pornografica

con i suoi quarant’anni, da poco strisciati sul badge aziendale.
era una di quelle stronze giornate che non ci sarebbe stato tempo per trovare il tempo di chiudere gli occhi. e quel ripetersi, neutro eterno, l’avrebbe avuto tutto dentro, in quella stanca parentesi d'occhi. dalla mattina, con le cose che fanno lento, alla sera, con quel “lento” che le cose le sanno fare per bene. ad arte, lavorandosi il particolare, ai fianchi, senza sprechi. né additivi morali. come uno di quei cazzotti che t’affogano in pancia e ti levano l’aria dal midollo degli occhi. uno di quelli che ti ritrovi col culo del cuore sfondato per non aver imparato che, tanto vale, a quel punto, essere troia e fare puttana. così, anche a ribasso. sottocosto, alla svelta, come quando "il consacrarsi" lo si prende giù per la gola, per noia, per soldi o per santo dovere.
era una di quelle che il mondo maneggia senza quella elementare cura. era una di quelle vite che te ne saresti accorto solo se fosse finita schiantandosi di fianco al fianco dei tuoi occhi. uno di quei vestiti che, solo per caso o solo perché dannatamente a saldo, lo vedi in fondo alla periferia dei tuoi santi pruriti. una vita alle corde. all’angolo. un'esistenza, a perdere. una vita più che sottovuoto: sottoniente.
“chiudo per rinnovo locali.”
una di quelle che se ti va bene, la fotti, la crepi e la regali. punto. e a capo.
spudorata, pornografica circostanza all’ingrasso.
che potrebbe crepare, in quel cazzo di quel qualsiasi cazzo di giorno in città e sarebbe solo una stronza perdita di tempo. dagli sbirri ai congiunti eventuali.
quinto piano. scala “a”. interno “b”. nella solita terra di mezzo, di cemento e di niente edulcorato. cancelli, lucchetti e minchiate. prospettive di lato e, di traverso, solo aborti di fiato. e di sotto, solite adunanze di puttane e consuete geometrie di scopate a tempo. nell’ossidarsi caldo: periferica, magnifica città.
la sua vita, inessenziale postulato, rudimentale epitome. una di quelle che servono alla solita puttana miseria degli altri e a ribadire la differenza che passa tra chi la prende e chi invece la spinge. era stata concepita così, per chissà quale debito del cazzo e per chissà quale banco dei pegni messo su apposta per lei, senza il cristo di un dio a cui raccomandarsi. una vita alla prova che se sgarri, “zaac!”, fine della storia. e ricominci, frangibile, dal senso di quel maneggiare irriverente e scomposto.
scompaginata goccia di umido infrangibile.
avrebbe cominciato dal suo spazzolino da denti, dal cesso. alle 6 punto 30, tra incisivi e risciacqui. dall'alba, tra miracoli di capsule e uno strofinarsela a fondo. là dentro, al mattino, la sua faccia era solo per presa visione. dentro a quel riflettente incorruttibile bisturi erano i consueti indeclinabili aromi del danno. la sua era ... sdrucciolevole vita. a pezzi, passo dopo passo, sulle cose che sa il ghiaccio: c'inciampi e il mondo ci ride a creparsi.
sulla panca, all’ingresso, la sua coscienza era in attesa e se avesse guadagnato uno spazio, avrebbe deciso per l’avanzo di pizza.
quinto piano. scala a. interno b. trenta metri quadrati di cose e cemento.
in fondo le sarebbe bastata una di quelle vite, escluse le rampe.
nuda, nel buio. scavalcò oblio e ringhiera, con grazia.
nessuno si accorse di quel particolare, volo nel cielo. nel buio, quando è caldo, certe vite non puzzano di niente.
provò solo come uno spezzarsi d’ossi. secco. come di cristallo. rigurgitò un po’ del suo sangue. non provò dolore. sorrise. poi pianse. finendo.
nessuno si accorse di quel particolare, volo nel cielo. nel buio, quando è caldo, certe vite non puzzano di niente.
provò solo come uno spezzarsi d’ossi. secco. come di cristallo. rigurgitò un po’ del suo sangue. non provò dolore. sorrise. poi pianse. finendo.
dal quinto piano.
ebbe solo il tempo di chiudere gli occhi.
vbz
vbz
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