26 settembre, 2010

La solitudine dei numeri primi

«I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell'infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per qualche motivo non ne fossero capaci. Il secondo pensiero lo sfiorava soprattutto la sera, nell'intrecciarsi caotico di immagini che precede il sonno, quando la mente è troppo debole per raccontarsi delle bugie. In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri primice ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi davvero. (...) Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e sperduti, vicini ma non abastanza per sfiorarsi davvero. A lei non lo aveva mai detto. Quando immaginava di confessarle queste cose, il sottile strato di sudore sulle sue mani evaporava del tutto e per dieci minuti buoni non era più in grado di toccare nessuno oggetto».
(da “La solitudine dei numeri primi”, Paolo Giordano, Ed. Mondadori)



Ho avuto il bisogno di rileggerlo questo periodo del libro… Nel film infatti, solo in una sequenza piuttosto sfuggente ne viene fatta menzione. Alla fine della proiezione ero un po’ arrabbiata per questa unica e inspiegabile mancanza. Poi dopo vari flashback e dopo la lettura di analisi, critiche e recensioni, penso di aver capito e sono stata contenta. A differenza di tante, tantissime trasposizioni cinematografiche di libri di successo, La solitudine dei numeri primi, mi ha lasciato intatte le stesse sensazioni del libro. O meglio, le ha diversificate intelligentemente affinchè non si producesse alcuno smarrimento, ma soltanto un nuovo obiettivo o angolazione verso cui guardare. La musica poi, dai Goblin ad Ennio Morricone ai pezzi inediti di Mike Patton ha fatto il resto. Ha caricato di colori e di tatto il bianco su nero delle parole lette. Non so cosa cercassero i tanti autori di critiche spietate e di recensioni… So cosa cercavo io e cosa sono contenta di non aver trovato. Non ho trovato un’altra storia, ma ho trovato qualcos’altro della storia. Sembra uno scioglilingua, ma è così.
In quel qualcos’altro fatto di poche parole e di ambienti al sapor di Kubrik, non ho visto il vuoto e gli errori di una regia traballante, ma anzi la matematica freddezza di due vite che sommano dolore a dolore, un dolore horror, volutamente citato sempre nelle musiche e nelle scene, un dolore raccontato per sottrazione e addizione di anni, di peso (in senso corporeo)…

E come nel libro, forse meno, ho provato quell’indescrivibile solitudine, di quando anche se hai vicino qualcuno non riesci ad allungare il braccio, di quando chiedere aiuto è impensabile, di quando farti male ti sembra una soluzione possibile…
Insomma credo davvero che non ci sia bisogno di essere estremi se ammettiamo di essere stati anche solo per un momento (fortunatamente) in quella sorta di camera iperbarica che ci isola e ci lascia soli tra i quadretti di un quaderno, numeri primi divisibili solo per uno e per sé stessi.
Elisabetta Costantino





1 commento:

  1. Premessa: non ho ancora letto il libro (...).
    Non volevo andarlo a vedere per tutta una serie di pregiudizi...
    Ma vi assicuro che è davvero un film da vedere.
    Bette Davies eeeeeeeyes... na na na nanana na!
    Che scena...

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