15 marzo, 2010

Concerto di parole: i protagonisti

Ehi dico a voi!!! In molti avete perso l'occasione di rallentare al suono delle parole dei grandi siciliani e di farvi colpire al cuore dalle sofferenze di un nostro comune amico...
Non potete rimediare. Il tempo scorre inesorabile. Ma potete soffermarmi qui, ancora un pò in nostra compagnia per scambiare due chiacchere con gli attori che hanno animato il reading dello scorso Venerdì: Stefano Piazza e Gero Guagliardo.

Buona lettura!!!



Le foto sono state realizzate da Andrea De Luca.

1. Il Reading ha per titolo “Concerto di parole”, un omaggio ai grandi della letteratura siciliana. Qual’è il tuo autore di riferimento e perché lo consideri tale?

Gero Guagliardo: Buttitta. Mi piace l’uso del dialetto, il pensiero che si esprime attraverso di esso.
Stefano Piazza: Buttitta. E perché Buttitta? Intanto perché ho iniziato a leggere per prima i suoi testi, e mi sono innamorato di lui e del suo modo di scrivere… Ma, aldilà della questione del dialetto, peraltro importantissima… Una famosa citazione di Buttitta dice: un popolo è sostanzialmente sempre libero, sempre ricco, togligli qualsiasi cosa…mettilo in catene, ma lasciagli la sua parola, il suo linguaggio, avrà un’arma con cui difendersi, con cui potrà lottare nella società in cui vive e… Quindi si può dire che Buttitta si difendeva abbastanza bene, poiché aveva una grande conoscenza della lingua siciliana, che si va perdendo e che ormai non conosciamo. Inoltre l’unione di Buttitta, bagherese, con la pittura di Guttuso, anch’egli bagherese, mi da l’idea di una sicilia vista da un borghese. Buttitta in realtà parla da borghese, accusa il siciliano che non protesta… Insomma mi piace quest’uomo che esorta alla protesta chi ha la necessità di protestare e nel suo consigliare dal pulpito di chi fa il poeta ed esorta alla protesta, io mi rivedo tantissimo.

2. Citando un altro grande siciliano come Giuseppe Tomasi di Lampedusa, con il suo «tutto cambi perché nulla cambi», quanto ritieni che ciò sia vero oggi in Sicilia e particolarmente nel “mestiere” dell’attore?

G: Io ho ancora paura a definirmi attore… Definirmi attore, insomma… Andiamoci piano con le parole… Sono come dire in una fase di “working in progress”, un mestierante, un senza mestiere… E' una continua lotta… Ad es. ho conosciuto Vito (la sua scrittura) ed è quello per cui ogni giorno provo a concentrarmi e che non è facile realizzare qui (in Sicilia). Sappiamo tutti com’è l’ambiente. Se già altrove questo mondo è difficile, qui tutto si amplifica… Come se stessimo dentro ad una campana che rimanda amplificato il suo suono. Purtroppo non so se continuerò a vivere qui, io fino all’ultimo ci proverò. In “Nuovo Cinema Paradiso” si diceva a proposito della Sicilia “vattinni, chista è terra maligna”. Ecco, maligna che alle volte non ti permette neanche di andar via.
S: Tomasi di Lampedusa «tutto cambi perché nulla cambi»… Hai preso come esempio un altro siciliano che fotografa la Sicilia, questa situazione che per me è una grandissima verità. Un siciliano molto simile a Buttitta, anch’egli un borghese. Da borghese fotografa questa realtà con una visione critica, come del resto anche De Roberto con “I Vicerè”… Ma in modo meno amplificato.
In realtà è quasi profetica questa affermazione, nel senso che, rispetto a ciò che lui scrisse negli anni’50 facendo riferimento a suo nonno e agli episodi dell’unità di Italia, paradossalmente a distanza di 150 da allora, non solo il quadro politico non è minimamente cambiato. Il Nord completamente staccato dal Sud. In più i potenti, il potere, è riuscito a far sì che la gente crescesse e pensasse… Va bè… Tanto un’cancia nenti (tanto non cambia nulla, qualsiasi cosa noi facciamo). Nonostante tutto questo io credo nel cambiamento, anche piccolissimo. è ovvio che vedo la realtà, la quale spesso porta al cambiamento dell’apparenza delle cose e non della sostanza, ma questo non ci deve a scoraggiarci.

