Alcune metodologie promuovono analisi anatomiche e morfologiche dei livelli interni e profondi dei volumi scheletrici, altre restituiscono proiezioni simultanee d'interi volumi. Addirittura, oggi, lo studio anatomico e morfologico dell’anima e dei suoi resti umani sono affidati ad una scienza digitale che approcciando Dio e Diavolo codificherebbe la variabilità morfologica in modelli computerizzati generati e analizzati tramite procedure numeriche… Angeli e Demoni rivivono in scansioni biometriche attraverso un rigurgito virtuale.
Io ho la mia scienza. Possiedo la mia arte. Non a caso, oggi, ho ospiti a cena. Non a caso stasera si magnifica la mia arte… a tavola.
- Andiamo amici miei, così rischiamo di annoiare il nostro buon Mariano. –
- La noia è uno di quegli espedienti splendidamente umani che per il proprio dirompente potenziale riuscirebbe da sola a soverchiare la complessità sovrannaturale di “Dio”. Concedersi alla noia sarebbe tanto livido quanto manifestamente supremo poiché se da una parte se ne disprezzerebbe l’inazione dall’altra se ne apprezzerebbe l’agito del più tumultuoso tra i dilemmi metafisici. Comunque la si osservi qui tra noi, amici miei, foss’anche la noia a dover furoreggiare, se ne potrebbe ricavare, da certi argomenti, non solo l’intima bontà ma soprattutto “quell’originario movente”. Non è dalla noia ad esser nato l’uomo? –
Il piombare delle ombre qui suscita quel “certo rimescolio” che se non fosse per quei pallidi turgori gocciolanti tra le carambole di luce dagli scuri, finirebbe col promuovere tra gli animi di chi incolpevole ne sventrasse i silenzi, quella devastante mischia di emozioni così brutalmente irrazionali.
Qui è “l’umido delle pietre”: una sorta d' allusioni lamentose che cagionate dalla frammentarietà della pietra, finiscono con il colmare, e talvolta anche per il più lieve dei bisbigli, ogni punto là aggrappato dalle volte al pavimento. E’ quadrilunga. Non mostra alcun benevolente o pleonastico dettaglio e neppure una di quelle marginali finiture che, pur non ammettendone lo slancio, ristorerebbero perfino il più indifferente e glaciale degli ospiti.
Al centro è un table d’hote: nero, muscoloso e pesante, e addestrato ad accogliere comodamente tredici commensali. Su ognuna delle lunghissime pareti, sette specchi ovali, inchiodati a sette forti catene e perfettamente allineati uno di fronte all’altro, deformano riflessi, echi e prospettive. Sei doppieri, in perfetto circolo fra i punti cardinali della stanza, tentando di innescare vita, finiscono, per l’impari conflitto, col rendere ancora più greve quel sepolcreto di spettrali derive.
Il pavimento è in marmo nero e le pareti di un magnifico letifero viola. Ai lati della porta, ad occidente della grande sala, sono una coppia di divinità antropomorfe di bronzo avvinghiate a due gigantesche colonne doriche quasi a volerle frantumare. Completa la ribalta, ad oriente della sala, un’enorme altare sulla cui sommità campeggia un cartiglio in oro effigiante una coppia di sfere terracquee tenacemente gravitanti l’una su di una squadra spezzata e l’altra su di un compasso infranto e privo di noce.
Null’altro; solo i miei ospiti. E il loro fine palato.
Tra le tante abilità da acquisire per pranzare senza incorrere in errori marchiani vi è quella di distinguere i cibi che si possono attaccare con il coltello da quelli che, per leggende e simbolismi tramandatisi nei secoli, non si debbano avvicinare neppure con la punta di questo straordinario strumento. Per aggredire Maria decisi per le “Ferretti” modello “36” arrotondato.
Accanto ai precetti per il commensale non può mancare una regolamentazione del servire in tavola. Attorno ai miei ospiti tutto doveva avvenire con la massima disinvoltura ed eleganza, senza rumori, senza cadute e con attenzione ai ritmi, ai consueti rituali ed alla conversazione.
