06 giugno, 2010

pz.n. 106 (bitume a schizzi). di vitobenicio zingales


e ci sono delle volte che mi pare la vita. quasi me ne accorgo e me ne sbatto in vena una goccia. come fosse il giallo "della meglio schifa tequila". e me la guardo, che se non fosse per il sole nell'intimo, non ne piglierei neppure uno scarto, ma manco a sforzarmi. forse ho lo storto dentro oppure il mondo è talmente obliquo da vibrarmi dal palato dell'anima ai testicoli del cuore. ci sono delle volte che le parole mi dicono di starmene zitto e di ricominciarmi dal giorno in cui alla vita prese di sbattermi in fondo al peggiore "dei peggio" buchi al mondo. io, quel giorno, proprio non me lo ricordo. forse perchè la vita, nonostante sappia del bitume e di quel mare petrolio, io non l'ho mai imparata a memoria. ci sono cose, ripeto sempre, che più ti metti e più non le sai. neppure avessi di fianco, e a manca, il mio buon vecchio amico josè cuervo. di taglio e di punta e in un orlo di vetro, la mia vita. a dirla tutta, con la vita c'ho avuto una sola e veloce confidenza. ed era il 31 maggio, come quando te ne fai una alla svelta, imbucando il fegato e dimenticandoti l'anima. il resto è come quando ti piglia buono dentro e fai di conto per viverti in campana gli stronzi debiti e la solita porca, puttana miseria. ma da mezzanotte a zero ogni momento è buono per spararti in sagoma almeno uno di quei stracazzi di sogni americani. io uno ce l'ho. come quando è il mare e scrivo sul culo della sabbia. dai mollàmi del buio, a piombo, tra gli scoli del cielo. un sogno, uno soltanto, fra i polmoni del cranio, che al cielo non basta e al mondo magari non fotte, ma è mio ... che gli pulsano dentro le chincaglie perfino di dio.

quando non ci sarò più, ricordatevi, ecchecazzo, che la vita può essere bella se la vedi da dove ci pompa il suo sogno migliore. quello giusto, che ti pare uno di quei "12" quando i picciotti fanno festa per sant'eusebio al rione. un sogno. mio, giusto e cristiano. con la buona creanza tra le vene del fegato e le minchionerie di pancia, tra gli scarti dell'anima. di più non potrei dirvi chè sono minchiate.

oggi è il trentuno di maggio e sul pelo che l'aria fa ancora nell'acqua, in quel riflesso di gebbia io ci nascevo.


e ci sono delle volte che mi pare la vita.

quelle che più ti metti, "cazzo", e sei vivo.


ed eccomi pronto. oggi penso al mio vecchio e alle stronzate che ci venivano dalle minchiate di sotto al rione. dalle fatte di lama ai cristiani crepati di piombo, dagli infami che per due soldi di fame ti voltavano le spalle, ai duri che si macinavano la pelle senza il cristo di un vero motivo. ma queste erano le regole. se ci stavi, lo dicevi alla vita, se sgarravi, ci crepavi all'istante. e cazzo si, ricordo il mio primo gessato e le prime storie di puttane e cazzotti. che vita! un bicchiere di "nero" e via. all'inferno e senza ave maria. e se la vita ce l'avevi dentro erano cazzi per chiunque si fosse in mezzo tra te e l'ennesima stronzata da alzare. erano cose di tanfo e di punta. di zaffate e di taglio. la meglio gioventù era in quel cazzo di sangue che ci veniva dal cuore e a pomparne la spinta era quel tratto di strada, là di sotto, che faceva lento, al rione. di traverso erano gli sbirri e di fianco erano i preti. alla fine erano i mala del porto con le "38" e le "onoranze" sempre a portata di mano. a noi bastava quel poco: quel sangue randagio, bastardo nel culo del cuore. quel maledetto posto all'angolo, tra diagonali a schizzi e risciacqui di fiati al polistirolo espanso. all'angolo, là, al rione, che era lento e sapeva di mondo. imparammo i cazzotti e l'america. imparammo le pupe e come fare alla svelta. talvolta era una banca e spesso era il tizio che ci crepava di fianco nel fianco degli occhi. ma era la vita che c'eravamo scelti di vivere e quel modo migliore per correre in culo alla fine. e dire: "cazzo ... è finita!". imparammo a farla sognare 'sta stronza di di una maledetta vita puttana e se al rione ci vedevi, là dall'onnipotente allo "zio arcangelo", tutto era piano e tutto era lento. su quel pelo d'aria, l'azzurro bastava e gli scorfani di sotto, come noi, imparavano a gridare nell'acqua.

non c'era un modo migliore, per vivere o per imparare a crepare.


ma eccomi. sono pronto.

ti concedo un solo secondo. alla svelta. per imparare l'ultimo ricordo.

1 commento:

  1. dalla vita vivo non ne esci.
    solo questo colpo in canna.
    boooom

    RispondiElimina

Archivio blog

Cerca nel blog