3. Fine pena mai: dolore fisico e ingiustizia morale. Che impatto ha avuto su di te la sua lettura?

S: Il neorealismo. La forza del neorealismo che ti da proprio l’impressione di sentire l’urto e la violenza, non soltanto legato ad un dolore fisico…quella violenza che noi tutti dobbiamo sentire come se fosse fatta su noi stessi, perché violare i diritti umani di una persona è una violenza che può colpire tutto noi, prima o poi…Tutti quindi dovremmo anche avere il peso della responsabilità nel nostro piccolo. La mia impressione quindi è stata forte… D’Impatto… Ritorna questa parola… Forse ha qualche legame con Vito [www.zeta 184.blogspot.com, ndr]
G: A me una volta Vito ha detto: «sottrarre la vita a cazzotti». Ti viene tolta la vita, la cosa più bella che abbiamo, a cazzotti e come se non bastasse ti viene tolta da chi ti dovrebbe un minimo garantire, coccolare… Lo Stato. Questo è “Fine Pena Mai”. Leggendolo senti tutto, i cazzotti, il freddo del marmo… Il marmo è sia lo Stato, la freddezza di un certo tipo di architettura, ma se ci pensiamo anche la carne prima dai macellai veniva poggiata sul marmo.. E Stefano [Cucchi, ndr], ma non solo lui, ci sono diversi casi, è carne da macello. In generale adesso non ci sono cazzotti, ma è come se ci venisse sottratta dell’aria, ci stanno buttando sottoterra e a poco a poco, ci sottraggono dell’aria.

4. Fine pena mai è anche la storia di un’ingiustizia. Qual è la più grande ingiustizia che hai subito e quale ritieni sia la più grande ingiustizia che un essere umano possa subire?

G: La più grande è quella a cui siamo più abituati. Al giorno d’oggi sono pochissime le persone che possono dirsi felici. Non perché le persone non vogliano esserlo o siano pigre, ma perché spesso non ti è consentito essere felici. La più grande ingiustizia è questa: che ti viene tolta, strappata la felicità. Ci sono poi tante piccole ingiustizie a cui ormai siamo abituati, ad es. il fatto di vivere da “ricchi” mentre i ¾ del mondo soffre in maniera grave, brutta… La fame, la sete.
Quella però che posso riferire anche a me stesso è di non poter essere sereno, felice. Noi cerchiamo di fare i nostri passi, ma c’è sempre un vento che ti spinge in senso contrario, uniformandoti a dei modi di essere, di fare…
S: per me la più grande ingiustizia che si subisce è quella del pregiudizio. guardare in faccia la gente e farsi immediatamente farsi un’opinione senza mai aver parlato con quella persona… Addirittura avendogli sentito dire alcune frasi e avendolo catalogato in una determinata dimensione… Dentro la quale nessuno di noi veramente sta… Di destra, di sinistra, di centro, calciofilo, amante delle donne... Ma che vuol dire? Io posso amare questo, posso amare altro…Posso essere una cosa, e anche l’altra… Posso cambiare idea. Il pregiudizio non ti permette assolutamente di progredire, di dire: oggi sono questo e domani voglio diventare altro…E' quello che impedisce il cambiamento. Questa quindi è la più grande violenza che si opera e che operiamo tutti, in definitiva siamo tutti violenti, perché tutti noi esprimiamo un pregiudizio sulle persone.
Elisabetta Costantino

2 commenti:

  1. miii...neanche un commentino...
    ma che siete...una tribù..di....ahahhaa (citando Attila di Abbatantuono)

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  2. abbiamo ricordato la memoria, e ciò significa... dolore. il rischio è non volere soffrire per qualcosa che nella "stagione della pelle" non passa... e il 12 di marzo sulla pelle di chi ha ascoltato con attenzione gli attori recitare... è passato il ricordo. il dolore. una vita rubata a cazzotti.

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