"Il sangue".
i ritrovamenti scheletrici, sia che provengano da contesti archeologici che paleontologici, presentano una serie di limitazioni che ne decrementano notevolmente la disponibilità analitica. l'informazione ricavabile dalle nettezze osteologiche è spesso influenzata dalla frammentarietà dei reperti, dalla permeazione ed inclusione della matrice rocciosa e dei sedimenti geologici, e dalla loro intrinseca importanza che non permette l'applicazione d'indagini invasive. paradossalmente più il reperto è integro, più contiene informazioni, e più queste informazioni risultano inaccessibili in quanto condizionate dalla natura stessa del reperto.
alcune metodologie promuovono analisi anatomiche e morfologiche dei livelli interni e profondi dei volumi scheletrici, altre restituiscono proiezioni simultanee d'interi volumi. addirittura, oggi, lo studio anatomico e morfologico dell'anima e dei suoi resti umani sono affidati ad una scienza digitale che, approcciando Dio e diavolo, codificherebbe la variabilità morfologica in modelli computerizzati generati e analizzati tramite procedure numeriche. Angeli e Demoni rivivono in scansioni biometriche attraverso un rigurgito virtuale.
"io ho la mia scienza. possiedo la mia arte. non a caso, oggi, ho ospiti a cena. non a caso stasera si magnifica la mia arte... a tavola".
-andiamo amici miei, così rischiamo di annoiare il nostro buon mariano.-
-la noia è uno di quegli espedienti splendidamente umani che per il proprio dirompente potenziale riuscirebbe da sola a soverchiare la complessità sovrannaturale di Dio. concedersi alla noia sarebbe tanto livido quanto manifestatamente supremo, poichè se da una parte se ne disprezzerebbe l'inazione, dall'altra se ne apprezzerebbe l'agito del più tumultuoso tra i dilemmi metafisici. comunque la si osservi, amici miei, foss'anche la noia a dover furoreggiare, se ne potrebbe ricavare, da certi argomenti, non solo l'intima bontà, ma soprattutto "quell'originario movente". non è dalla noia ad esser nato l'uomo?-
il piombare delle ombre qui suscita quel "certo rimescolio" che se non fosse per quei pallidi turgori gocciolanti tra le carambole di luce dagli scuri, finirebbe col promuovere tra gli animi, di chi incolpevole ne sventrasse i silenzi, quella devastante mischia di emozioni così brutalmente irrazionali.
qui è "l'umido delle pietre": una sorta d'allusioni lamentose che cagionate dalla frammentarietà della pietra, finiscono con il colmare, e talvolta anche per il più lieve dei bisbigli, ogni punto là aggrappato dalle volte al pavimento. è quadrilunga. non mostra alcun benevolente o pleonastico dettaglio e neppure una di quelle marginali finiture che, pur non ammettendone lo slancio, ristorerebbero perfino il più indifferente e glaciale degli ospiti.
al centro è un table d'hote: nero, muscoloso e pesante, e addestrato ad accogliere comodamente tredici commensali. su ognuna delle lunghissime pareti, sette specchi ovali inchiodati a sette forti catene e perfettamente allineati uno di fronte all'altro, deformano riflessi, visioni e prospettive. sei doppieri, in perfetto circolo fra i punti cardinali della stanza, tentando di innescare vita, finiscono, per l'impari conflitto, col rendere ancora più grave quel sepolcreto di spettrali derive.
il pavimento è in marmo nero e le pareti di un magnifico letifero viola. ai lati della porta, ad occidente della grande sala, sono una coppia di divinità antropomorfe di bronzo, avvinghiate a due gigantesche colonne doriche... quasi a volerle frantumare. completa la ribalta, ad oriente della sala, un'enorme altare, sulla cui sommità campeggia un cartiglio in oro effigiante una coppia di sfere terraquee tenacemente gravitanti l'una su di una squadra spezzata e l'altra su di un compasso infranto e privo di noce.
"null'altro. solo i miei ospiti. e il loro fine palato."
tra le tante abilità da acquisire per pranzare senza incorrere in errori marchiani vi è quella di distinguere i cibi che si possono attaccare con il coltello, da quelli che, per leggende e simbolismi tramandati nei secoli, non si debbano avvicinare neppure con lapunta di questo strordinario strumento.
per aggredire Maria decisi per le "ferretti" modello "36" arrotondato
accanto ai precetti per il commensale non può mancare una regolamentazione del servire in tavola. attorno ai miei ospiti tutto doveva avvenire con la massima disinvoltura ed eleganza, senza rumori, senza cadute e con attenzione ai ritmi, ai consueti rituali ed alla conversazione.
