mà … “
“hai deciso?”
“si mà: prendo tre giorni.”
“sicura?”
“tranquilla … l’emocromo è buono … “
“bene.”
“me lo merito, no?”
“si, ti amo … “
“ti amo … “
era una di quelle giornate. e avrebbe dovuto essere speciale.
“mi sente? signorina, mi sente?”
la lama. il taglio, alla gola. lento, profondo, dritto … che sbrana ogni genere di torpore.
“che stronzo!”
istanti.
nei tuoi occhi, l'odore dei suoi. e gridava, cazzo se urlava.
la sua bocca dentro la tua. il suo respiro in fondo al tuo dolore. ma non era il tuo ex …
“ma che cazzo fa?”
ti baciava. l’antico sapore del perdersi. quel pastoso e muscoloso ardire di labbra. ambra e magenta, all’unisono … estetica schioccante. quel dolce confliggere di lingue. quel complice mischiarsi di vita tra insulari gocce di saliva … ti baciava. uno sconosciuto scopriva la tua vita in fondo al palato, tra l’irrigidirsi dei tendini per quel sublime comprimere e sfregare insieme. fino a sentire le pertinenze del piacere, al di la' di quell’ingombrante smembramento etico.
e non preoccuparsi più del cuore. e perdersi.
“come si chiama? signorina … il suo nome!”
avrebbe dovuto avere trent’anni … le sue labbra dicevano l'inferno del mutare. quel muoversi dentro, quel gesto malinconicamente erotico, ma così selvatico e prepotente, suggerivano il potente flettersi del piacere e l’assumersi trepidante della vita …
dalla gola scoppiò esacerbante il sangue, il tuo ... poi giunsero le nevralgie del caos, il dolore.
solo alla fine, disimparando ogni debita prudenza, l'asfalto ebbe il coraggio di dirti come stavano le cose ... le cose del freddo.
avresti voluto aprire i palmi delle mani e tenderli agli zigomi della vita, ma al di la' dei buoni pasto e di quel genere di nuovi propositi, nel tuo pugno sinistro, erano pezzetti di vetro.
era una di quelle giornate che, nonostante la gioia di quel bacio, la vita avrebbe imparato altri ricordi.
vbz
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