- Per quanto saranno potuti risultare arditi i nostri argomenti non potranno mai avvincere come questi impareggiabili tournedos… Mariano: come sempre la vostra arte non teme confronti….-
Mi piace osservarli. I loro affilati sguardi hanno colmato in quegli anni la mia superbia. Il ritmo melodioso delle loro mandibole è stata musica sublime per la mia avidità e l’ottusità dei sensi.
Assaporano prima, tra lingua e saliva; fracassano dopo, tra immaturi incisivi e impreparati molari. Deglutiscono, alla fine. Mandarono Maria in fondo agli abissi epigastrici con straordinaria e compartecipata voracità. Ne assaggiarono dapprima l’intima bontà tentando di spingere le proprie raffinate papille a ricordare dove avessero incontrato cibo così buono. Ma invano. L’antica memoria non era in loro possesso. Dopo i primi bocconi si lasciarono andare… e i denti lavorarono per permettere al palato di registrare il trionfo di quell’amore traboccante. E ne venne fuori il Dubbio. Ma non compresero le tenebre.
La corposa personalità del Vernaccia alla fine ne inferì la raffinatezza, ma senza sovrapporsi a quell’occulto segreto.
- La mia, cari amici, è un’arte semplice. E’ la natura a provvedere… io ne arricchisco solo la già potente architettura, l’intraducibile Quid. Basta solo attenersi alle regole fondamentali… la fantasia fa il resto. Con un pò d'inventiva lasci stupefatto il più esigente dei palati. Ho cucinato per il vostro piacere e voi, come sempre, me ne restituite, immeritatamente, la misura. Ma credetemi… è solo un pezzo di carne… buona … che l’onnipotente “Dio” mi ha solo concesso di trovare… dal mio solito macellaio…. –
Li trovai impreparati a soverchiarsi nel dubbio. La parola Dio squadernò solo per un istante i loro cauti pensieri. I manufatti della logica avrebbero resistito a quell’impatto soltanto per non vedersi attribuire da alcuno, là anche non visibilmente percepito, un compito così incommensurabilmente grande.
- Siete troppo modesto… Anche oggi, e penso di poter parlare a nome di tutti, questo semplice “pezzo di carne” è riuscito a stupirci ed in abbundantia… Il miracolo è sotto gli occhi di tutti: un semplice ordito di carne che, lasciatemi passare l’eufemismo, svela una perfetta trama. Le nostre sono soltanto parole, ardimentose, sicuramente… eppure, nonostante tentino, non riescono a produrre… bellezza! –
Sentivo la pelle aprirsi e il sangue arrampicarsi su per la ferita, ma di buco in buco, dalle radici su fino al capo. Ero combattuto. Tra ciò che ero e la sgorgante anima che lentamente s’illuminava nel sangue. I miei ospiti da una parte e Rebecca agli antipodi del Tempio. Le intuizioni di quei giorni e l’erompere di quelle occulte Forze. Il male che vibrava nelle forme perfettamente e sensibilmente là addensate, tra viventi archetipi e un gigantesco diorama; il bene che pervadeva ogni oscillazione di luce là perfettamente, ma insensibilmente palpitante.