i ritrovamenti scheletrici, sia che provengano da contesti archeologici che paleontologici, presentano una serie di limitazioni che ne decrementano notevolmente la disponibilità analitica. l'informazione ricavabile dalle nettezze osteologiche è spesso influenzata dalla frammentarietà dei reperti, dalla permeazione ed inclusione della matrice rocciosa e dei sedimenti geologici, e dalla loro intrinseca importanza che non permette l'applicazione d'indagini invasive. paradossalmente più il reperto è integro, più contiene informazioni, e più queste informazioni risultano inaccessibili in quanto condizionate dalla natura stessa del reperto.
alcune metodologie promuovono analisi anatomiche e morfologiche dei livelli interni e profondi dei volumi scheletrici, altre restituiscono proiezioni simultanee d'interi volumi. addirittura, oggi, lo studio anatomico e morfologico dell'anima e dei suoi resti umani sono affidati ad una scienza digitale che, approcciando Dio e diavolo, codificherebbe la variabilità morfologica in modelli computerizzati generati e analizzati tramite procedure numeriche. Angeli e Demoni rivivono in scansioni biometriche attraverso un rigurgito virtuale.
"io ho la mia scienza. possiedo la mia arte. non a caso, oggi, ho ospiti a cena. non a caso stasera si magnifica la mia arte... a tavola".
-andiamo amici miei, così rischiamo di annoiare il nostro buon mariano.-
-la noia è uno di quegli espedienti splendidamente umani che per il proprio dirompente potenziale riuscirebbe da sola a soverchiare la complessità sovrannaturale di Dio. concedersi alla noia sarebbe tanto livido quanto manifestatamente supremo, poichè se da una parte se ne disprezzerebbe l'inazione, dall'altra se ne apprezzerebbe l'agito del più tumultuoso tra i dilemmi metafisici. comunque la si osservi, amici miei, foss'anche la noia a dover furoreggiare, se ne potrebbe ricavare, da certi argomenti, non solo l'intima bontà, ma soprattutto "quell'originario movente". non è dalla noia ad esser nato l'uomo?-
il piombare delle ombre qui suscita quel "certo rimescolio" che se non fosse per quei pallidi turgori gocciolanti tra le carambole di luce dagli scuri, finirebbe col promuovere tra gli animi, di chi incolpevole ne sventrasse i silenzi, quella devastante mischia di emozioni così brutalmente irrazionali.
qui è "l'umido delle pietre": una sorta d'allusioni lamentose che cagionate dalla frammentarietà della pietra, finiscono con il colmare, e talvolta anche per il più lieve dei bisbigli, ogni punto là aggrappato dalle volte al pavimento. è quadrilunga. non mostra alcun benevolente o pleonastico dettaglio e neppure una di quelle marginali finiture che, pur non ammettendone lo slancio, ristorerebbero perfino il più indifferente e glaciale degli ospiti.
al centro è un table d'hote: nero, muscoloso e pesante, e addestrato ad accogliere comodamente tredici commensali. su ognuna delle lunghissime pareti, sette specchi ovali inchiodati a sette forti catene e perfettamente allineati uno di fronte all'altro, deformano riflessi, visioni e prospettive. sei doppieri, in perfetto circolo fra i punti cardinali della stanza, tentando di innescare vita, finiscono, per l'impari conflitto, col rendere ancora più grave quel sepolcreto di spettrali derive.
il pavimento è in marmo nero e le pareti di un magnifico letifero viola. ai lati della porta, ad occidente della grande sala, sono una coppia di divinità antropomorfe di bronzo, avvinghiate a due gigantesche colonne doriche... quasi a volerle frantumare. completa la ribalta, ad oriente della sala, un'enorme altare, sulla cui sommità campeggia un cartiglio in oro effigiante una coppia di sfere terraquee tenacemente gravitanti l'una su di una squadra spezzata e l'altra su di un compasso infranto e privo di noce.
"null'altro. solo i miei ospiti. e il loro fine palato."
tra le tante abilità da acquisire per pranzare senza incorrere in errori marchiani vi è quella di distinguere i cibi che si possono attaccare con il coltello, da quelli che, per leggende e simbolismi tramandati nei secoli, non si debbano avvicinare neppure con lapunta di questo strordinario strumento.
per aggredire Maria decisi per le "ferretti" modello "36" arrotondato
accanto ai precetti per il commensale non può mancare una regolamentazione del servire in tavola. attorno ai miei ospiti tutto doveva avvenire con la massima disinvoltura ed eleganza, senza rumori, senza cadute e con attenzione ai ritmi, ai consueti rituali ed alla conversazione.
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