Aldilà di ciò che guarda il mare

Aldilà di ciò che guarda il mare, nei tuoi occhi ancora il volo radente del mondo gabbiano. Stai lì. Ferma. Sulla frequenza perduta. Sulle traiettorie delle vele. Sulle rotte dei grandi vascelli americani. Magari è solo un po’ di schiuma che viene dal fondo, magari è uno di quei gorghi che aspirano ad una qualche parte di cielo. Forse è solo il sole a piombo o quel mondo che fila pretendendo una platea di sogni aquiloni. Ma quello che vedi è solo e sempre l’eco di uno stronzo volo fottuto. E ti metti là su quel cumulo di pietre, inchiodando la tua anima su quel fendente di un orizzonte, magari aspettando che un Santo ti faccia la grazia. Ore, giorni, mesi. Impalata sotto a quel punto preciso. Col sole di taglio e la bonaccia di tacco. Col cuore verso ogni punto sbiadito nel nulla. Col nulla nel cuore per ogni punto che si perde nel vuoto. Bambina. Con le mani basse e lo stomaco a pezzi per le solite molliche e cumino. Con quel senso del mondo imparato sempre dagli altri, perché non c’è mai stato un posto per qualcosa di tuo da ficcare nel cuore. Tralicci, escavatori e gru. Cemento, cristalli e bitume. Su quel taglio di cielo tutto ciò che immagini città.
Aldilà di ciò che guarda il mare, nei tuoi occhi ancora il volo radente del mondo gabbiano. Stai lì. Ferma. Contagiata dalle bombe “Dime”, dalle munizioni al fosforo, dall’uranio impoverito. Da Battambang a Gaza, dal Campo di Mayo a Lashkargah, da Sulaimaniya a Kalutara. Col tifo e la malaria che mandano in coma la tua gioia d’essere cresciuta d’un tanto. Con lo schock termico e le ustioni, fra guance e fragola petto, con gli inquinanti che ricadono al suolo, con le rapide tattiche di guerra e le rappresaglie assassine. Con la morte e la nebbia negli occhi. Bambina col mare in fondo alla scarpata, fra detriti al passato e favole miraggio al futuro.
“Potrebbe esserci dell’altro… laggiù nel vento?”
“Magari un treno che sfugge alla nostra bonaccia… “
Ed è forse Dio a prenderti per mano. E questo mondo in malora fuggire nel nero da dove gli uomini hanno disegnato il proprio ultimo nirvana.
“E come faremo a prenderlo?”
“Magari si fermerà a due passi… “
“Magari si fermerà a due passi… “
“Ma non siamo ancora piccoli per andare da soli laggiù?”
“Come tutti sei nata libera ed eguale in dignità e diritti.”
“E cosa vuol dire?”
“Che quel treno potrai prenderlo quando vorrai.”
Aldilà di ciò che guarda il mare, nei tuoi occhi è quel solito raggio disegnato da un volo gabbiano e la voglia del mondo di lasciare quel nero e di portarsi sulla scia di quel treno a vapore.
E stai ferma. Lì, su quel solito punto. Come tutti, anche tu lo sai. E lasci che il mare continui a sfiorare la sabbia sulla quale il tuo cuore giocava prima di fermarsi all’istante.Dichiarazione universale dei diritti umani.
Parigi, 10 dicembre 1948, Art. 1 e preambolo.
Foto "Sguardi" di Luigi Garofalo
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