29 luglio, 2014

12 mozzato, di vitobenicio zingales


12 mozzato

“signore e signori, buongiorno. voglio augurarmi che stiate tutti bene e che teniate alla vostra salute come io tengo alla mia e a quella della mia signora … avete ragione, scusate, sono un cialtrone … le presentazioni, prima di tutto. io sono “dodici” jack e quella biondina che vedete là in fondo è babie, per l’appunto, la mia splendida signora.”

in pieno giorno. uno di quelli che potrebbero cominciare con la metafisica scrollatina di sempre, quattro ricordi farciti e il solito, schifoso macchiato, tra i mille, sempre soliti gomiti al banco. 
in provincia. una di quelle invisibili, sottobanco, verandata di fresco ... tutta "statale" e cemento, e a metà strada tra il voler restare tale e quale ai racconti dei vecchi e il desiderarsi più dannatamente puttana, come nelle voglie dei soliti quattro coglioni che ci credono ancora. provinciale, con i suoi canonici segreti da asporto e i soliti ingovernabili, piccoli pruriti. con diecimila anime iscritte agli ordinari almanacchi della evangelica gioia. quattro lati abbrutiti dal più becero niente, una diagonale di sospetti a schiera e un pertugio di centro, inclusa quella cazzo di una maledetta crescita “zero”. provinciale, con il suo eterno pressapoco, l’Onnipotente Cristo e i soliti, gradevoli intrallazzi per la patronale stronzata ... con chi passa il segno almeno una volta l’anno e con chi si segna cento volte nel culo di un giorno perché vuole, alla fine del giro, mettersi in pari.

“signore e signori, vi prego, gradirei un po’ della vostra attenzione. questo è “twelve” e chi si accompagna alla mia signora è una “uzi”, 9 millimetri, a raffica e a tiro singolo. signori: questa è una rapina!”

nel caldo. quello che ti scava da dentro, mordendoti la schiena. che è lento, sulla pelle liturgica di quell'indeclinabile lamentarsi invincibile. il solito feriale di luglio, indifferibile, senza rimedi. che non conosce partenze. con quel “solito un cazzo da fare” e con quel “niente di nuovo di un cazzo da fare”. niente, nulla da fare. tra ulteriori tentativi e inservibili resti da girare al superiore mittente. che vieta gli arrivi. dall’indefinibile bar dello sport al poco definibile monumento ai caduti. e in piazza ... il solito, unico modo possibile di risolversi prima dell'inutile tramonto a saldo, tra la chiesa e la fede, il bar e gli dei. un sommare lento di solai sotterranei e di luminosi, instancabili orrori ... 

nel caldo. uno di quei giorni feriali di luglio. lenti, umidi. nell’afa. mortali. nessun’altra allusione. passo dopo passo, piano … tutti dietro, nessun vantaggio. uno dopo l’altro che verrebbe in mente l’inferno, ma è solo il battere del grande, condominiale rimpianto ...

“si, gentili signori, avete afferrato bene … questa è una rapina. e ora: 1, se vi atterrete alle regole nessuno si farà un cazzo di niente. 2, più facciamo alla svelta e più in fretta ci togliamo dalle palle. 3, se qualcuno pensa che oggi è il giorno migliore per morire, prego, si faccia avanti. 4, le tre regole valgono per tutti.”

si “alzavano” le banche, non avevano le “appartenenze”, ma c’avevano le palle. che erano stronzi lo si capiva eccome, dal primo colpo di “12” in aria e da come affamavano il terrore. conoscevano un solo modo per organizzare il lavoro: alla svelta, all’istante. forse il modo migliore per capire l’inferno, e probabilmente il migliore per lasciarci la pelle. non c’è un modo buono per morire, ma ne esistono tanti cattivi per continuare a dire, fingendo la vita. 

da un anno, ormai, che gli stronzi battevano la scena. tosti, furbi, puliti e veloci. entravano, prelevavano, uscivano. erano al trentesimo colpo. piccole banche, tra latitudini solerti e caffè corretti, in provincia. sul loro cammino, sette morti. cinque guardie giurate e "due teste di cazzo", crepati, all’istante, forse nel migliore dei modi che immagina la "nera". sicuramente il peggiore per chi la pelle ce la lascia: senza avere il tempo di inquadrare per bene tutta la cosa. quando ce ne andiamo è ad un ricordo a cui siamo soliti attaccarci … se crepi, così, con un buco da “12” nel petto, è solo al tram dell’istante che t’attacchi … fine della storia. e crepi.

nati cattivi. in periferia. ai margini di un altrove privo di margini. senza un motivo a cui attaccarsi. privi di quella qualsiasi cosa che ne valga la pena. crudi. all’osso. esistenze al cristallo. cominciarono a trent’anni. dieci anni prima lasciarono fare al caso. la madre di lei, puttana al rione, il padre di lui, stronzo al quartiere. come tutte le storie che da dove la vedi puzzano di merda e di promesse che valgono meno di zero. il caso li volle mescolarsi tra le variabili della solita gotica equazione. per una pista di coca. fu amore a prima vista. nel sangue. tra sperma, coca e schifo. cominciarono con i supermercati, in città. si giurarono fedeltà eterna. nel sangue, al termine di una scopata tra cataloghi in 3d e condom sbucciati. da quel giorno, budelli e bicipiti, insieme ad un “franchi calibro 12” e ad una “uzi” 9 mm. l’inferno, se si ha quel culo da farsi trovare nel mezzo della linea di tiro. 