- Mi confondete. Perfezione è bellezza senza forma. In fondo sono solo fettine di carne… ben presentate ed accuratamente cucinate… perfettamente visibili e fruibili, meccanicamente certe, null’altro. La bellezza a cui fa riferimento oggi il mio rimpianto è di un’altra e ben superiore specie… e la sua origine si perde nella notte dei tempi. Io non ho più tempo per rettificare il tiro e adoperarmi fra le spire del rimorso, ma credetemi ho giusto il tempo per affievolirmi nel pentimento. E adesso se volete… scusarmi…–
Sarebbe stata l’ultima volta con i miei amici. Ancora pochi istanti e li avrei congedati. Dallo squarcio profondo fra inguine e ventre cominciò a debordare copiosamente il mio prezioso sangue. Già fantasticavo sul mio doppio e sulla luce della sua soglia superata. Più in là se ne avesse compreso il senso sarebbe stata la volta del Grande Guardiano…
Lentamente mi trascinai verso la camera di Rebecca e là una prima goccia di sangue toccò terra. Da qui, dagli scuri aggrappati alle rotonde aperture, scrutai di sotto. Le schiere armate stazionavano a poche decine di metri dalla soglia del Tempio. Il Capitano Raab manovrava vorticosamente su quel pezzetto di marciapiedi, sbattendo i calzari per terra e minacciando i suoi pretoriani col pugnale sguainato. Sorrisi. La ferita al ventre bruciava come oro fuso. Cominciavo a morire. Avevo freddo. Pochi passi abbrancato alle sue braccia e al suo solenne silenzio ed in pochi istanti indovinammo la penombra dello studio. Presi goffamente la chesterfield e dal basso della scrivania levai il segreto cofanetto e una copia del V° Vangelo in lingua originale. Con il tiepido clamore che si deve ai condannati a morte nell’ora del supplizio, Rebecca alitò proprio uno di quei compassionevoli sospiri. Venne vicino, in ginocchio… ai miei piedi. Le carezzai le guance e i capelli con le mie tanto opinabili lacrime. Mi issò dalla poltrona. Mi spogliò dalla tunica “facendomi” nudo. Mi pose in terra sul freddo pavimento… la Terra di Maria. Delicatamente, su per i bracci di un immaginario “legno”. E Io nell’ardimentoso variare di quell’ascendente silenzio supplicandola fino alla fine di rimanermi vicino. Il suo artefice in quel momento le viveva da Padre. Come le rare piogge sulle torride scherme del deserto per derimere l’atonia delle dune ora alla fine cercavo rifugio nell’abbondanza sprecata del mio essere Uomo. Se era tardi per tentare di trovare in me almeno uno dei pochi veri ricordi, con prudenza mi abbandonai alla consolatoria speranza del futuro che ero certo avrebbe riempito gli ultimi istanti della mia vita e con l’illusione che il tempo là sospeso avrebbe risolto la disputa tra il mio finire e l’eternità.
Sorrisi… immaginando l’ultima tra le gocce dell’ “IO” riverberarsi ai piedi di un grande pellicano fra le punte anelanti di una Squadra e di un Compasso.
La fase finale del Protocollo Narcron da quel cruciale evento ebbe inizio dalla mia fine.
- Perdonami… -
E palesando l’Uomo nel segno della croce…
- Non abbandonatemi… -
Nudo fuggii e lentamente mi trasferii in lei…
Rebecca lentamente assorbì con un panno di lino bianco il sangue dalla tunica dorata effigiante la Santa Potente Materia, prese da terra il V° Vangelo e sforzandosi di non cedere alle lacrime richiuse lo sportello del piccolo inceneritore. Una sferzata di nube iodiofosfogenealcalina, sfuggendo agli sfiatatoi dell’atanor in ghisa, librò tra gli angusti spazi del gabinetto alchemico del grande padre.
Quando la Donna tornò ai gentili ospiti del filosofo dio perché tutti insieme liberassero finalmente gli spazi del Tempio il futuro ebbe il tempo di cogitare sulla disputa appena inferta tra gli attori in questione. Sanato il controverso dilemma le divinità imposero a quella sospensione di tempo di ricominciare ad annichilirsi nel grande magma del “quadrante” tra le perfette elissi di una bellezza senza forma.
E al mondo giunse un nuovo preparatore e un nuovo portatore sopraggiunse dalle superiori glorie.
- Amato Mariano… sicuro di stare bene? –
- Più che certo… Io sono. –
Dall’altra parte del mondo un ghigno pauroso offuscò il già fosco crepuscolo di Londra. Delle sette fiale radianti soltanto tre avrebbero continuato, “probabilmente”, ad agire il mondo.
Foto di Martina Zingales
Nessun commento:
Posta un commento