“bene, calmatevi cazzo! inutile strillare. capisco che la circostanza è insolita, ma avrete sicuramente qualcosa da raccontare ai vostri stronzi bastardi … e adesso, forza tutti al lavoro!”

due casse. giorno di paga. di attesa grassa. trenta, forse quaranta, tra clienti e personale in servizio. all’ingresso, subito dopo la scorrevole, priva d’allarmi e vetri blindati, una sola guardia per atto dovuto.

“ma prima di cominciare, tu … là … proprio là in fondo … ehy … si, dico a te. ti suggerisco una piena collaborazione con la “premiata ditta”. slaccia con la destra il cinturone. ecco, così. lentamente. da bravo. e ora con un calcio allontana il “ferro” verso la mia signora. bravo. adesso sdraiati in terra … e cazzo non mi guardare. va bene stronzo, vedrai che avrai tutto il tempo per essermi grato. e ora passiamo al prelevamento.” 

in banca, l’inferno. in piazza, il caldo. fra i clienti, le cose che ci puoi crepare se sgarri di un pelo. fra i vecchi, nelle cose che è tutto inutile ed inesorabilmente vero.

il primo calcio giunse cattivo, vorace. in pieno. in bocca. il secondo giunse in pancia. al fegato. secco. potente. il terzo fra i testicoli. di punta. micidiale.

“signore e signori vi presento babie, la mia adorata signora. ama la poesia e certe cose … le nascono così, dal cuore. stronzo bastardo … non me lo fare ripetere una terza volta. non t’azzardare più. non mi guardare. mi fai schifo e porti rogna!”

al bar, le solite ecclesiastiche battute. l’ornella e quell’altra zoccola forestiera, la storia del prete che fa maschio in canonica e i pruriti della moglie "selfie" e del sindaco coglione. le solite cose, quelle che se non te le passa dio, te le regala il rancore che t'affama la pelle. quelle che gocciolano, di frasiccio in frasiccio, dalla nebbia di fianco e alle spalle degli occhi. in provincia. lentamente, nel caldo, e più mediocremente attutite, tra i debiti del dubbio, in inverno ... tutti li, in uno spreco di inutili avverbi.

“scusate il “fuori onda”, ma da adesso si va al dunque. e allora, questa che ora vi mostro è una capiente busta. una di quelle che serve a riempirci scarti di merda. oggi servirà la causa. la voglio stracolma di soldi … in pezzi da cinquanta, da cento e da duecento. state comodi … passerò io stesso. due minuti soltanto e tutto sarà finito. bene. tu alla cassa. si, dico a te ... come ti chiami? daniela? ok, daniela. da quanto tempo ci lavori in questo buco di merda? dieci anni? uno schifo. ma ci potrai sguazzare dentro tutto il tempo che vuoi se mi seguirai alla lettera. farai la brava? ok. prendi la busta e comincia a riempirne il culo. prima dalla tua cassa. bravissima. ora prendi un bel respiro e passa alla cassa numero due. daniela … sei proprio super. fin qui saranno cinquantamila. un ultimo sforzo adesso. sappiamo dei trecentomila nella cassa a tempo. e non sparare cazzate. aprila … e non fare storie. babie: que pasa? todo bien? ok. respira … continua a respirare … brava daniela … un giro a destra, 3, uno a sinistra, 4, un altro a destra 7. wow! bingo! brava daniela, conseguita la laurea. e si cazzo, ti scoperei all’istante, ma babie mi pianterebbe tanto di quel piombo in culo, da cagarci sangue per sempre. ora scostati … vediamo … brava. tutto è questione di fede, ma qui è questione di culo. se porto fuori il mio, il vostro sarà libero di fare il proprio dovere dove meglio crederete. ok … daniela, hai ripulito per bene. signore e signori … qui abbiamo finito. solo pochi istanti e usciremo dalle vostre cazzo di vite. e ora col permesso della mia signora un ultimo commento: voi tre … si belle signore dico a voi là in fondo … certo che a pruriti siete un schianto, ma andate sempre in giro così? complimenti ai vostri fedeli mariti ... grazie a tutti. è stato un vero piacere.”

nel caldo che l’inferno è a due passi. dal paradiso alla merda si fa presto a raccoglierne coincidenze e scarti. nel caldo che la vita te la scegli col tuo secolo di sbagli, ma a sintonizzarti con la fine basta quel minimo tocco. 
nel caldo che l’inferno è giorno dopo giorno, ma a raccontarlo agli ingredienti delle vere opportunità  è sempre e solo il solito cazzo di un caso.

“te l’avevo detto stronzo!! cazzo, non avresti dovuto azzardarti!!!”

un solo colpo. da quelle maledette brevissime distanze. senza nessuna pietà, in faccia. 
un solo colpo, gli massacrò la vita e gli aprì l’anima. 
all’istante.
l’occhio sinistro uscì dal caudale. freddandolo. 

nel caldo, in quel peggiore dei modi, ma nel migliore che la vita, crepando, conosce. 

era il solito feriale di luglio. nel caldo. in fondo all’illusione di un dosso e con l'unico modo possibile di liberare la schiena dall'anagrafe del solerte ricatto.

Vbz

Photo Nikola

2 commenti:

  1. si parla un'altra lingua . laggiù. in fondo al cuore. si parla un'altra lingua e io non la so tradurre.
    a stento traduco l'italiano io.
    io mi parlo. in quella lingua. mi parlo. ma non la so tradurre.
    io non saprei mai dirti quello che avviene laggiù.
    certo è che cose avvengono. e ci si parla e parla e cose si muovono e si muovono e non stanno mai zitte . mai zitte. mai.
    si muovono parlano parlano e spesso si ripetono. si ripetono.
    si. ripetono.

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  2. ...manca un "oh" vicino a "si ripetono"...il secondo.

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